Convegno Comune di Lanciano, lì 20 novembre 2008
BULLISMO e SCENARI EDUCATIVI
La situazione in Abruzzo
In data 9 luglio 2008, a L’Aquila, presso Palazzo Centi, si è insediato l’Osservatorio regionale sul bullismo, voluto e ricostituito dal Direttore Generale dell’U.S.R. per l’Abruzzo, Prof. Carlo Petracca, al fine di contrastare il disagio, raccordare le proposte degli Uffici Scolastici Provinciali, sensibilizzare le famiglie, valorizzare le buone pratiche, monitorare la situazione.
L’Osservatorio regionale sul bullismo consta di una pluralità di componenti, ovvero di Soggetti Istituzionali: l’Ufficio Territoriale del Governo, la Questura della città capoluogo di regione, il Comando dei Carabinieri, l’Ufficio Qualità dei Servizi Sociali della Regione, l’A.N.C.I. Abruzzo, l’U.P.I. Abruzzo, la C.E.I. Abruzzo, il Dipartimento di Prevenzione della Sanità Regione Abruzzo, il Dipartimento di Giustizia minorile, il Tribunale dei minori, 3 Dirigenti Scolastici, i Docenti comandati presso gli Uffici Scolastici delle 4 province d’Abruzzo, un Dirigente Tecnico, in qualità di coordinatore dell’Osservatorio, il Presidente della Consulta degli Studenti di L’Aquila, le Associazioni dei Genitori in Abruzzo, il Centro Servizio Volontariato, l’Ordine dei Giornalisti, il Comitato regionale Abruzzo per l’UNICEF, il Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università degli Studi di L’Aquila, la Facoltà di Scienze Sociali dell’Università degli Studi di Chieti, l’Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell’Autonomia scolastica – ex IRRE Abruzzo.
La realizzazione di tale organismo, le sue procedure, i lavori prodotti sono un esempio di condivisione di valori e strategie fra adulti, fra Istituzioni, pur nella diversità dei loro ruoli, in merito al fenomeno bullismo, non solo, in merito all’educazione delle nuove generazioni. Costituiscono prova che la rete fra Soggetti Istituzionali può funzionare, anzi funziona, soprattutto quando, attraverso l’apertura e la disposizione al dialogo, si concorre tutti, in modo paritario, all’accompagnamento, all’orientamento rispettoso e competente dei giovani nel loro difficile e spesso tortuoso cammino verso la vita.
Gli uomini senza le Istituzioni, che legittimano le loro azioni, non hanno gambe. A loro volta le Istituzioni non hanno vita senza la testa, senza il cuore, senza la passione di quelle donne, di quegli uomini che in esse, e per esse, profondono energia ed impegno.
Attualmente in Italia, da più parti, si intensificano virtuosismi proprio mentre le Istituzioni sembrano in un generale, forse voluto, tracollo, come a suggellare un estremo atto eroico di sopravvivenza, un ultimo grido a “noi possiamo”, “noi dobbiamo”, “noi vogliamo”.
Tutti insieme dobbiamo lavorare per indicare un’unica rotta, una proposta educativa salda e chiara, condivisa nei suoi valori fondanti, quali il rispetto della persona, della vita, della natura e dell’ambiente in senso lato, l’impegno, serio e costante, la responsabilità verso se stessi, verso tutti e tutto. In tale condivisione diviene di fondamentale importanza un recupero di reciproco consenso fra scuola, famiglia, società.
Dopo anni in cui si è assistito ad uno iato, ad una frattura, ad una perdita di credibilità, “gli uni contro gli altri armati”, causa dello sfacelo cui assistiamo in questi giorni, oggi si sta verificando un processo, fortunatamente inverso, in cui si rinsaldano i vincoli di amicizia, di considerazione e di rispetto.
Sulla famiglia si sono abbattute tante infamie. Ma è sotto gli occhi di tutti che la famiglia soffre di solitudine affettiva, così come l’infanzia e l’adolescenza. Non c’è più la rete parentale, la rete delle piccole comunità di un tempo, la rete che accoglie, che ascolta, che protegge. Occorre una nuova rete di figure valoriali adulte, quella rete in cui molti di noi sono cresciuti. Occorrono la grande famiglia, i parenti, la solidarietà delle piccole comunità dove si conoscevano tutti, dove tutti hanno concorso, da veri tutori, alla crescita di virgulti riottosi, insubordinati, a volte troppo vivaci.
La famiglia da sola non ce la può fare. La scuola, anch’essa, da sola non ce la può fare.
Allora occorre stipulare un patto di nuova alleanza, così come i passi biblici insegnano. Un patto di nuova alleanza educativa che deve vedere fra i suoi protagonisti sottoscrittori non solo gli adulti, ma anche i giovani chiamati a condividere corresponsabilmente gli intenti e i processi del patto educativo. E’ questo un evidente riferimento al “patto di corresponsabilità” che il M.I.U.R. cita relativamente alla revisione del Regolamento Interno d’Istituto. Solo così essi, i giovani, si addestrano ad una partecipazione attiva e responsabile all’interno della comunità scolastica, alla cittadinanza attiva che li forgia e li prepara alla vita e a contesti sociali allargati, nazionali, europei, globali.
Sono diversi anni che nella provincia di Chieti ci stiamo adoperando per lavorare in modo sinergico, concorrendo Istituzioni ed Enti del territorio ad implementare buone prassi di cittadinanza attiva, in cui gli Studenti, dalla primaria alle superiori, a più riprese, sono stati protagonisti consapevoli di eventi e di iniziative sul tema della Legalità.
Scuola e violenza sono termini antitetici, che non devono, non possono essere affiancati: la prima é un’Istituzione, rappresentativa di una comunità, di una comunità educante, di una Res Pubblica, dello Stato; la seconda costituisce illegalità e coincide con essa.
Derisioni, vessazioni, umiliazioni, minacce, rabbia ….. violano la sacralità della persona. Pertanto occorre dire basta al bullo, al bullismo, al mobbing, allo stolking e pronunciare un forte sì al rispetto, alla legalità.
Inevitabilmente, essendo manifestazione evidente e chiara di illegalità, il fenomeno si lega spesso alla criminalità giovanile, al teppismo e al vandalismo.
Dal 2007 è stata intrapresa dal M.P.I. una campagna ad hoc “Smonta il bullo”, anche con l’attivazione di un numero verde cui potersi rivolgere. A circa due anni di distanza, in una miscellanea di recente pubblicazione, “Book della Solidarietà”, è stata pubblicata un’analisi del fenomeno che in Italia risulta essere molto più incisivo rispetto ad altri paesi del nord Europa. Proviamo a riflettere perché?
Non vive forse oggi il nostro Paese una grave crisi, che non è solo di ordine economico, ma è soprattutto morale. In un paese dove la TV insegna scherzi anche violenti, oltre che maldestri, dove in Parlamento l’insulto è gratuito, dove cariche istituzionali costituiscono esempio di impunità e si esprimono con un lessico discutibile, ne conseguono “esempi” poco edificanti per i giovani, per i più piccoli, che “scimmiottano” gli stili degli adulti, non necessariamente dei familiari, ma degli adulti testimonial della società imperante.
Ancora, la società imperante non è forse divenuta troppo pagana e profana, negli slogan, nella babele delle immagini oltre che dei linguaggi? Non ha forse la società del post moderno svuotato di significato spirituale la vita e le sue manifestazioni, perdendo i sentieri della speranza, di un credo, di ogni forma di carità, soffocata da egoismi e da un inaridimento dell’anima?
Come prevenire il bullismo?
Si può prevenire il bullismo, come ogni altra forma di esclusione o di emarginazione di piccoli e di giovani, attraverso la prevenzione, la cittadinanza attiva, la peer education, la peer comunication, che coincidono con il nostro comportamento, la narrazione, la Costituzione.
Certamente è poco utile agire sui disturbi e sulle psicopatologie quando essi sono ormai già conclamati.
E’ auspicabile invece la specificità di un intervento preventivo rivolto a tutti gli alunni, prescindendo dai "bulli" e dalle loro vittime, perché, al fine di un cambiamento stabile e duraturo, risulta maggiormente efficace agire sulla comunità degli spettatori, o meglio sulle dinamiche relazionali/sociali di un intero gruppo.
La prevenzione deve interessare tutti gli alunni, gli insegnanti e i genitori. In particolare gli adulti possono farsi carico dei problemi attivando una programmazione contro le prepotenze e promuovendo interventi tesi a costruire una cultura del rispetto e della solidarietà tra gli alunni e tra alunni ed insegnanti.
L'intervento di prevenzione va avviato ancor prima che appaiano segnali più o meno sommersi del disagio.
L’intervento preventivo, peraltro, rappresenta un'occasione di crescita per l’intero gruppo classe, in quanto, attraverso un maggiore dialogo ed una maggiore consapevolezza di pensieri, emozioni ed azioni, diventa risorsa e sostegno per ciascun membro.
La prevenzione risulta efficace e duratura, se insegnanti, educatori e famiglie collaborano come modelli e come soggetti promotori di modalità adeguate di interazione. In tal modo l'esempio cooperativo può essere acquisito e divenire uno stile di vita per gli stessi ragazzi.
Inoltre compito degli insegnanti è quello di intervenire precocemente al fine di modificare in tempo utile gli atteggiamenti inadeguati.
La prevenzione è particolarmente significativa nel 1° ciclo dell’istruzione, poiché tale segmento formativo è fondamentale per il processo di alfabetizzazione e per la crescita dei bambini nelle relazioni sociali. Il 1° ciclo coincide con una tappa determinante per lo sviluppo complessivo del potenziale umano. Dunque durante l’infanzia la prevenzione deve assumere un carattere di sistematicità e globalità, concorrendo tutti (non solo le figure genitoriali o gli insegnanti) all’insorgenza dei fenomeni critici, che possono dividere una comunità, arrecare dispiaceri, scuotere le coscienze, quando le conseguenze di certi atti assumono aspetti penali.
Va anche sottolineato che l’azione bullica accertata può costituire un momento critico risolutivo ed evolutivo per lo stesso bullo, che va orientato a prendere consapevolezza delle proprie azioni ostili, del proprio percorso di vita che necessita di un nuovo indirizzo, di una nuova direzione.
Anche il gruppo, a sua volta, deve riacquisire una propria capacità di rendersi responsabile del proprio benessere. Ciò significa che le criticità possono costituire fattore di crescita e di evoluzione sia personale, sia comunitaria, se si mettono in campo risorse, potenzialità, competenze, spesso sconosciute o non giustamente valorizzate.
La scuola così diviene terreno su cui cimentarsi, microcosmo con cui interagire, superando ostacoli, impiegando ogni risorsa, imparando a sperimentare la capacità di trovare un proprio spazio, una propria personale espressione nel mondo.
Stando a quanto finora esposto, l’educazione alla cittadinanza attiva concorre a creare una serie di best pratices (buone prassi) in cui lo studente si identifica e in cui consolida e rinforza la propria identità che, a tal punto, non può essere tradita, costituendo essa una testimonianza nella comunità.
Il gruppo va utilizzato come strategia, come metodologia per prevenire e contrastare il bullismo ed altre criticità, in quanto all’interno del gruppo i singoli, interlocutori attivi e partecipi, vanno formati alla promozione e al consolidamento del benessere collettivo.
La peer education e la peer comunication costituiscono un intervento promozionale dello sviluppo personale dei giovani. La comunicazione tra pari aiuta gli individui ad interiorizzare tutti quei processi cognitivi impliciti che orientano le relazioni; rappresenta occasione per l’apertura al nuovo, per avere informazioni e quindi per sviluppare strategie cognitive efficaci a partire dalla condivisione di pensieri, dalle responsabilità per gli impegni presi, dalla negoziazione di conflitti.
In virtù del ruolo ricoperto il peer educator acquisisce e stabilizza una serie di competenze interpersonali, a cui tende, adeguando il proprio comportamento, proprio in relazione alle aspettative del ruolo. Tale processo di acquisizione, di stabilizzazione delle proprie competenze e di fedeltà al ruolo ricoperto immunizza il giovane peer educator dai comportamenti a rischio. L’ immunità di cui egli gode ha poi una sorta di riverbero sul gruppo, per cui il peer educator diviene un modello positivo di riferimento.
Anche la narrazione contribuisce a migliorare il clima delle relazioni interpersonali all’interno di una comunità, poiché essa concorre alla costruzione del processo identitario.
Durante la narrazione i bambini, i giovani, ma gli stessi adulti (si pensi alla lettura di un buon libro o alla proiezione di un bel film) attraverso la risonanza emotiva, le evocazioni vivono un processo di immedesimazione. Pertanto il racconto, la narrazione non vanno disdegnate né a scuola, né altrove. A scuola si potrebbe partire dal commento di alcune serie televisive per rimandare alle opere dei classici, poiché le prime, come le seconde, si nutrono di odi, di amori, di speranze, di aspirazioni, di disperazioni dell’uomo; traggono spunto dalle paure, dalle ossessioni dell’esistenza umana di tutti i tempi: fraintendimenti, incomprensioni, incontri, separazioni, fortune, sfortune, malattie, imbrogli, droghe, denari, divertimenti.
Il racconto, la narrazione costituiscono un importantissimo tassello nel processo di costruzione del Sé.
Nel mondo ebraico il capo famiglia spessissimo rievoca, narra il passato della propria gente, la storia della propria famiglia.
Il racconto, la narrazione diventano così un vero e proprio rito, che conferisce identità, memoria, intimità che rinsalda i vincoli. Anche nelle corti medievali la narrazione serviva per rinsaldare i vincoli di amicizia.
Senza la costruzione del Sé, senza l’identità di Sé ci sono i disturbi della personalità.
Non mi stancherò mai di ricordare Peter Pan, il quale, per convincere Wandy a tornare con lui nel “Paese che non c’è”, le dice che lì potrebbe insegnare ai “bambini smarriti” a raccontare storie. Infatti se le sapessero raccontare, potrebbero crescere, imparerebbero a crescere.
L’invenzione narrativa stimola fra l’altro l’immaginazione, il pensiero divergente. Essa è determinante per l’infanzia, ma anche per l’adolescenza.
Morin, Bruner, Gadner danno grande importanza alla cultura umanistica, alla lettura dei classici, che sono riusciti a spiegare l’affanno umano, la fatica di vivere.
Narrare, conoscere storie, miti, strutturano e nutrono l’identità di persona. Laddove vi è una storia insufficiente, incompleta, inadeguata su se stessi, nasce, si sviluppa una nevrosi. E’ probabile che la narrazione abbia la stessa importanza e funzione per la coesione della cultura quanto per la strutturazione di una vita individuale, personale..
Un sistema educativo, una teoria pedagogica, un indirizzo politico-nazionale di ampio respiro, che sottovalutano il contributo della scuola allo sviluppo dell’autostima degli alunni, falliscono in una delle funzioni primarie, falliscono come agenzia formativa a vantaggio di una miriade di agenzie “antiscuola”, dove molti giovani si rifugiano per compensare il fallimento vissuto a scuola.
Se la capacità d’azione (saper fare) e la stima (saper essere) sono essenziali per la costruzione del concetto di Sé, allora il funzionamento del sistema scolastico va esaminato anche in funzione del contributo dato a queste due componenti essenziali della personalità. Sono da valorizzare una maggiore partecipazione e corresponsabilità nella
scelta e nel raggiungimento degli obiettivi in tutti gli aspetti delle attività scolastiche.
La mission della scuola, il suo dovere morale è includere, non stigmatizzare. Lo stigma prelude l’esclusione; l’esclusione anticipa la dispersione. La dispersione comporta la negazione di ogni valore di civiltà, di sviluppo e di progresso. Il prezzo da pagare poi è altissimo. Quello morale è sotto gli occhi di tutti.
L’insegnamento inoltre ha il dovere di andare oltre la funzione, la professione, la specializzazione. Deve ridiventare compito di salute pubblica: missione. Una missione di trasmissione. Ma la trasmissione richiede competenza, anche arte, amore,
“eros”, come affermava Platone. Amore per la conoscenza e per l’allievo. La missione, a sua volta, presuppone la fede: fede nella cultura e nella mente umana. Se non c’è amore, passione, non c’è trasmissione di saperi. Si assiste, di contro, al disorientamento dei giovani, alla loro dispersione.
Concludo con un accenno al nuovo insegnamento: “Cittadinanza e Costituzione” che prevede 33 ore all’anno di educazione e che il MIUR introdurrà dal prossimo anno scolastico nel 1° e nel 2° ciclo d’istruzione.
L’art. 1 di “Cittadinanza e Costituzione” così recita: Nel primo e nel secondo ciclo di istruzione le conoscenze e le competenze relative alla convivenza civile e alla cittadinanza sono acquisite attraverso la disciplina denominata “Cittadinanza e Costituzione”, individuata nelle aree storico-geografica e storico-sociale ed oggetto di specifica valutazione. Nella scuola dell’infanzia tale dimensione si realizza prevalentemente nel campo d’esperienza “il sé e l’altro”.
Tornando al “bullismo” e alla maleducazione, considerato che a livello sociale l’indebolimento del controllo e dell’inibizione delle condotte negative favorisce la riduzione della responsabilità personale, individuale, il MIUR ha deciso che: il comportamento degli studenti, valutato dal consiglio di classe, concorrerà alla valutazione complessiva dello studente e – a differenza di quanto accadeva fino ad ora - potrà determinare, se insufficiente, la non ammissione al successivo anno di corso. Inoltre, ai fini dell’ammissione all’esame di Stato, è prevista la riduzione fino a un massimo di 5 punti del credito scolastico.
Il provvedimento riguarderà tutti gli studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado.
Lo stesso Ministro Mariastella Gelmini ha ribadito che “il comportamento deve concorrere alla valutazione complessiva dello studente. Valutare il comportamento significa rafforzare nella comunità scolastica l’importanza del rispetto delle regole e, dunque, la capacità dello studente, cittadino di domani, di saper stare con gli altri, di esercitare correttamente i propri diritti, di adempiere ai propri doveri e di rispettare le regole poste a fondamento della comunità di cui fa parte. Questo provvedimento – prosegue il Ministro - vuole essere uno strumento ulteriore per responsabilizzare gli studenti e i docenti”.
La scuola delle 3 C (C. Corradini), Costituzione, Cittadinanza, Comportamento, coincide con la scuola della legalità, poiché essa, la scuola, è l’agenzia educativa più importante preposta alla formazione dei bambini e dei giovani.