giovedì 26 dicembre 2019

Pubblicato su "Il Sorpasso" di Montesilvano il 22 dicembre 2018

La Tv: madre benigna o perfida matrigna?

Della Tv misconosciuta, della Tv poco amata dalla Scuola, della Tv incontrollabile e generalizzata si è scritto molto finora.
Schiere di scrittori, docenti universitari, insegnanti, pedagogisti, psichiatri hanno detto e scritto la loro sulla Tv, ora esaltandone l’uso e la fruizione, ora condannando. Vastissima è la letteratura sui pregi e sui difetti della Tv.
Molti sostengono che la Tv sia il mezzo di comunicazione di massa meno colto, di più facili accesso e fruizione, soprattutto per le classi sociali svantaggiate, nonché la baby-sitter a cui molti genitori affidano i propri figli. La Tv viene anche accusata di indurre i bambini e i giovani alla passività e alla violenza.
Di certo si può affermare che la Tv “è partecipe dell’evoluzione in profondità dei comportamenti sociali, (…) proprio in ragione del fatto che in essa, attraverso le sue caratteristiche materiali, tecnologiche, passano nuove forme di pensiero”[1]. La Tv ha modificato il nostro rapporto con il tempo, ha cambiato i nostri passatempi, divenendo essa stessa strumento di svago. E poiché è un media, relativamente nuovo, ha influito sul clima culturale della società odierna, soprattutto di quella occidentale.

F. Mariet sostiene che la Tv “è questione di tecnologia, di percezione, di marketing. Non di morale. Essa muta più lo sguardo che le cose guardate”
Dunque, se si riconosce alla Tv il potere di mutare lo sguardo dei suoi fruitori, forse questi ultimi, e non solo, un problema devono pur porselo.
V. Andreoli, in Giovani[3], descrive una gioventù confusa da un “bombardamento di immagini”; traccia il profilo di giovani dell’hic et nunc, del qui ed ora, dell’eterno presente, dell’avere, anzi del possedere, e non dell’essere; di giovani che legano la propria esistenza alle cose: se non si possiede quella cosa (si tratti dello smartphone di ultima generazione o di altro in voga) si è degli esclusi, si è dei “vinti”, si smette di esistere.
Qualcuno obietterà che le responsabilità dell’educazione dei giovani ricadano sulla famiglia e sulla scuola. Oggi, tuttavia, esistono diverse agenzie educative che influiscono sulla formazione e sulla crescita dell’infanzia e dell’adolescenza. Esse spesso entrano in conflitto con l’educazione classica di un tempo in cui un padre, una madre, una rete parentale erano in grado di “impostare” ed orientare i giovani.
Anche la Tv è a tutti gli effetti un’agenzia educativa che addirittura precede la scuola stessa, e, in quanto tale, deve porsi la questione morale. Si tratta in fondo anche di un servizio pubblico e come tale deve essere realizzato e implementato.
Quando ci si appella alla questione morale non si auspica alcuna repressione, neppure una vigilanza sospettosa e minacciosa. Non si chiede la censura. Gli addetti ai lavori, tuttavia, in primis i dirigenti delle emittenti televisive, gli stessi opinion leaders devono maturare la consapevolezza e la responsabilità del linguaggio e dei comportamenti usati, ostentati.

Già Platone nel V libro della Repubblica esortava i poeti e i commediografi del suo tempo a proporre eroi e immagini moralmente utili alla crescita degli adolescenti. Figurarsi dei bambini! Il filosofo greco sosteneva infatti con la “teoria della mimesi” la tesi dell’imitazione, per cui l’esposizione a scene di violenza, continue e gratuite, a suo avviso, potevano indurre nei bambini, nei giovani una reazione analoga per imitazione e/o per assuefazione.

Diversi studi statunitensi, già molti anni fa, sostenevano che “la presenza della televisione nelle case degli americani ha prodotto la peggiore delle epidemie di violenza giovanile che il paese abbia mai conosciuto” [4]

Oggi, quotidianamente, anche nelle fasce orarie pomeridiane, si fruiscono immagini e linguaggi non adatti neppure a un pubblico adulto. Vi sono programmi di successo, talk show, i cui opinion leaders si esprimono e si comportano in modo diseducativo, favorendo esempi di bullismo e di turpiloquio. Questi sì che sarebbero da censurare, anzi da denunciare!


F.to Gabriella Toritto


[1] Lasciateli guardare la Tv, F. MARIET, Collana prospettiva 2000, Scuola e Società, ANICIA srl.
[2] Giovani, V. ANDREOLI, RIZZOLI Ed., 1995
[3] Winn, M., Tv Drogue, Fleurs, 1977
Pubblicato il 28 novembre 2018 su "Il Sorpasso" - Il Mensile di Montesilvano

La ri-nascita

“Non è stata la terra a generarmi, e nemmeno i cieli, ma solo le ali di fuoco”
Queste si racconta fossero le parole incise sull’ala destra della Fenice.

Leggendo gli articoli “L’ecumenico” e “Non brucia la speranza” del numero di ottobre de “Il Sorpasso”, rifletto come la leggenda dell’araba Fenice calzi con le riflessioni degli autori, gli amici Mauro De Flavis e “Girolamo Savonarola”.
“Ecumenico” deriva dal termine “ecumene”, in greco oikūménē (gê) ossia ‘(terra) abitata’. Nella nostra lingua può indicare sia la parte della Terra dove si trova l’habitat favorevole alla dimora permanente dell'uomo sia la comunità universale di fedeli. “Ecumenico” sta per ciò che appartiene a tutta la Terra abitata e quindi universale. Così come universale è il mito della Fenice, un uccello bellissimo, forse un airone con piume d'oro, con bagliori di fiamma, che riappariva ogni 500 anni.

La prima versione del mito è quella dell’Egitto delle prime dinastie, in cui la Fenice è rappresentata come un passero, o come un airone cenerino. Secondo la tradizione dell’antico Egitto la Fenice non risorgeva dalle fiamme, come narrano i miti greci e quelli successivi, bensì dalle acque. Per gli antichi Egizi Bennu, era un uccello sacro, successivamente identificato dai greci con la Fenice. Rappresentava il Ba, ossia l'anima del dio Ra, il Sole.
Esiodo è il primo poeta greco a menzionarla nel VII-VIII secolo a.C.. Erodoto, scrittore originario dell’Asia Minore, ricorda la Fenice nel secondo libro, dedicato all'Egitto, delle sue Storie. Ovidio, nelle Metamorfosi (XV,392), la descrive così: "Esiste un uccello che da solo si rinnova e si riproduce: gli Assiri lo chiamano Fenice; non vive di frutti né di erbe, ma di lacrime d'incenso e di succo di cardamomo."
Nell'antica Roma la Fenice diviene simbolo dell'energia vitale dell'impero che riusciva a rinnovarsi. Essa è effigiata su monete e mosaici.
La Fenice è un racconto universale, ecumenico, che si riscontra nelle tradizioni orali, e poi scritte, di molte antiche civiltà, da quelle orientali a quelle occidentali. Essa in tutte le versioni, precedenti l’avvento del Cristianesimo, ribadisce sempre il concetto della ri-nascita. Dopo la diffusione del Cristianesimo sono i Vangeli e l’Apocalisse a narrare una ri-nascita: la Resurrezione. In particolare l’Apocalisse riporta l’allegoria di un regno di 1000 anni per indicare il periodo fra la prima resurrezione di Gesù, il Cristo, e il ritorno del Risorto alla fine di tutti i tempi.
Dante Alighieri nella Commedia (Inferno XXIV, 107-111) così la descrive:
“che la fenice more e poi rinasce,
quando al cinquecentesimo appressa
… nardo e mirra son l'ultime fasce."


L’esigenza della ri-nascita, della resurrezione, è avvertita dagli uomini di tutti i tempi, forse per assicurarsi l’immortalità. L’uomo credeva nell’anima. Il termine “psiche” si trova per la prima volta in Omero, associato all’anemos – il soffio vitale.
E se il soffio vitale, l’anemos, è immortale, nulla di ciò che è immateriale, spirituale, può essere distrutto. Può essere offeso, oltraggiato, vituperato ma non distrutto. Così la fede in un Dio, così il pensiero dei grandi uomini, così la memoria di quanto ci è più caro. Anche un luogo di culto è caro, anzi sacro e, nella sua sacralità, prezioso e insostituibile per quanti in quel luogo hanno pregato e “parlato” con il proprio Dio.
Secoli di storia, persecuzioni, distruzione e morte, che hanno messo a ferro e fuoco le prime comunità cristiane, ci hanno mostrato che sotto la “cenere c’è il fuoco”, quel fuoco che è “sì simbolo di distruzione ma anche … di rinascita”, come “Savonarola” ha scritto sul numero di ottobre.


F.to Gabriella Toritto
Pubblicato su "Il Sorpasso" di Montesilvano nel mensile di ottobre 2018

Il Sorpasso e l’anima
Sono una new entry della testata giornalistica Il Sorpasso, in cui lavorano persone che non conoscevo ed altre che invece conosco da tantissimo tempo e di cui ho sempre apprezzato l’impegno civile e la personalità. Ritrovandomi con loro, ho ulteriormente apprezzato l’amore per la comunità in cui operano e ho maturato quanto segue.
Nelle corti medievali fra i passatempi preferiti vi erano la lettura e la narrazione delle chanson de geste, che costituivano momento conviviale, in cui si cementavano rapporti d’amicizia, assolvendo un’alta funzione sociale. 
La narrazione, la parola evocavano emozioni, sentimenti che univano i cuori e le menti di quel tempo, quando in pochi sapevano leggere e scrivere.
Conseguita l’unità d’Italia, furono banditi concorsi perché gli scrittori di allora concepissero opere con finalità pedagogiche, atte a formare le giovani generazioni del neonato Regno d’Italia. Nacquero così capolavori come il libro “Cuore” di Edmondo De Amicis, “Giannetto” di Luigi A. Parravicini, “Pinocchio” di Carlo Lorenzini. Insomma: “fatta l’Italia, bisognava fare gli Italiani”. 
La narrazione, tuttora, rappresenta un traguardo di crescita, un dono. Il dono è diverso dallo scambio. Il dono è offerta di un’intimità, che non aspetta una restituzione.
La narrazione è anche un’esperienza estremamente fisica, corporea che investe la mente, i sensi, etc.. La narrazione è comunione. E’ relazione fra anime per partecipare di uno stesso segreto. Essa comporta un mettersi in gioco, un margine di rischio personale, in cui tutti sono coinvolti, e pertanto in gioco: tanto chi scrive, quanto chi legge o ascolta. 
La scrittura e la lettura, oggi, sono un diritto di tutti, almeno nei paesi democratici. Lontano è il tempo in cui era privilegio di pochi. E lontana è la geografia di quei territori nei quali i libri sono, oppure sono stati, bruciati e la stampa “imbavagliata”.
Oggi, nel mondo occidentale, la stampa gode di una libertà di espressione e di informazione rispettosa della pluralità delle idee ed è coraggiosa assertrice delle evidenze oggettive ed inoppugnabili. 
Il Sorpasso, fin dalla sua nascita, è stato sempre animato dall’intento di porsi a servizio della propria comunità, la città di Montesilvano. Il Sorpasso narra e rappresenta la comunità che “serve”, Montesilvano, in tutti i suoi aspetti con la vocazione di concorrere alla sua crescita, alla sua evoluzione e sviluppo. Il Sorpasso osserva con gli occhi del cuore. Un cuore che pulsa per la comunità in cui opera. La comunità e il giornale assieme sono in costante cammino. “Crescono” insieme. Il Sorpasso racconta Montesilvano e, nella sua narrazione e informazione, unisce gli intelletti e i cuori dei suoi lettori, tutti proiettati alla comprensione e all’elaborazione degli argomenti proposti. Il Sorpasso dunque adempie un’importante funzione sociale e civica. Il Sorpasso rivela così un’anima che vibra alto, che aspira al bene della collettività e della città in cui opera e per cui si adopera. Il Sorpasso è l’anima di Montesilvano. E’ un giornale periodico che vuole liberamente e incondizionatamente raccontare, informare la propria Comunità. 
La libera informazione coincide con il diritto di ogni cittadino ad essere informato. Tale libertà, tale diritto sono garantiti sia dall’art. 21 della Costituzione Italiana sia dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. La libertà di stampa costituisce elemento portante della democrazia. 


F.to Gabriella Toritto


Gabriella Toritto

giovedì 4 febbraio 2010

Il castello

Incastonato fra guglie
di bianca roccia tagliente,
stagli le merlate torri nel cielo terso,
testimone di antiche e altere gesta.

Turris eburnea,
culla di memorabili narrazioni,
gratuito dono dalla notte dei tempi,
improvvisa appari allo sguardo
fra intrecci di rami e cespugli
che oscurano la tua vista.

Prezioso scrigno,
memore di notti insonni,
rimbomba ancor fra le tue stanze
un solitario suon di corno
fra il corazzar di mille antenne
e grida e canti e salmi: ferro e fuoco.

Il tuo Signor non alberga più
e tu resisti,
mentre immensi e infiniti cieli
avanzano e velocemente corrono in eterno.

mercoledì 16 settembre 2009

Albino, il micio miopino

Un giorno due giovani gatti innamorati misero al mondo un bel gattino. Lo chiamarono Albino, poiché, con loro grande sorpresa, il suo pelo era bianco, ma così bianco da sembrare un fiocco di neve.
Sembrava un fiocco di neve forse perché era ancora inverno quando nacque.
Insomma Albino era proprio un bel gattino. Aveva due grandi occhi teneri e profondi, faceva le fusa e cresceva sereno.
Ma un brutto giorno si ammalò e mamma e papà gatto piansero lacrime amare.
Lo portarono dal professor Gattone, eminenza grigia della pediatria felina, che esordì dicendo: “Uhmm! Miao, miao. Si tratta di una patologia molto rara e capricciosa. Va curata con medicine costose, che possono anche essere nocive. Sarebbe meglio recarsi all’estero dove la ricerca è avanzata”.
Mamma e papà gatto non erano poi così ricchi da portare Albino all’estero ma si impegnarono e fecero grandi sforzi affinché il proprio cucciolo non corresse il rischio di diagnosi e terapie errate.
Così volarono verso il Cat’s Hospital di Goston City, famoso in tutto il mondo, dove Albino incontrò tanti gattini di tutte le razze. Venne curato e fu ricoperto da mille attenzioni.
Ricevette bellissimi regali: una cat’s car, un videogame, orsetti di peluche e un teatrino di legno dai mille vivaci colori con tante marionette in maschera.
I genitori accompagnarono Albino anche all’Aquarium dove il piccolo imparò a riconoscere tanti pesci e mammiferi. E lo condussero anche all’Osservatorio Astronomico dove Albino pianse disperatamente non riuscendo a vedere la cometa di Harley.
Ci vollero tanti anni prima che Albino guarisse. Qualche cicatrice si intravedeva ancora ma era pur sempre un bel micio. Solo lui non ci credeva finché un giorno incontrò una micia molto carina. Si chiamava Roxana.
Roxana proveniva da una campagna lontana. Incontrò Albino per i campi in primavera e si sa come vanno le cose per i gatti in primavera. Si innamorarono e Roxana ripeteva all’infinito: “Come sei bello, Mon Amour. Come sei bello, Dou, Dou!”
Quando Albino tornava nella sua tana, cercava subito un pozzo d’acqua per specchiarsi e per controllare quanto fosse bello. Ma ogni tentativo era inutile: si vedeva sempre più brutto. Tra sé e sé pensava: “Come può Roxana dire che sono bello? Forse mentirà”
Ma accadde che un giorno Roxana mise al mondo tanti cuccioli di gatto.
Ve n’era uno bianco, bianco. Bianco come un fiocco di neve. Eppure era primavera!
Albino fu felice della sua "nidiata" e finì per amare in particolare quel cucciolo bianco, bianco, che gli assomigliava tanto! Era proprio bello!
Fu allora che mamma gatto, ormai vecchia, gli disse: “Hai vissuto un’intera vita a vederti brutto e ora ami e ammiri proprio il gattino che più ti somiglia! Finalmente comprendi che lo specchio mentiva e che erano i tuoi occhi a non voler vedere”.
In amore esse alicui

La bottega delle meraviglie

C'era una volta un paese lontano dove viveva una fanciulla umile e laboriosa, bella come il sole.

Nel villaggio si indicevano spesso feste in onore del figlio del Re, un giovane leale e valoroso. I giovani si incontravano, si divertivano; ma quella povera fanciulla rimaneva estranea ad ogni festeggiamento. Doveva lavorare per vivere, non poteva riservare il suo tempo prezioso per futili distrazioni!

Inoltre, povera com’era, che cosa avrebbe potuto indossare? Come adornarsi?
Una mattina sul davanzale della sua camera un usignolo iniziò a svolazzare e cinguettare così forte che Rosy,
così si chiamava la fanciulla, si affacciò per ammirarlo.
L’usignolo improvvisamente si mise a parlare e suggerì a Rosy di partecipare ai festeggiamenti che di lì a poco sarebbero stati indetti in onore del principe ereditario. Le disse che, per imbellettarsi, avrebbe potuto recarsi presso la Bottega delle mille meraviglie, famosa in tutto il reame per la qualità dei prodotti e la convenienza dei prezzi, dove ogni desiderio diveniva realtà.
Rosy era pur sempre una giovane donna; le sarebbe piaciuto moltissimo partecipare ma, dovendo lavorare, non disponeva di molto tempo per sé.
Dunque non poteva recarsi presso la rinomata bottega. L’usignolo la tranquillizzò: “La Bottega delle mille meraviglie offre un servizio speciale con corriere postale, veloce e sicuro. Potrai ricevere tutto in poco tempo!”
La fanciulla si lasciò convincere e, quando giunse il magico pacco, scoprì quanto fossero giusti e motivati i consigli dell’usignolo. Anche il drappo dorato e la pochette erano una vera e propria magia!
Bastava solo aspettare…
La data dei festeggiamenti fu stabilita e Rosy partecipò anche lei, più bella e radiosa che mai fra quei colori cerise bonbon perlato, perla di rosa, glitter oro, idratante luce d’oriente, carezze di seta, immersa in una pioggia inattesa e giocosa di luci dorate.
Così si avviò verso il palazzo reale, avvolta da una raffinata sinfonia di note profumate e amorose che la travolse assieme al principe, facendo di lei la donna più felice del reame. 

Multis variisque perfuncta laboribus

mercoledì 15 luglio 2009

Il topo e il serpente

Tommaso era un topo vivace e ficcanaso, che finiva sempre in un mare di guai. Era più forte di lui la curiosità che lo spingeva ad ardite avventure.
Un giorno, stanco dei piccoli lavori domestici cui era delegato, disse alla sua mamma: “E’ una bella giornata piena di sole, vado per i campi a giocare”
“Mi raccomando, Tommaso,
- ripeté più volte la madre – non avvicinare chi non conosci. Gioca solo con i topini che frequenti abitualmente!”
A Tommaso non parve vero. Scorazzò in lungo e in largo, libero per i campi in fiore. Sostò ai piedi degli alberi. Riprese le sue corse, finché, stanco, si sdraiò a prendere un po’ di sole nei pressi di un masso.
Quando riaprì gli occhietti, vide dinanzi a sé un serpentello verde brillante, che si ergeva a scrutarlo. “Ehi, e tu chi sei?” – chiese allarmato Tommaso – “Da dove salti fuori?”
Il serpente, vanitoso e spiritoso, rispose: “Sono Gabriello, il serpentello più bello della radura. Giochiamo assieme? A me piace fare tanto a nascondino!”
Tommaso rifletté: “Uhm … Beh …Si dà il caso che sia ormai tardi e che mia madre mi aspetti”. “Oh! Non andare via, ti prego – esclamò Gabriello il serpentello più bello – Amico mio, fammi compagnia ancora per un po’. Mia madre è lì, vicino al ruscello. Sta cambiando l’abito, vieni a vedere!”

Tommaso, sorpreso, volle curiosare. Ma, timoroso, non si avvicinò al corso d’acqua. Da lontano poté osservare con grande meraviglia la muta di mamma serpe la quale, più vanitosa del figlio, si specchiava nelle acque limpide e fresche, mentre il suo vecchio abito cadeva a brandelli pezzo dopo pezzo.

Il topo, a quella vista, scappò di corsa a casa e, non potendo nascondere l’accaduto, esordì: “Mammina, sai che oggi ho conosciuto un nuovo amico?” La madre, volendo indagare, incalzò: “Veramente, Tommaso? E dove?” Così il topolino iniziò a raccontare: “Ero a prendere il sole sopra un masso, mamma, quando, aprendo gli occhi, ho visto un esserino esile, esile, tutto verde e contorto che ergeva il capo dinanzi a me e mi guardava incuriosito. Che tipo strano! Dovevi vederlo! Ma ancora più strana era la sua mamma, che cambiava abito nei pressi del ruscello. Tu, mamma, non hai mai fatto così!”
Mamma topo, a quelle parole, inorridì: “Tommaso, topino imprudente e disobbediente, sai in chi ti sei imbattuto? Sono serpenti! E tu sai che cosa fanno i serpenti a topini come te? Li mangiano in un solo boccone! Ahmm! E Tommaso non c’è più.”

Imprudentia nocet