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giovedì 26 dicembre 2019

Pubblicato su "Il Grande Sorpasso" di novembre 2019

L'“Oratorio” del Maestro Marcello Bronzetti
Tutto è iniziato con un invito di Maria Teresa Anelli: amica, sorella, corista, dirigente scolastica, funzionario MIUR, impegnata nel Sociale. Ringrazio lei e il Maestro Marcello Bronzetti che mi hanno consentito di vivere, nel Pontificio Santuario della Beata Vergine del Santo Rosario di Pompei, una sublime esperienza di musica attraverso l’”Oratorio” sacro: “ExsulteT, Bartolo Longo Cavaliere di Dio”. 
Basilica della Madonna di Pompei 18/10/2019 
L‘opera è il racconto immaginario del Beato Bartolo Longo, guidato da Sant’Elena mentre è in pellegrinaggio verso il mistero dell’annuncio del Cristo Risorto. Il racconto si articola in dieci quadri. Invita allo stupore, alla riflessione, alla conversione.La Corale è composta da cinquanta coristi, fra professionisti e non, che affiancano alla quotidiana attività professionale un progetto di vita proteso all’evangelizzazione, avvalendosi della musica. Ai Coristi si aggiungono 18 orchestrali.Venerdì 18 ottobre scorso, all’esecuzione dell’Oratorio “ExsulteT, Bartolo Longo Cavaliere di Dio”, era presente una delegazione di 25 cavalieri del Santo Sepolcro, proveniente da Terragona, città spagnola gemellata con Pompei.Il Maestro Marcello, assieme ad altri e alla moglie, Tina Vasaturo, violinista, direttore del Coro “Fideles et Amati”, autrice di Aspettando Golapi, è fra gli organizzatori del Festival di Musica Sacra di Cortona, arrivato ormai alla sua 16° edizione. E’ il realizzatore, sempre assieme alla moglie e alla Diocesi di Roma, della Notte Sacra a Roma, supportato dal Vescovo, Mons. Gianrico Ruzza, e dal Vescovo Ausiliare di Roma Centro, don Paolo Ricciardi, già parroco della parrocchia di Santa Silvia a Roma. Così da un sogno è nata una realtà: Roma, culla della Cristianità, la città del Papa, la caput mundi, ha vissuto - come scrive Stefano Stimamiglio su Famiglia Cristiana del 25 maggio 2017 - “tra il 27 e il 28 maggio 2017 un programma fittissimo di preghiera, silenzio e musica” che ha animato misticamente il cuore della città attraverso un percorso sacro ideato per i pellegrini, attesi per l’importante evento. L’iniziativa della Diocesi di Roma e dell’Opera Romana Pellegrinaggi è stata finanziata da un grande centro commerciale della capitale.
Basilica della Madonna di Pompei 18/10/2019 - Esecuzione dell'Oratorio: "ExulteT"

Il MaestroMarcello Bronzetti, dopo la performance a Pompei, ha rilasciato un'intervista al nostro mensile "Il Grande Sorpasso" nelle sale parrocchiali di Santa Silvia in Roma , domenica 20 ottobre 2019
1. Maestro, che cosa rappresenta per Lei la musica; com’è nata questa vocazione? 
La musica è il leit motiv della mia esistenza. La musica ha salvato la mia vita. Essa mi conduce a quel livello metafisico che mi fa comprendere che cos’è la vita. Mi accompagna; non mi lascia mai solo. E’ qualcosa che vive dentro di me, che mi appartiene. In realtà io vivo la musica da quando ero piccolino. Di fatto non ho mai studiato musica. La musica è cresciuta con me. Mi ha accompagnato nei momenti belli e mi ha aiutato in quelli difficili.

2. L’amore per la musica sacra come nasce?
Nasco come cantante e compositore sia in ambito sacro sia laico, pop. La “vocazione” è una chiamata. Sono cresciuto in parrocchia. Ho composto brani sacri. Ho anche tentato la carriera pop, cantautorale, senza grande successo. Di fatto, se guardo indietro alla mia esistenza, mi accorgo che il mio percorso era già segnato. Ad un certo punto mi sono ritrovato a riscoprire la musica sacra e, con Tina e Marco Frisina, ad avvicinarmi al mondo classico.Così ho maturato una vena attraverso cui ho fuso il moderno e il sacro. Inoltre ho iniziato una profonda e accurata ricerca nel mondo della musica sacra, a cui, credo, sono stato condotto attraverso “una chiamata”. Sì, posso affermare di essere stato “condotto” ad essa.

3. Quando si è accorto di poter “osare”, di poter sostituire le “Notti Bianche” romane con la “Notte Sacra”?
In realtà la “Notte Sacra” di Roma nasce figlia della “Notte Sacra” di Cortona; fa parte del Festival della Musica Sacra di Cortona che ormai proponiamo da 16 anni. Scaturisce da un’idea mia, di mia moglie Tina, del Padre Guardiano Daniele Bertaccini, di Walter Checcarelli al fine di organizzare, a conclusione della settimana del Festival, una notte dedicata alla preghiera; una notte che ripercorra le ore della liturgia sacra con dei concerti. Perché? Nelle nostre città ci sono mura e muri che respirano di sacro. Ci sono tante chiese, ricche di memoria. Abbiamo voluto, in tal modo, rivitalizzare il nostro sogno con l’aiuto del Vescovo Ausiliare di Roma Centro, Monsignor Gianrico Ruzza, e del Vescovo Don Paolo Ricciardi. E Roma è la culla naturale per fare rivivere il sogno.

4. Quali sono state le motivazioni che L’hanno spinta a “sfidare” il trend della musica pop? 
Preciso che la “Notte Sacra” non nasce in contrapposizione alle “Notti Bianche”. Poi lo diviene comunque. Le “Notti Bianche” costituiscono un momento di gioia e di felicità e ben vengano! Esse sono pur sempre dono di Dio. La “Notte Sacra” è un modo di vivere la notte. Suggerisce un modo in cui poterla interpretare e vivere, procedendo attraverso un percorso interiore. E’ un pellegrinaggio musicale, spirituale per le strade della città.
Interno della Basilica della Madonna di Pompei 18/10/2019 
Prove d'Orchestra per l'esecuzione dell'Oratorio: "ExulteT" 

5. E’ ormai acclarato il Suo impegno per la riuscita e il successo della “Notte SACRA” a Roma e del pluriennale Festival di Cortona. Ha ulteriori progetti?
Abbiamo appena interpretato a Pompei l’Oratorio: “ExulteT”. Siamo in partenza per la Spagna dove eseguiremo un “Oratorio” su Sant’Agostino in un magnifico convento agostiniano. Andremo prossimamente anche in Terra Santa, a Gerusalemme.

6. Che cos’è e che cosa rappresenta per Lei l’”Oratorio”? 
L’Oratorio nasce con San Filippo Neri nel 1500. Fu successivamente ripreso da Bach e da altri musicisti. Nasce per raccontare le storie di Dio alle persone in modo semplice ed efficace. E’ un potentissimo strumento di evangelizzazione! Tanti autori, lo stesso professor Frisina, hanno percorso questa strada. Oggi l’Oratorio è un’espressione ancora sottovalutata, sia perché comporta una certa comprensione, sia perché espone a dei costi. La nostra è un’operazione non commerciale poiché si basa sull’apporto di volontari che, dopo una giornata di lavoro, si sottopongono a ore e ore di prove. Gli orchestrali, poiché professionisti, sono retribuiti. I coristi sono anche essi professionisti nella vita ma volontari per l’Oratorio. Accade che talvolta essi stessi partecipino alle spese. Ciò sottolinea ulteriormente lo spirito che li anima. Tutto viene vissuto e fatto con fede. E la fede, che anima il Coro e tutto l’Oratorio, traspare nel canto, nella musica che diventano preghiera, gioia. E la fede fa perdonare talora qualche piccolo difetto tecnico.

7. Il Suo “Oratorio” è frutto di ricerca, riflessione, preghiera, ispirazione e composizione. Quali sono i luoghi e i tempi della giornata in cui è ispirato?
Per vivere devo lavorare. Pertanto molte ore della giornata sono impegnate nella mia attività che è una grande opportunità poiché rende liberi. Qualche tempo fa qualcuno mi ha detto che un artista non deve vivere per il pane. In realtà grandi artisti si sono posti a servizio delle Corti. E siamo contenti che ciò sia avvenuto. Non ci hanno privato della loro arte. Quando si è alla corte di qualche Mecenate, tuttavia, si è poco liberi. Specialmente quando si compone la musica sacra. I miei tempi creativi sono molto limitati: tarda sera, notte, sul motorino (mentre vado al lavoro), durante i giorni festivi. L’ispirazione avviene in qualsiasi momento, a tutte le ore, ovunque. E se parliamo di musica sacra è importante rilevare che l’ispirazione avviene in uno stato di preghiera, di riflessione, di ricerca. Un compositore, un artista, può comporre qualsiasi cosa in qualsiasi momento. La qualità e il contenuto fanno la differenza.

8. Le piacerebbe realizzare un Oratorio nella nostra amata terra d’Abruzzo?
Certamente sì! Che domanda è? Per noi ogni invito è dono.


F.to                 Gabriella Toritto 












#"Il Sorpasso di Montesilvano, #Marcello Bronzetti - Diocesi di Roma, #Famiglia Cristiana, #TV2000, #Pontificio Santuario di Pompei
Pubblicato sul numero del 20 aprile 2019 de "Il Sorpasso"

Per riflettere sulla Sanità
Prendo spunto dall’ennesima aggressione al personale sanitario del Pronto Soccorso di Pescara, consumatasi poco più di un mese fa per un’attesa troppo lunga e conclusasi con scontri verbali, fisici e conseguente intervento della Polizia. 
E’ solo uno degli ultimi incidenti occorsi nei luoghi del Servizio Sanitario Nazionale. In questi anni la Sanità va subendo molti tagli a discapito di una popolazione sempre più anziana e in difficoltà economiche.
L’Europa ha lanciato l’allarme sulla mancanza delle risorse e del personale sanitario. Secondo i dati Eurostat - l'Ufficio Statistico dell'Unione Europea - l’Italia nel 2016 aveva 557 infermieri ogni 100.000 abitanti, con una carenza di 50-60mila unità rispetto alla media degli altri maggiori partners UE. Peggio dell’Italia stavano Polonia, Cipro, Ungheria, Bulgaria, Slovenia, Grecia, Croazia e Romania. Commentando tali dati, la Direzione Generale per la salute e la sicurezza alimentare della Commissione europea ha sottolineato la carenza dei professionisti nell'assistenza infermieristica che potrebbe diventare più grave poiché la popolazione continuerà a invecchiare e una percentuale alta di infermieri andrà prossimamente in pensione. Le nuove norme prevedono la fuoriuscita degli infermieri dipendenti del SSN dal mondo del lavoro secondo “Quota 100” (calcolata in base agli anni di anzianità lavorativa e all’età anagrafica) che decimerà gli organici. Si prevedono da subito oltre 22mila infermieri in meno".

Non va meglio con il personale medico. Entro pochissimi anni andranno in pensione 52mila professionisti. Mancheranno soprattutto pediatri, specialisti d'emergenza-urgenza, anestesisti e internisti. Secondo Anaao Assomed “Le condizioni di lavoro nei reparti ospedalieri e nei servizi territoriali stanno rapidamente degradando. Il blocco del turnover, introdotto con la Legge n. 296 del 2006, ha determinato una carenza nelle dotazioni organiche di circa 10 mila medici. I piani di lavoro, i turni di guardia e di reperibilità vengono coperti con crescenti difficoltà …”.

Ancora il sindacato dei medici denuncia: “Quindici milioni di ore di straordinario non pagate, numero di turni notturni e festivi pro-capite in crescita, fine settimana quasi sempre occupati tra guardie e reperibilità, difficoltà a poter godere perfino delle ferie maturate rappresentano gli elementi su cui si fonda oggi la sostenibilità organizzativa ed economica degli ospedali italiani”. Nelle corsie ospedaliere mancano siringhe, medicinali a fronte dei “bonus” percepiti, oltre al proprio elevato reddito, dagli alti dirigenti per la produttività aziendale. Alcuni mesi fa il Codacons di Catania ha annunciato un esposto alla Procura e alla Corte dei Conti: «Perché premiarli, visti i disservizi negli ospedali?»

L’articolo 32, comma 1, della Costituzione italiana recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.”

Il contenuto del diritto che la Costituzione riconosce a tutti è complesso: il benessere psico-fisico, inteso in senso ampio, con cui s’identifica il bene “salute” si traduce nella tutela costituzionale dell’integrità psico-fisica, del diritto a un ambiente salubre, del diritto alle prestazioni sanitarie e della cosiddetta libertà di cura. Il diritto alla salute è fondamentale ed è tutelato anche dall’art. 2 della Costituzione: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”
Essendo poi intimamente connesso con il valore della dignità umana, l’art. 2 rientra nella previsione dell’art. 3 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Nella realizzazione del dettato costituzionale, tuttavia, i legislatori, i politici devono contemperare gli interessi connessi alla salute con quelli legati alla sostenibilità finanziaria del sistema Italia. Il diritto alla salute, quindi, deve essere bilanciato con il principio della regolarità dei conti pubblici, anch’esso costituzionalmente previsto nell’art. 81 e implicito nell’art. 97. E’ chiaro che lo Stato deve mirare ad avere i conti in ordine per potersi “permettere” di spendere nei settori di rilievo sociale. Il rispetto della regolarità finanziaria è anche funzionale all’impegno continuo dello Stato nel settore sanitario. E i conti sono legati alle entrate. E fra le entrate vi sono le imposte, le tasse, che vanno pagate. Molti cittadini purtroppo non ottemperano ai propri doveri. E’ pur vero che ci sono famiglie che non hanno sufficienti risorse economiche.
La Costituzione Italiana, all'art.53, fissa il principio della capacità contributiva secondo il quale “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”, cioè in base al proprio reddito.
Con il gettito delle entrate lo Stato finanzia i servizi pubblici di cui beneficiamo: l’Istruzione; il Sistema Sanitario Nazionale; le Forze dell’Ordine; la Giustizia ed altri servizi.
Fenomeni di evasione o elusione fiscale tendono invece a ridurre il gettito previsto, a danno dello Stato. Ne conseguono l’aumento del deficit pubblico e del debito e l’inevitabile diminuzione della spesa a vantaggio dei servizi ai cittadini.

F.to Gabriella Toritto

FONTI:
Il Centro di Pescara,mercoledì, 27 marzo 2019
S.I.G.M., Incontro con il Ministero della Salute 30/08/2018
Anaao.it
www.sudpress.it/denuncia-del-codacons-alla-procura-premi-erogati-dirigenti-asp-cata.
https://www.nurse24.it/infermiere/ordine/carenza-infermieri-allarme-ue-servono-piu-i..
www.fnopi.it/.../l-europa-lancia-l-allarme-carenza-piu-infermieri-per-la-nuova-demog.
www.quotidiano sanita.it, 07/01/2019





Pubblicato sul numero del 30 aprile 2019

La Storia, la Modernità e il Treno Intervista a Renzo GALLERATI

Tutti lo conoscono. Chi sia Renzo Gallerati lo sanno tutti: uomo politico, ancora giovanissimo è stato sindaco della città di Montesilvano.
E’ cultore della bella musica, della Memoria, della politica intesa come servizio e, poiché politico, attesta quotidianamente il suo impegno a servizio della comunità cui appartiene.
La città di Montesilvano riconosce a lui e alla benemerita ACAF, l’Associazione Culturale Amatori Ferrovieri, il merito del forte legame con la Comunità d’appartenenza.
Ha coltivato nel tempo una grande passione: il treno. Ci ha creduto e ha realizzato, assieme ad altri cultori ferrovieri, l’allestimento del Museo del Treno dell’Adriatico. Un altro museo è di Campo Marzio a Trieste, ricco di cimeli austroungarici, adesso chiuso per restauro e valorizzazione.
L’ACAF, a sua volta, si avvale di volontari che mantengono viva la memoria di un Paese, l’Italia, che, come altri al mondo, ha conosciuto la crescita, l’evoluzione tecnologica, economica e sociale attraverso la “via ferrata”.
La ferrovia è stata, suo malgrado, testimone storico delle deportazioni degli anni ’40 nello scorso secolo, quando carri-merci, usati come “tradotte”, trasportavano uomini, donne, bambini nei lager della 2° Guerra mondiale. Ebbene nel Museo del Treno a Montesilvano sono conservati alcuni di quei vagoni.
Fra poco il Museo del Treno rievocherà il 90° anniversario del tracciato ferroviario Pescara-Penne (1929-2019), riprodotto in scala per la felice fruizione delle scolaresche invitate a visionarlo nel coevo bagagliaio DI- 90052 del Museo.
Assieme all’ACAF, l’ex sindaco commemorerà il fatidico 25 aprile 1945, anniversario della Liberazione, giorno dalla portata storica per i valori di libertà e di democrazia di cui è portatore. Con l’esposizione di due automobili, mezzi storici di Collezioni Private “Forze dell’Ordine”, si intenderà ricordare le febbrili, convulse, drammatiche ore del 25 aprile 1945, che accompagnarono la liberazione dell’Italia, a guerra quasi conclusa.
Importante e condiviso dalla città di Montesilvano è l’allestimento della Teca in vetro, che dovrebbe essere finanziato in sinergia con la Fondazione FS Italiane, la Fondazione Pescara-Abruzzo, una Multinazionale del Vetro, per la realizzazione del Museo-Auditorium coperto. La Teca in vetro sarà a protezione della storia del sito, delle radici della Comunità.

Quelle avviate da Renzo Gallerati e dall’ACAF sono tutte iniziative di ampio respiro per cui la città prova molta gratitudine. Esse valorizzano il territorio, lo rendono vivo, lo sottraggono all’incuria e al degrado, come ha osservato il Direttore Generale di Fondazione FS Italiane, l’Ingegnere Luigi Cantamessa. Inoltre rispondono pienamente alla Strategia Europea 2020, agli obiettivi per una politica di coesione, per lo sviluppo del trasporto sostenibile, dell’economia a bassa emissione di carbonio ai fini di una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva.
La valorizzazione del sito ferroviario di Montesilvano, stimolata dalle scelte di Renzo Gallerati assieme ad altri partners, ed effettuata attraverso esperienze artistiche e culturali e attraverso l’incontro fra persone, ravviva il tessuto sociale, favorisce il rispetto dell’habitat e delle strutture esistenti. Ne consegue che ogni cittadino si sentirà di proteggere e rispettare il patrimonio che gli appartiene, che corrisponde al patrimonio, alla bellezza, all’igiene della città.
Altro progetto a cuore del dottor Gallerati è l’attivazione della Navetta storica Montesilvano-Sulmona verso la “Transiberiana d’Italia”, che favorirà, attraverso un “pacchetto turistico”: Mare-Monti, la scoperta del territorio, della sua storia, dell’eno-gastronomia, delle tradizioni artigianali e popolari, passando per Roccaraso, Campo di Giove fino a Pescocostanzo.

L’INTERVISTA
D.: Lei, Dottor Gallerati, pensa che il progetto della Transiberiana d’Italia potrà partire già da quest’estate?
R.: Ci sono delle procedure da espletare, vi sono delle norme da rispettare. Abbiamo in calendario degli incontri con altri attori del progetto, in particolare con la Regione Abruzzo, nella persona dell’assessore Febbo, per il finanziamento dell’1% che le Regioni possono destinare ai progetti sui Beni Storici. I treni ci sono. Sono già stati cantierati. L’iniziativa si avvale solo in minima parte del finanziamento pubblico. Il resto si basa su sovvenzioni private. La Lombardia, il Piemonte, la Toscana, la Sicilia con il grande successo della “Ferrovia dei Templi” hanno avviato da tempo la riscoperta in chiave turistica di spettacolari linee ferroviarie italiane e di borghi ricchi di storia e di arte. “Binari senza tempo” è il grande progetto di Fondazione FS Italiane e del suo Direttore, l’ing. Cantamessa. Se per ragioni di tempo non sarà possibile inaugurare la Navetta Mare-Monti per l’estate, sarà certa per la stagione autunno-inverno.

D.: Come socio-cofondatore del Museo del Treno, Lei, dottor Gallerati ha preferito la politica dei “piccoli passi” nella valorizzazione del sito storico-ferroviario di Montesilvano. Quali altri impulsi pensa di dare al Museo nel prossimo futuro?
R.: Montesilvano ha una cronica esigenza di spazi ricreativi. Abbiamo realizzato Palazzo Baldoni con la Sala Polifunzionale, la Sala Congressi, il Museo del Treno, dove si sta svolgendo l’intervista e luogo in cui sono cresciuto. Vorremmo, su progetto dell’architetto Volpe, realizzare la Teca, struttura polifunzionale, anche in previsione del teatro, dotata di impianto fotovoltaico per l’alimentazione energetica. La Teca dovrebbe essere costruita in vetro con capriate di acciaio, grazie ai contributi della Fondazione FS Italiane, della Fondazione Pescara-Abruzzo, del Comune di Montesilvano. Sarebbe edificato là dove esisteva il manufatto ligneo che l’11 ottobre del 1943 esplose assieme ai vagoni in un’incursione aerea.

D.: L’opera interattiva “Immi” dell’artista Fabrizi, inaugurata da poco, fa pensare alla Street Art. Impreziosisce l’ingresso alla stazione e invia un messaggio di alto profilo umano e culturale che si lega al termine “viaggio” in tutte le sue accezioni. Lei pensa che i cittadini, in particolare i giovani, possano assieme al Museo del Treno, alla Fondazione FS Italiane, agli Enti locali, concorrere in un programma di valorizzazione dei luoghi circostanti la stazione? Penso a dei concorsi da bandire attraverso il mensile “Il Sorpasso” per la realizzazione di murales e/o pannelli nei sottopassi del Centro cittadino che meriterebbero anche migliore illuminazione se non delle telecamere.
R.: Certo! Possono essere realizzati pannelli, murales. Si pensi ai murales e al sottopasso di via Michelangelo a Pescara che rievocano fra l’altro la “Coppa Acerbo”.

D.: A Suo avviso e alla luce della Sua esperienza, che cosa bisogna fare per preservare il patrimonio storico-ferroviario e la grande memoria di cui è depositario, per evitarne l’oblio, com’è successo ad altri siti?
R.: Bisogna renderlo vivo. Vorrei in questo luogo momenti di incontro, di dibattito, di confronto fra giovani e con i giovani. Non è bello vedere la gioventù persa. Desidererei qui un luogo dove vedere maturare una consapevolezza, una coscienza civica, sociale. Auspicherei qui un luogo di incontro per realizzare una staffetta fra generazioni. Ricordo che sono cresciuto qui. All’età di quattro anni guardavo con stupore il Capostazione. Mi sembrava potentissimo. Ai miei occhi era l’uomo che consentiva l’apertura al mondo. Egli determinava quando far partire uomini, merci, bestiame. Il Capostazione, unico al mondo ad avere il berretto rosso, emanava l’aura di colui che faceva girare il mondo, che decideva il destino di genti che si dischiudevano al viaggio! Ho discusso due tesi in Economia dei Trasporti sulla storia della Ferrovia. Per me la ferrovia è sempre stata avvolta da un alone di romanticismo. Prima del treno vi erano il cavallo, la carrozza. A Montesilvano c’era la parte alta, dove il signorotto Delfico deteneva il Comune a casa sua. Nel 1919 le automobili erano poco più di una. Le carrozze, ossia le “vetture” trainate dai cavalli, appartenevano al notabilato latifondista locale, di provenienza teramana. Con la ferrovia arriva il mezzo di trasporto che muove le masse. La modernità e la progressiva evoluzione urbana ed economica arrivano con il treno. La città moderna nasce con l’arrivo della locomotiva. La città si è evoluta con la stazione. I giovani devono, pertanto, conoscere la storia dei loro avi e forse il Museo del Treno consente loro la scoperta di un mondo a cui pur sempre appartengono, apparteniamo tutti.

D.: La Fondazione FS Italiane ha avuto un ruolo determinante in ciò che è stato realizzato finora?
R.: La Fondazione FS Italiane è la vera Treccani della Ferrovia italiana. La Fondazione è il baluardo di una grande storia. Tutto ciò che oggi è del Museo del Treno, un giorno tornerà alla Fondazione.

D.: uale ruolo ha avuto l’Europa, secondo Lei, nella riqualificazione e nella valorizzazione dei nostri siti abbandonati?QQuale ruolo, secondo Lei, ha avuto l’Europa nella valorizzazione dei siti abbandonati?
R.: L’Europa si costruisce su relazioni e su corridoi. Si ricordi il discorso tenuto da Cavour a Palazzo Carignano, a Torino, allora sede del Parlamento Subalpino. Nell’estate del 1857 Camillo Benso, conte di Cavour, dovette difendere la costruzione del traforo del Frejus contro le critiche degli oppositori, dei detrattori. Questi ultimi sostenevano che il tunnel fosse un’opera speculativa a vantaggio delle parti coinvolte nella sua realizzazione. L’Europa si costruisce attraverso le relazioni, i corridoi e i flussi economici che per quei corridoi passano. Oggi Val di Susa vanta una preziosità ambientale. Dobbiamo tuttavia stare in quel corridoio di flussi. A molti piacerebbe che ne rimanessimo fuori per occupare il nostro posto e fare loro gli affari. Il tratto da Ancona a Pescara fu finito in due anni, dal 1861 al 1863, grazie all’inarrestabile lavoro di uomini di grande volontà. Nel ‘900 attraverso la ferrovia che collegava Londra a Bombay e che passava per Silvi, Montesilvano, Castellammare, abbiamo conosciuto la lingua inglese. Prima di allora si conoscevano solo il francese e lo spagnolo. Intorno alle primissime stazioni ferroviarie scoppiò una vivacità urbana mai vista. Arrivarono i primi opifici, le prime fabbriche, gli alberghi, i negozi. Anche i luoghi deputati all’amministrazione dei borghi iniziarono a scendere a valle, come ad esempio a Montesilvano. L’impresa fu eroica, dato il lavoro immane che comportò e la situazione da cui si partiva. Era il dopoguerra. C’era la ricostruzione.


F.to                Gabriella Toritto


Montesilvano, lì 14/04/2019
Pubblicato a marzo 2019 su "Il Sorpasso"

A che punto è la Scuola?
Nelle ultime settimane diversi sono stati gli episodi di cronaca nera imputabili ad adolescenti, coinvolti in atti da codice penale.

Molti si chiedono: Le famiglie dove sono? La scuola che cosa insegna? Ma esiste ancora la scuola?

La scuola di un tempo, dove i ruoli erano rispettati, dove l’insegnante era l’Insegnante e dove la famiglia non interferiva nelle dinamiche che si consumavano all’interno delle classi, confidando nelle decisioni del maestro, non esiste più.

Oggi a scuola molti giovani non vogliono impegnarsi. Studiare costa sacrificio: ore e ore seduti e concentrati a leggere, comprendere, memorizzare. La posizione statica e la concentrazione che lo studio richiede non si confanno a giovani che non riescono a stare fermi, che sono in preda alle pulsioni, né vogliono apprendere.

Molti sono gli studenti che presentano a scuola scarsa autocensura e che si distinguono per un turpiloquio generalizzato, al di là del genere. Gli adulti non sono da meno. Sembra ormai che la parolaccia sia stata proprio sdoganata.

Nella speranza di essere ancora in tempo per modificare qualcosa, a mio avviso urge una revisione dell’istituzione Scuola. Così come è gestita, fatte le dovute eccezioni, non può che tradire completamente il fine educativo che le appartiene e fare ricadere sulla società il proprio fallimento.

Tanti sostengono che la scuola sia influenzata dai poteri forti, quali l’economia, la finanza. E’ probabile, poiché oggi si presta maggiore attenzione a formare il “lavoratore” piuttosto che l’individuo. La realtà, tuttavia, evidenzia che la scuola non è in grado di formare né il lavoratore, né l’individuo. Il “lavoratore” non si forma con l’alternanza scuola-lavoro. E l’allievo non viene formato come “Uomo”. Alla società occorrono innanzi tutto veri uomini prima che bravi meccanici, idraulici, ingegneri, medici. Se nell’individuo non c’è l’”Uomo” allora avremo, come accade molto spesso, manager capaci dell’esercizio più sadico del potere con i propri sottoposti. Gli esiti di tali condotte ricadono inevitabilmente sulla società tutta.

A scuola la formazione non coincide con l’istruzione. L’istruzione è il “passaggio” di contenuti mentali da una testa all’altra. L’educazione, invece, è cura della formazione del sentimento di una persona. Il sentimento si impara, è un contenuto culturale. Il sentimento è diverso dalle pulsioni.

Dai fatti di cronaca e da quanto accade nelle scuole si assiste a giovani che non conoscono la risonanza emotiva dei propri sentimenti. Per loro non c’è differenza fra insultare un professore o prenderlo a calci, fra corteggiare una ragazza o violentarla. Molti giovani non hanno la risonanza emotiva di una differenza reale. Sono privi di sentimenti. I sentimenti non si hanno in natura, sono culturali, si imparano in famiglia, così come sono stati appresi anticamente dalle tribù primitive che raccontavano miti, dalle nonne che raccontavano storie per insegnare la differenza fra il Bene e il Male, fra le cose giuste e le cose ingiuste.

Gli stessi miti greci offrivano una galleria di sentimenti, di passioni rappresentate da divinità come Zeus, il potere, Atena, l’intelligenza, Apollo, la bellezza, Dioniso, la follia. Ai nostri tempi, purtroppo, non ci sono più i miti, e nelle scuole si dà poca importanza alla Letteratura, la quale ci insegna l’amore in tutte le sue declinazioni. Ci narra il dolore, la tragedia, la disperazione, la noia. Se un giovane non impara a conoscere tali condizioni di sofferenza, come farà a riconoscere e gestire i propri stati d’animo? Accade quindi che, come sostiene il professor Galimberti, filosofo e psicologo, il giovane sta male e non sa spiegarne la causa, poiché “non possiede il vocabolario dell’apparato sentimentale”. E, se uno è privo di sentimenti, può commettere qualsiasi azione, come i bulli che, non possedendo un linguaggio, si esprimono con i gesti.

La società contemporanea ha imposto l’apprendimento del linguaggio informatico che trova ampio consenso a discapito della letteratura, della lettura. Generalmente in classe leggono due o tre studenti, gli altri sostengono le interrogazioni ricavando qualche informazione da Google. Diversi sono gli studenti che non sanno sfogliare un dizionario, altri non comprendono un testo scritto, altri ancora non sanno che dopo il punto ci vuole la maiuscola. C’è chi non sa scrivere in corsivo! Si assiste a un analfabetismo di ritorno.
L’informatica concorre a ciò, riducendo il linguaggio a poche parole. Sempre il professore Galimberti afferma che “se si hanno poche parole in bocca, non si hanno tanti pensieri in testa, poiché i pensieri sono proporzionati alle parole che si possiedono”. Dunque se ho poche parole, penso poco. E, quando un Popolo pensa poco ed è incolto, come noi Italiani, allora quel popolo perde su tutti i fronti, soprattutto sul fronte economico e storico, oltre che sociale e politico.

La scuola fino ai 18 anni dovrebbe essere luogo di formazione dell’Uomo, a prescindere dagli indirizzi di studio intrapresi. Senza l’Uomo la società è persa. Invece oggi si presta attenzione alla cultura della “prestazione”. Anche nei licei non si svolgono più i temi, sostituiti da prove sulla comprensione di un testo scritto. Galimberti vede in tale scelta la cancellazione del valore della soggettività del tema che, a quanto pare, alla scuola non interessa poiché la società esige solo prestazioni.

F.to    Gabriella Toritto
Pubblicato a fine Febbraio 2019 su "Il Sorpasso"

“Sotto il segno dei Pesci”

Marzo è alle porte e si avvicinano alcuni anniversari che vedono nati “Sotto il segno dei Pesci” i più amati cantautori del nostro panorama musicale: Antonello Venditti, 8 marzo 1949, che si avvicinò alla musica giovanissimo; Lucio Dalla, 4 marzo 1943; Lucio Battisti, 5 marzo 1943; Riccardo Cocciante, 20 febbraio 1946; Pino Daniele, 19 marzo 1955.
Instabilità emotiva, grande sensibilità, creatività e ingenuità sono alcune delle principali caratteristiche dei nati sotto il segno dei Pesci. Ultimo dei dodici segni dello zodiaco, quello dei Pesci è un segno mobile e d’acqua, governato da Giove e Nettuno. I nati sotto il segno vivono di percezioni profonde e comprendono la realtà attraverso l’intuito. Si affidano a un acume potente che consente loro di risolvere i problemi in modo immediato e di sciogliere i nodi dei problemi con doti quasi da veggente. Perspicaci e istintivi, non sono però impulsivi: in questo sta la forza della loro intelligenza.
I caratteri sopra esposti li ritroviamo nei Cantautori citati, nati sotto il segno dei Pesci durante e dopo il secondo conflitto mondiale. Essi hanno raccontato l’Italia degli anni di piombo, un’Italia lacerata dalla lotta armata e dal terrorismo.
Era quello degli anni ’70 il periodo della contestazione giovanile, del Sessantotto, della strage di Piazza Fontana: primo atto della strategia della tensione che caratterizzò quegli anni e che avvenne a Milano il 12 dicembre 1969.
Ero a quel tempo una studentessa universitaria a Roma. La capitale non conosceva pace. L’università era frequentemente occupata. Continue erano le manifestazioni di contestazione studentesca che si univano agli operai metalmeccanici in sciopero contro il potere, sordo a ogni cambiamento. Le forze dell’ordine, in assetto antisommossa, presidiavano le strade della città. Facevano paura. Allora ho incontrato e conosciuto personaggi che hanno scritto pagine della nostra storia.
Battaglia di Valle Giulia - Roma - 1 marzo 1968
Gli anni ’70 sono stati il periodo d’oro per la canzone d’autore italiana. Sembrava quasi che non si potesse far musica nel nostro paese senza introdurre temi politici o sociali nelle canzoni, senza mettere un’attenzione particolare nei testi, senza in qualche modo rifarsi agli esempi francesi o americani. In quella canzone e in quei cantautori si sono riconosciuti milioni di giovani in fermento. Sono nate allora diverse scuole, da quella romana a quella bolognese, che a loro volta s’ispiravano alla scuola genovese nata un decennio prima.
Il 1º marzo 1968 vi fu la famosa battaglia di Valle Giulia, a Roma: primo scontro cruento del movimento del Sessantotto contro le forze dell'ordine. Si trattò di un combattimento in cui gli studenti fronteggiarono le forze di polizia.

Antonello Venditti ha cantato a più riprese nelle sue canzoni quegli anni che hanno infiammato gli animi di molti giovani. In “Valle Giulia” il ricordo di amori del passato si unisce a quello degli anni di scuola e della partecipazione al movimento del ’68: “Valle Giulia ancora brilla la luna … Paola prende la mia mano caduta per sbaglio sui nostri vent’anni tesi come coltelli, come fratelli perduti forse qui architettura … sarà il profumo di questa città sarà la musica che viene da lontano sarà l'estate che brucia nelle vene sarà il passato che ancora mi appartiene …”.

Il ricordo riaffiora anche in “Sotto il segno dei Pesci”. L'album fu registrato a Roma nei Trafalgar Studios e a Londra ai Marquee Studios. Tra i musicisti sono da ricordare i membri del gruppo degli Stradaperta, già collaboratori di Venditti in Lilly. L'album, bellissimo e ricco di canzoni divenute dei classici, cantate allora dalla Meglio Gioventù, fu pubblicato il giorno del compleanno del cantautore, l'8 marzo. Divenne, suo malgrado, la colonna sonora di un periodo cupo per la storia italiana poiché solo otto giorni dopo, esattamente il 16 marzo 1977, Aldo Moro fu rapito dalle Brigate Rosse.

Tanti anni dopo Venditti ha affermato: “Era quello un disco che raccontava l' Italia che avevi davanti agli occhi, un' Italia violenta ma anche appassionata. Anche molto contraddittoria. E anche un' Italia paradossalmente libera. Il disco uscì l' 8 marzo 1977. Una settimana dopo ci fu il rapimento di Aldo Moro. In teoria sarebbe stato molto difficile incastrarlo in quei tre mesi di assoluto incubo che l' Italia stava vivendo. Invece il disco non fu cancellato dagli eventi, perché diceva una cosa piccola, semplice e vera: - ...Ma tutto quel che voglio, pensavo, è solamente amore. Ed unità per noi, che meritiamo un' altra vita. Più giusta e libera se vuoi. - Era quello che volevano tutti. E un paese che riesce, in un momento come quello, ad avere come sua colonna sonora una canzone così è un paese molto forte”.

Ti ricordi quella strada, eravamo io e te
E la gente che correva, e gridava insieme a noi
Tutto quello che voglio, pensavo, è solamente amore
Ed unità per noi, che meritiamo un'altra vita
Più giusta e libera se vuoi
Corri amore, corri non aver paura

Mi chiedevi che ti manca, una casa tu ce l'hai
Hai una donna, una famiglia, che ti tira fuori dai guai
Ma tutto quello che voglio, pensavo, è solamente amore

Nata sotto il segno, nata sotto il segno dei pesci

Ed il rock passava lento sulle nostre discussioni
Diciotto anni son pochi, per promettersi il futuro
Ma tutto quel che voglio, dicevo, è solamente amore
Ed unità per noi che meritiamo un'altra vita.



F.to Gabriella Toritto
Pubblicato su "Il Sorpasso" di Montesilvano - Novembre 2018

La Grande Guerra
Il fronte carsico
In questo mese, Novembre 2018, ricorrono i 100 anni dalla fine della Grande Guerra. 
Era quello il tempo della belle epoque e il dono della pace sembrava dovesse durare per sempre. A Parigi si viveva la ville Lumière in un ritmo frivolo e frenetico: dal ballo alla moda, al can can. Lo sviluppo economico, culturale e il benessere sempre più diffuso davano all'Europa l’illusione della propria grandezza, della propria forza e civiltà, di grandi attese. L'Europa si sentiva il punto di arrivo e di confluenza delle invenzioni, della tecnica e di tutte quelle virtù che l’avevano resa importante. Il progresso unificava i popoli europei, orgogliosi del frutto esaltante di secoli di lavoro e di incivilimento umano. 

Si trattava tuttavia di una pura chimera poiché ben presto quei tedeschi e quei francesi che, durante l'Esposizione Universale di Parigi del 1889, si erano incontrati inconsapevolmente sotto la torre Eiffel, si ritrovarono nel giro di poco tempo a spararsi, nascosti nelle trincee. 

Era il tempo a cavallo fra due secoli, che assisteva al trionfo della scienza, alla moltiplicazione delle scoperte e delle applicazioni tecniche. Era il tempo del progresso delle scienze sociali, dei metodi dell'analisi dell'anima, della psiche e del comportamento, ossia della psichiatria, della psicanalisi, della sociologia, della scienza della politica. Tutto appariva in crescita. L’uomo era fiducioso e sicuro. L’Europa si credeva l’”ombelico del mondo”, la “civiltà”. Aveva raggiunto un notevole grado di benessere e di sicurezza, una stabilità di ordinamenti, dei diritti civili e un soddisfacente grado di istruzione e di libertà. Non tutti i cittadini o sudditi, tuttavia, vivevano nelle stesse condizioni. Vi erano situazioni privilegiate, tipiche delle classi abbienti; mentre le classi inferiori erano organizzate e incoraggiate a nutrire fiducia in un futuro migliore dai movimenti sindacali e politici della sinistra. 

In Germania e in Austria, in Francia e in Gran Bretagna, così come in Russia e in Italia, seppure in misura diversa, i socialisti della Seconda Internazionale erano ben organizzati. 

Era un tempo di pace. Così si credeva ma di lì a poco i paesi, sopra citati, furono coinvolti nella bufera di quel conflitto europeo che qualcuno definì guerra civile, poiché vide coinvolti in una carneficina popoli fratelli, appartenenti allo stesso continente.

Grande Guerra, Great War, Große Krieg: tutti i paesi belligeranti la chiamarono così. Il termine “Grande Guerra” apparve già dal 1914, quando fu subito evidente che quella che per Germania e Impero austro-ungarico doveva essere una “guerra lampo” si sarebbe trasformata in un conflitto totale, mondiale e di lunga durata, a causa dell’estensione delle operazioni militari, dei milioni di soldati sul campo che ne avrebbero fatto uno scontro dalle dimensioni inedite e senza termine di paragone rispetto al passato.

La Grande Guerra, scoppiata nel 1914, si concluse nel novembre del 1918, dopo anni durissimi di combattimenti, di fame, di gelo, di morte incombente e di grande scoraggiamento che causarono molte diserzioni. Terribile fu il rigido inverno del 1916 nelle trincee del Carso. Ancora più terribile fu il 1917, quando alle insostenibili condizioni di vita si aggiunsero le sconfitte e, per gli Italiani, la disfatta di Caporetto. Andò meglio l’anno seguente, 1918, quando le forze alleate iniziarono ad avere la meglio contro i tedeschi e gli austriaci, e gli Italiani riportarono la trionfale vittoria di Vittorio Veneto, costringendo l’impero austro-ungarico all’armistizio e l’esercito tedesco all’isolamento. 

Seguirono le trattative di pace e la sottoscrizione dei Trattati. 

La guerra era finita … ma solo per poco.


F. to Gabriella Torittobriella Toritto
Pubblicato su "Il Sorpasso di Montesilvano" a gennaio 2019

La vera bellezza.
Il Natale è trascorso. Anche il Capodanno. Ognuno è tornato alle proprie attività quotidiane, al proprio tran tran: casa, scuola, ufficio, negozio, spesa, etc.: tutto in una inesorabile, frenetica corsa che snerva il corpo, il cuore, la mente.
E che cosa ci è rimasto di quel Natale ormai trascorso? Della veglia, della cena, dei parenti, degli amici, della tombolata: un lontano ricordo!
Che quel Natale trascorso da poco sia stata l'ennesima occasione mancata? Forse sì, se ci ritroviamo nervosi e inappagati come prima o ancora più di prima.
Qualche tempo fa in una nota trasmissione televisiva il critico d'arte Vittorio Sgarbi ebbe a dire che la religione cristiana ha prodotto la più grande bellezza artistica e che anche i musulmani devono esserne contenti poiché nella Natività del Nazareno si celebra e si rinnova la nascita dell'Uomo che ha condotto “una rivoluzione” e per cui “l'uomo non deve odiare l'altro l'uomo”.
Tornando al critico d'arte, secondo cui il Cristianesimo ha prodotto la più grande bellezza artistica di tutti i tempi, c'è da chiedersi come abbiano potuto i grandi artisti concepire e produrre cotanta bellezza! La risposta è nella Rivelazione del Verbo fattosi Carne.
Il Cristianesimo predica l’Amore e l’Amore è suprema bellezza. L’amore è Luce: la stella cometa inonda di Luce la grotta della Natività. L’Amore è dono: Dio si fa Uomo e si immola sulla Croce per salvare l’umanità.
Dante Gabriel Rossetti, L'Annunciazione
Il professor Sgarbi sostiene che “nessuna religione ha espresso tanta bellezza come la nostra”. L’affermazione è di un grande critico d’arte che avrebbe potuto appellarsi al retaggio culturale-artistico greco-ellenistico al fine di giustificare la grande rappresentazione iconografica cristiana/cattolica. E non lo fa. Ancora: il critico d’arte, nel suo monologo sul Natale, sostiene che il Cristo, fattosi Uomo, trasforma “homo homini lupus” in “homo homini deus”, il quale, senza negare la propria identità e integrità, non arreca male ad alcuno ma accoglie e abbraccia.
Il prof. Sgarbi individua proprio nell’umanità la grandezza del Cristianesimo/Cattolicesimo (diversamente, sia nell’Ebraismo sia nell’Islamismo, Dio è troppo grande per essere rappresentato dall’uomo!).
Il Dio incommensurabile del Cristianesimo, l’Onnipotente, l’Onnisciente, l’Onnipresente è il Dio che per Amore si fa Uomo e inonda di nuova Luce, Speranza e Carità le buie cavità dell’animo umano.
E’ vero che la grande bellezza artistica dell’iconografia cristiana si è sviluppata in ritardo rispetto alla Chiesa delle origini, attingendo all’iconografia pagana. E’ pur vero, tuttavia, che ha superato di gran lunga quest’ultima, avendo come fonte di ispirazione le Verità rivelate nelle Sacre Scritture, che hanno elevato gli animi e lo spirito di quanti si sono cimentati con l’arte. Già, l’elevazione dell’anima comporta la grande vera bellezza. Non la bellezza artefatta, non quella esteticamente corretta, anzi alterata dal bisturi; non la bellezza sfacciatamente esibita, ma una bellezza inondata di Luce e di Amore.
E’ stata proprio tale bellezza a ispirare la “Preghiera di S. Bernardo alla Vergine” nel XXXIII Canto del Paradiso dantesco. E’ stata tale bellezza a rendere grandi i capolavori di Pier della Francesca, di Giotto, di Caravaggio.
I maestri greci ci hanno insegnato che ogni essere, per diverso che sia, possiede tre caratteristiche trascendentali: essere unum, verum et bonum, ossia ogni essere vanta un’unità interna che lo lega all’esistenza. Ogni essere è vero poiché ognuno è come di fatto è. Ogni essere è buono poiché adempie il proprio compito assieme agli altri suoi simili, aiutandoli a esistere e a coesistere.
Successivamente Sant’Agostino e San Bonaventura hanno aggiunto una quarta caratteristica trascendentale all’essere: pulchrum, cioè bello. San Francesco, poeta ed esteta d’eccellenza, “nel bello delle creature ha visto il Bellissimo”.
Fiodor Dostoevskij è stato un convinto estimatore della bellezza. A lui si deve in L’idiota l’espressione: “La bellezza salverà il mondo”. Attraverso le storie narrate nei suoi romanzi il romanziere russo ha spiegato che la bellezza ci porta all’amore, condiviso con il dolore. Egli ha visto la bellezza nell’anima dei personaggi più perversi. Ha descritto soggetti immersi nella più profonda e abietta disperazione. Per lui il contrario di “bello” non era “brutto” ma l’utilitarismo, il cinismo, ossia la volontà, l’intento di usare gli altri “sottraendo” loro la dignità.
La Madonna Sistina di Raffaello Sanzio 
Il monaco benedettino A. Grun racconta che Dostoevskij andava almeno una volta l’anno a vedere la Madonna Sistina di Raffaello Sanzio e che rimaneva in lunga contemplazione davanti a quella splendida figura. Per Dostoevskij la contemplazione della Madonna di Raffaello costituiva terapia personale. Senza di lei avrebbe disperato degli uomini e di se stesso, davanti ai tanti problemi che vedeva. La contemplazione della Vergine da parte di Dostoevskij è molto sorprendente, dato che i suoi romanzi penetrano nelle zone più oscure e perfino perverse dell’animo umano. Nel romanzo I fratelli Karamazov il romanziere ha approfondito il tema della bellezza: un ateo, Ippolit, domanda al principe Mynski “in che modo la bellezza salverebbe il mondo?” Il principe non risponde alcunché. Si reca, invece, da un giovane di diciotto anni in agonia e rimane lì, pieno di compassione e di amore finché quello muore.

Il mondo potrà salvarsi finché ci saranno gesti come quelli del principe Mynski, che purtroppo oggi mancano!

Dostoevskij amava ripetere: “Sicuramente non possiamo vivere senza pane, ma anche esistere senza bellezza è impossibile”.

Anche Papa Francesco ha dato speciale importanza alla trasmissione della fede cristiana attraverso la via Pulchritudinis (la via della bellezza).
Ma ai nostri tempi dov’è la bellezza? Ci sono giovanissimi che si recano in discoteche, per loro anche fatali, e pagano per osannare canzoni che seminano violenza, discriminazione, volgarità e ogni tipo di oscurità, severamente condannate (le canzoni) anche dai giornalisti più anziani e navigati!
Non è forse giunto il momento di fermarsi a riflettere un po’, a discernere ciò che è bello, giusto e buono? Non è forse arrivata l’ora di raccogliersi e isolarsi un po’ dal delirio imperante?

Dunque facciamo in modo che il Natale trascorso diventi l’occasione per scandagliare il nostro cuore e riflettere sull’autentico significato, sul messaggio e sulla bellezza della Natività.


F.to    Gabriella Toritto
Pubblicato su "Il Sorpasso" di Montesilvano il 22 dicembre 2018

La Tv: madre benigna o perfida matrigna?

Della Tv misconosciuta, della Tv poco amata dalla Scuola, della Tv incontrollabile e generalizzata si è scritto molto finora.
Schiere di scrittori, docenti universitari, insegnanti, pedagogisti, psichiatri hanno detto e scritto la loro sulla Tv, ora esaltandone l’uso e la fruizione, ora condannando. Vastissima è la letteratura sui pregi e sui difetti della Tv.
Molti sostengono che la Tv sia il mezzo di comunicazione di massa meno colto, di più facili accesso e fruizione, soprattutto per le classi sociali svantaggiate, nonché la baby-sitter a cui molti genitori affidano i propri figli. La Tv viene anche accusata di indurre i bambini e i giovani alla passività e alla violenza.
Di certo si può affermare che la Tv “è partecipe dell’evoluzione in profondità dei comportamenti sociali, (…) proprio in ragione del fatto che in essa, attraverso le sue caratteristiche materiali, tecnologiche, passano nuove forme di pensiero”[1]. La Tv ha modificato il nostro rapporto con il tempo, ha cambiato i nostri passatempi, divenendo essa stessa strumento di svago. E poiché è un media, relativamente nuovo, ha influito sul clima culturale della società odierna, soprattutto di quella occidentale.

F. Mariet sostiene che la Tv “è questione di tecnologia, di percezione, di marketing. Non di morale. Essa muta più lo sguardo che le cose guardate”
Dunque, se si riconosce alla Tv il potere di mutare lo sguardo dei suoi fruitori, forse questi ultimi, e non solo, un problema devono pur porselo.
V. Andreoli, in Giovani[3], descrive una gioventù confusa da un “bombardamento di immagini”; traccia il profilo di giovani dell’hic et nunc, del qui ed ora, dell’eterno presente, dell’avere, anzi del possedere, e non dell’essere; di giovani che legano la propria esistenza alle cose: se non si possiede quella cosa (si tratti dello smartphone di ultima generazione o di altro in voga) si è degli esclusi, si è dei “vinti”, si smette di esistere.
Qualcuno obietterà che le responsabilità dell’educazione dei giovani ricadano sulla famiglia e sulla scuola. Oggi, tuttavia, esistono diverse agenzie educative che influiscono sulla formazione e sulla crescita dell’infanzia e dell’adolescenza. Esse spesso entrano in conflitto con l’educazione classica di un tempo in cui un padre, una madre, una rete parentale erano in grado di “impostare” ed orientare i giovani.
Anche la Tv è a tutti gli effetti un’agenzia educativa che addirittura precede la scuola stessa, e, in quanto tale, deve porsi la questione morale. Si tratta in fondo anche di un servizio pubblico e come tale deve essere realizzato e implementato.
Quando ci si appella alla questione morale non si auspica alcuna repressione, neppure una vigilanza sospettosa e minacciosa. Non si chiede la censura. Gli addetti ai lavori, tuttavia, in primis i dirigenti delle emittenti televisive, gli stessi opinion leaders devono maturare la consapevolezza e la responsabilità del linguaggio e dei comportamenti usati, ostentati.

Già Platone nel V libro della Repubblica esortava i poeti e i commediografi del suo tempo a proporre eroi e immagini moralmente utili alla crescita degli adolescenti. Figurarsi dei bambini! Il filosofo greco sosteneva infatti con la “teoria della mimesi” la tesi dell’imitazione, per cui l’esposizione a scene di violenza, continue e gratuite, a suo avviso, potevano indurre nei bambini, nei giovani una reazione analoga per imitazione e/o per assuefazione.

Diversi studi statunitensi, già molti anni fa, sostenevano che “la presenza della televisione nelle case degli americani ha prodotto la peggiore delle epidemie di violenza giovanile che il paese abbia mai conosciuto” [4]

Oggi, quotidianamente, anche nelle fasce orarie pomeridiane, si fruiscono immagini e linguaggi non adatti neppure a un pubblico adulto. Vi sono programmi di successo, talk show, i cui opinion leaders si esprimono e si comportano in modo diseducativo, favorendo esempi di bullismo e di turpiloquio. Questi sì che sarebbero da censurare, anzi da denunciare!


F.to Gabriella Toritto


[1] Lasciateli guardare la Tv, F. MARIET, Collana prospettiva 2000, Scuola e Società, ANICIA srl.
[2] Giovani, V. ANDREOLI, RIZZOLI Ed., 1995
[3] Winn, M., Tv Drogue, Fleurs, 1977
Pubblicato il 28 novembre 2018 su "Il Sorpasso" - Il Mensile di Montesilvano

La ri-nascita

“Non è stata la terra a generarmi, e nemmeno i cieli, ma solo le ali di fuoco”
Queste si racconta fossero le parole incise sull’ala destra della Fenice.

Leggendo gli articoli “L’ecumenico” e “Non brucia la speranza” del numero di ottobre de “Il Sorpasso”, rifletto come la leggenda dell’araba Fenice calzi con le riflessioni degli autori, gli amici Mauro De Flavis e “Girolamo Savonarola”.
“Ecumenico” deriva dal termine “ecumene”, in greco oikūménē (gê) ossia ‘(terra) abitata’. Nella nostra lingua può indicare sia la parte della Terra dove si trova l’habitat favorevole alla dimora permanente dell'uomo sia la comunità universale di fedeli. “Ecumenico” sta per ciò che appartiene a tutta la Terra abitata e quindi universale. Così come universale è il mito della Fenice, un uccello bellissimo, forse un airone con piume d'oro, con bagliori di fiamma, che riappariva ogni 500 anni.

La prima versione del mito è quella dell’Egitto delle prime dinastie, in cui la Fenice è rappresentata come un passero, o come un airone cenerino. Secondo la tradizione dell’antico Egitto la Fenice non risorgeva dalle fiamme, come narrano i miti greci e quelli successivi, bensì dalle acque. Per gli antichi Egizi Bennu, era un uccello sacro, successivamente identificato dai greci con la Fenice. Rappresentava il Ba, ossia l'anima del dio Ra, il Sole.
Esiodo è il primo poeta greco a menzionarla nel VII-VIII secolo a.C.. Erodoto, scrittore originario dell’Asia Minore, ricorda la Fenice nel secondo libro, dedicato all'Egitto, delle sue Storie. Ovidio, nelle Metamorfosi (XV,392), la descrive così: "Esiste un uccello che da solo si rinnova e si riproduce: gli Assiri lo chiamano Fenice; non vive di frutti né di erbe, ma di lacrime d'incenso e di succo di cardamomo."
Nell'antica Roma la Fenice diviene simbolo dell'energia vitale dell'impero che riusciva a rinnovarsi. Essa è effigiata su monete e mosaici.
La Fenice è un racconto universale, ecumenico, che si riscontra nelle tradizioni orali, e poi scritte, di molte antiche civiltà, da quelle orientali a quelle occidentali. Essa in tutte le versioni, precedenti l’avvento del Cristianesimo, ribadisce sempre il concetto della ri-nascita. Dopo la diffusione del Cristianesimo sono i Vangeli e l’Apocalisse a narrare una ri-nascita: la Resurrezione. In particolare l’Apocalisse riporta l’allegoria di un regno di 1000 anni per indicare il periodo fra la prima resurrezione di Gesù, il Cristo, e il ritorno del Risorto alla fine di tutti i tempi.
Dante Alighieri nella Commedia (Inferno XXIV, 107-111) così la descrive:
“che la fenice more e poi rinasce,
quando al cinquecentesimo appressa
… nardo e mirra son l'ultime fasce."


L’esigenza della ri-nascita, della resurrezione, è avvertita dagli uomini di tutti i tempi, forse per assicurarsi l’immortalità. L’uomo credeva nell’anima. Il termine “psiche” si trova per la prima volta in Omero, associato all’anemos – il soffio vitale.
E se il soffio vitale, l’anemos, è immortale, nulla di ciò che è immateriale, spirituale, può essere distrutto. Può essere offeso, oltraggiato, vituperato ma non distrutto. Così la fede in un Dio, così il pensiero dei grandi uomini, così la memoria di quanto ci è più caro. Anche un luogo di culto è caro, anzi sacro e, nella sua sacralità, prezioso e insostituibile per quanti in quel luogo hanno pregato e “parlato” con il proprio Dio.
Secoli di storia, persecuzioni, distruzione e morte, che hanno messo a ferro e fuoco le prime comunità cristiane, ci hanno mostrato che sotto la “cenere c’è il fuoco”, quel fuoco che è “sì simbolo di distruzione ma anche … di rinascita”, come “Savonarola” ha scritto sul numero di ottobre.


F.to Gabriella Toritto
Pubblicato su "Il Sorpasso" di Montesilvano nel mensile di ottobre 2018

Il Sorpasso e l’anima
Sono una new entry della testata giornalistica Il Sorpasso, in cui lavorano persone che non conoscevo ed altre che invece conosco da tantissimo tempo e di cui ho sempre apprezzato l’impegno civile e la personalità. Ritrovandomi con loro, ho ulteriormente apprezzato l’amore per la comunità in cui operano e ho maturato quanto segue.
Nelle corti medievali fra i passatempi preferiti vi erano la lettura e la narrazione delle chanson de geste, che costituivano momento conviviale, in cui si cementavano rapporti d’amicizia, assolvendo un’alta funzione sociale. 
La narrazione, la parola evocavano emozioni, sentimenti che univano i cuori e le menti di quel tempo, quando in pochi sapevano leggere e scrivere.
Conseguita l’unità d’Italia, furono banditi concorsi perché gli scrittori di allora concepissero opere con finalità pedagogiche, atte a formare le giovani generazioni del neonato Regno d’Italia. Nacquero così capolavori come il libro “Cuore” di Edmondo De Amicis, “Giannetto” di Luigi A. Parravicini, “Pinocchio” di Carlo Lorenzini. Insomma: “fatta l’Italia, bisognava fare gli Italiani”. 
La narrazione, tuttora, rappresenta un traguardo di crescita, un dono. Il dono è diverso dallo scambio. Il dono è offerta di un’intimità, che non aspetta una restituzione.
La narrazione è anche un’esperienza estremamente fisica, corporea che investe la mente, i sensi, etc.. La narrazione è comunione. E’ relazione fra anime per partecipare di uno stesso segreto. Essa comporta un mettersi in gioco, un margine di rischio personale, in cui tutti sono coinvolti, e pertanto in gioco: tanto chi scrive, quanto chi legge o ascolta. 
La scrittura e la lettura, oggi, sono un diritto di tutti, almeno nei paesi democratici. Lontano è il tempo in cui era privilegio di pochi. E lontana è la geografia di quei territori nei quali i libri sono, oppure sono stati, bruciati e la stampa “imbavagliata”.
Oggi, nel mondo occidentale, la stampa gode di una libertà di espressione e di informazione rispettosa della pluralità delle idee ed è coraggiosa assertrice delle evidenze oggettive ed inoppugnabili. 
Il Sorpasso, fin dalla sua nascita, è stato sempre animato dall’intento di porsi a servizio della propria comunità, la città di Montesilvano. Il Sorpasso narra e rappresenta la comunità che “serve”, Montesilvano, in tutti i suoi aspetti con la vocazione di concorrere alla sua crescita, alla sua evoluzione e sviluppo. Il Sorpasso osserva con gli occhi del cuore. Un cuore che pulsa per la comunità in cui opera. La comunità e il giornale assieme sono in costante cammino. “Crescono” insieme. Il Sorpasso racconta Montesilvano e, nella sua narrazione e informazione, unisce gli intelletti e i cuori dei suoi lettori, tutti proiettati alla comprensione e all’elaborazione degli argomenti proposti. Il Sorpasso dunque adempie un’importante funzione sociale e civica. Il Sorpasso rivela così un’anima che vibra alto, che aspira al bene della collettività e della città in cui opera e per cui si adopera. Il Sorpasso è l’anima di Montesilvano. E’ un giornale periodico che vuole liberamente e incondizionatamente raccontare, informare la propria Comunità. 
La libera informazione coincide con il diritto di ogni cittadino ad essere informato. Tale libertà, tale diritto sono garantiti sia dall’art. 21 della Costituzione Italiana sia dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. La libertà di stampa costituisce elemento portante della democrazia. 


F.to Gabriella Toritto


Gabriella Toritto

martedì 14 luglio 2009

mercoledì 8 luglio 2009

Ai Potenti della Terra. G8 in Abruzzo

Tu che tremi ancora in più parti del mondo facendo ascoltare la veemenza della Tua voce, Tu che vieni violato dalla bramosia di certi potenti, Tu che, nonostante tutto, provvedi ancora al nostro pane quotidiano, Tu sai bene quanta infamia si consuma sulla Tua "pelle".
San Francesco d'Assisi avrebbe detto: “Laudato si', mi Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti fior et herba.”
A nulla valgono i Tuoi lamenti, i Tuoi boati, le esplosioni delle Tue collere, mentre certi Grandi continuano, inebriati dai fatui successi, insuperbiti dalla smisurata ricchezza, sordi al dolore e alla
disperazione dei Tuoi figli, dei loro fratelli.
Si sentono padroni della Terra, di Te che sei la vera Signora, la Madre.
Cara Madre Terra, si potrebbe proprio dire che hai covato una serpe in seno. Già, l’uomo, ingordo e famelico, arrogante e prepotente, quel Caino, è la vera serpe nel Tuo seno. La Bibbia non sbaglia.
Cara Madre Terra, ora tocca a Te. Fa sentire forte la Tua voce. Fa che certi Signori, padroni delle armi, padroni della guerra, padroni dell’oblio, padroni della vita e della morte dei loro fratelli, padroni della menzogna si ravvedano. Fa che per un solo istante vedano con gli occhi del cuore che cosa significhi un figlio morto, un marito senza lavoro o torturato, una sorella stuprata, una figlia umiliata, una madre o un padre senza più forze e lacrime da versare. Fa che per un solo istante, quei Signori, rapiti in un sogno profetico, vedano il proprio desco coperto da insetti, piuttosto che dai succosi frutti dati dal Tuo humus; fa che vedano i figli con lo sguardo perso nel vuoto e il ventre gonfio di ascite. Forse solo allora temeranno e tremeranno.
Solo allora spereranno in un mondo più giusto, un mondo dove si possa pregare così
Laudato sie, mi' Signore cum tucte le Tue creature. Solo allora Tuo figlio, l’uomo, tornerà a guardare negli occhi l’altro Tuo figlio, suo fratello. Solo allora i Tuoi frutti saranno equamente divisi e distribuiti. Solo allora vi sarà un mondo di fratellanza, uguaglianza e libertà e Tu gioirai come tutte le madri felici di sapere i propri figli in pace e in armonia.

I have a dream.

mercoledì 11 marzo 2009

Scenari educativi

Intervento alla Settimana Pedagogica dell’Istituto Comprensivo Torricella Peligna (CH) Sabato, 5 luglio 2008
“Scuole A…per…Te… nessuno escluso”
Tavola Rotonda
1° Parte
Inizierò il mio intervento citando due situazioni che negli ultimi tempi mi hanno particolarmente colpita.
1. Contro la TV spazzatura gli studenti dell’Università “S. Raffaele” di Milano hanno da poco realizzato una campagna pubblicitaria “Miglioriamo la qualità della TV” a mio avviso significativa ed emblematica della condizione dell’uomo post-moderno, dunque anche dello studente di oggi. Basta consultarne il sito per apprezzare come sinteticamente, attraverso pochi script, gli universitari della Facoltà di Scienze della Comunicazione abbiano espresso l’evoluzione darwiniana dell’uomo in poche immagini, dagli ominidi, ovvero australopitechi, all’Homo neanderthalensis , all’homo habilis, all’homo erectus, al sapiens, al sapiens sapiens, o modernus con bibita e cannuccia in mano, non più troppo erectus, un po’ “ricurvus”, al post-modernus, obeso, impoltronito, passivo davanti ad una TV matrigna, ex maestra, ex artista, ex amica, con l’head line (slogan) che recita: ‘Che programmi avete per domani?’”…Dunque dall’evoluzione all’involuzione. Dall’esplosione delle grandi potenzialità all’implosione.
L’imbarbarimento della tv è speculare della società corrente. I giovani di oggi sono i figli della società da noi prodotta.
2. Due mesi fa, sfogliando un quotidiano, nelle pagine di cronaca locale, una foto, un nome, O …, e.. il ricordo di un mio alunno di una 1° media di diversi anni fa. Un tragico incidente a 18 anni. Il mio alunno, il “gigante buono”, così lo definivano nel quartiere, non c’è più. Attonita, dopo qualche istante di smarrimento, pensando anche al dolore della famiglia, mi sono chiesta “Come mi sono comportata con O.?”, “Che cosa ho fatto per lui?”
Venti giorni fa le notizie serali del TG regionale. Lo speaker informa su un inseguimento serrato delle Forze dell’Ordine contro due giovani per una rapina ai danni di una oreficeria. Due nomi, due foto segnaletiche mandate in onda. Una di esse attira la mia attenzione. Resto incredula: è L ..., mio alunno alle superiori. Anche lui ha da poco compiuto 18 anni. L., giovane capace, sensibile, ora è in carcere. Un suo elaborato scritto, testo descrittivo (scelse di descrivere una sua compagna, amica) fu valutato 7.1/2 per capacità espressiva, espositiva, per sensibilità di contenuti, per correttezza morfologica e sintattica. Letto dal Dirigente e da altri Docenti l’elaborato di Luca fu molto apprezzato.
Dov’è ora quel giovane? … Quella mente, quella sensibilità dove sono? Sono disperse. Quando ho iniziato ad insegnare a L., egli era già stigmatizzato. Nessuno lo diceva apertamente, ma si capiva che lo consideravano come irrecuperabile. Così è stato. Eppure a vederlo non si sarebbe detto. Certo aveva momenti in cui si chiudeva troppo in sé. Evidentemente nascondeva qualche segreto… Anche O. era stigmatizzato, sebbene allora fanciullo undicenne. Non nascondeva alcun segreto. E quali segreti può avere un bambino di undici anni? Forse non stava bene ed aveva bisogno di un bravo specialista. Forse era già seguito da un medico. Ricordo che era arrivato dalle scuole elementari già con lo stigma. Poi si parla di continuità …Quale?
“Faber est suae quisque fortunae”, sosteneva in una sua epistola Sallustio. Ma non è proprio così. Gli incontri incidono nella nostra esistenza. Dunque una buona scuola, dei bravi insegnanti, dei bravi compagni pesano sul nostro destino. … Non si parla forse di compagni di viaggio? Ebbene, se si hanno dei bravi compagni di viaggio ci si può ritenere superfortunati. Altrimenti la propria esistenza è segnata.
La mission della scuola, il suo compito, il suo dovere morale sono INCLUDERE, non STIGMATIZZARE. Lo stigma prelude l’esclusione, l’esclusione la dispersione, la dispersione comporta la negazione di ogni valore di civiltà, di sviluppo e di progresso... Il prezzo sociale da pagare poi è “salatissimo”. Quello morale è sotto gli occhi di tutti.
Pensando a O., pensando a L., ai miei due sfortunati alunni, mi è tornato in mente quando Papa Giovanni Paolo II, rievocando Galileo Galilei, chiese scusa alla scienza e quando, davanti al muro del pianto di Gerusalemme, chiese scusa al mondo ebraico nell’intento di esprimere un’autentica volontà di riconciliazione. Il parallelo non è poi così irriverente se si crede nella sacralità della persona.
Forse la scuola, nonostante il discredito sociale in cui versa e il mancato riconoscimento di tante eccellenti professionalità e dello spirito missionario che anima ancora molti, dovrebbe chiedere anche essa scusa ai tanti giovani che ha mortificato, giovani di cui non ha saputo riconoscere i talenti, le vocazioni, le inclinazioni, tutti carismi dispersi.
Di errori, a mio avviso, ne sono stati commessi tanti, alcuni sono risultati fatali.

Ma la scuola da sola non può farcela, così come la stessa famiglia, da sola, non ce la fa. I bambini, i giovani crescono bombardati da una molteplicità di input provenienti dalle tante informali agenzie pseudo-educative, pseudo-formative che pullulano alla ricerca del facile “arruolamento” di facili e fragili consumatori che si danno, anima e corpo, in pasto, pur di apparire. E non importa dove, come e con chi.
Ancora. Seppur unite, scuola e famiglia arrancano. Occorrono anche le Istituzioni. L’ASL. Il medico, lo specialista, lo psico-terapeuta, devono tornare a scuola.
Gli Amministratori devono assumere anch’essi, come missione, come servizio alla comunità, il ruolo cui sono preposti.
Occorre la Rete di figure valoriali adulte. Quella Rete in cui molti di noi sono cresciuti, accolti e protetti. La grande famiglia. I parenti. La solidarietà delle piccole comunità dove tutti si conoscevano, dove tutti hanno concorso, da veri tutori, alla crescita di virgulti riottosi, insubordinati, a volte troppo vivaci.
Se ciascuno di noi concepisse la propria esistenza come impegno, come servizio, e non come vissuto goliardico ed epicureo, allora, forse, il cammino dell’uomo procederebbe costruttivo. Gli stessi giovani avrebbero modelli viventi cui riferirsi, ne apprezzerebbero la fatica, l’impegno.
Si parla molto attualmente di emergenza educativa. Questa è legata proporzionalmente alla crisi che coinvolge l’adolescenza e la giovinezza. Siamo di fronte a giovani abbandonati a loro stessi, nell’indifferenza generalizzata, nella debolezza della vita affettiva, nella povertà degli scambi, delle relazioni, in solitudine, nella perdita di fiducia nelle istituzioni e nei valori tradizionali, nella precarietà della formazione che non assicura più il loro futuro. Da tali difficoltà scaturisce un sentimento individuale e collettivo d’angoscia e di insicurezza, di dipendenza economica prolungata, in contrapposizione ad una maturazione biologica e culturale precoce.
Tornando alle agenzie educative, ad esempio alla TV ex maestra, ex artista, ex amica, oggi perfida matrigna che, parafrasando G. Leopardi, “non mantiene ciò che promette allor”, possiamo considerare di espugnarla usando il “cavallo di Troia”, il quale altro non è se non la conoscenza di come essa nasce, di come viene “montata”.
Ruolo del maestro è, dunque, non tanto denunciare, quanto far conoscere i modi di produzione della cultura mediatica; dimostrare come il trattamento delle immagini, specialmente attraverso il montaggio, possa dare un’impressione arbitraria della realtà; commentare le trasmissioni seguite dagli allievi, pur curando la trasmissione dei saperi.
Si potrebbe partire dal commento di serie televisive per rimandare alle opere dei classici, poiché le prime, come le seconde, si nutrono degli amori, degli odi, delle speranze, delle aspirazioni, delle disperazioni dell’uomo; traggono spunto dalle paure, dalle ossessioni dell’esistenza umana di tutti i tempi.
Ora la narrazione di tali argomenti affascina i giovani, come gli adulti, poiché la narrazione ha affascinato dalla notte dei tempi. Ognuno di noi, attraverso la risonanza emotiva, le evocazioni delle narrazioni, vive un processo di immedesimazione. Pertanto il racconto, la narrazione non vanno disdegnate. Costituiscono un importantissimo tassello nel processo di costruzione del Sé. Nel mondo ebraico il capo famiglia spessissimo rievoca, narra il passato della propria gente, la storia della propria famiglia. Il racconto, la narrazione diventano così un vero e proprio rito, che conferisce identità, memoria, intimità che rinsalda i vincoli. Anche nelle corti medievali la narrazione veniva fatta per rinsaldare i vincoli di amicizia.
Senza la costruzione del Sé, senza l’identità di Sé ci sono i disturbi della personalità.
Vale la pena, a proposito, ricordare Peter Pan, il quale, per convincere Wandy a tornare con lui nel “Paese che non c’è”, le dice che lì potrebbe insegnare ai “bambini smarriti” a raccontare storie. Infatti se le sapessero raccontare, potrebbero crescere, imparerebbero a crescere.
L’invezione narrativa stimola fra l’altro l’immaginazione, il pensiero divergente. Morin, Bruner, Gadner danno grande importanza alla cultura umanistica, alla lettura dei classici, che sono riusciti a spiegare l’affanno umano, la fatica di vivere.
Narrare, conoscere storie, miti, strutturano e nutrono l’identità di persona.
Un sistema educativo, una teoria pedagogica, un indirizzo politico-nazionale di ampio respiro, che sottovalutano il contributo della scuola allo sviluppo dell’autostima degli alunni, falliscono in una delle funzioni primarie, falliscono come agenzia formativa a vantaggio di una miriade di agenzie “antiscuola”, dove molti giovani si rifugiano per compensare il fallimento vissuto a scuola.
Le “agenzie antiscuola” sono bande di “micro-criminalità” che rinfoltiscono le loro fila con adolescenti alla ricerca della propria identità e del rispetto dei pari. Gli esiti di tale concorrenza sono evidenti negli USA, dove vengono alienati abbastanza ragazzi neri da sbarcarne un terzo in prigione prima dei trent’anni. Da noi la situazione sociale fa presagire uguale destini se non si corre ai ripari.
Se la capacità d’azione (saper fare) e la stima (saper essere) sono essenziali per la costruzione del concetto di Sé, allora il funzionamento del sistema scolastico va esaminato anche in funzione del contributo dato a queste due componenti essenziali della personalità.
Sono da valorizzare una maggiore partecipazione e corresponsabilità nella scelta e nel raggiungimento degli obiettivi in tutti gli aspetti delle attività scolastiche.
E’ urgente allora implementare il diritto alla cittadinanza attiva. Tale concezione, cara alla tradizione progressista in campo educativo, è in linea con il principio costituzionale secondo cui, in una democrazia, diritti e responsabilità sono due facce della stessa medaglia.
Bruner sostiene che in molte culture democratiche ci si preoccupa troppo dei criteri formali del “rendimento” e degli aspetti burocratici dell’istruzione, in quanto istituzione, tanto da trascurare l’aspetto personale dell’educazione. Anche Morin, come Bruner, rivaluta l’importanza della cultura umanistica, in particolare della narrazione, del romanzo. Laddove vi è una storia insufficiente, incompleta, inadeguata su se stessi, nasce, si sviluppa una nevrosi. E’ probabile che la narrazione abbia la stessa importanza e funzione per la coesione della cultura quanto per la strutturazione di una vita individuale, personale.
Sentirsi a proprio agio nel mondo, sapendo dove collocarsi in una storia autodescrittiva, oggi è reso ancor più difficile dai flussi migratori.
Un bambino, un ragazzo, che arriva da Tunisi a Milano con la famiglia, è letteralmente sradicato, disorientato e, per quanto multiculturali siano gli intenti degli operatori scolastici, il fallimento dell’integrazione sarebbe certo se non intervenissero le associazioni del territorio in grado di aiutare l’immigrato, di sostenerlo, di riempire il vuoto venutosi a creare nella sua esistenza.
Ma perché la narrazione sia strumento della mente, capace di dare significato, bisogna leggerla, farla, analizzarla, sentirne l’utilità.
L’affabulazione, la narrazione, la lettura, la rappresentazione teatrale sono importanti tanto per il bambino, quanto per l’adolescente, per quel ragazzo che cresce, ma che non vuole crescere, che ha paura di crescere, che sospende i legami affettivi con la famiglia, con i genitori, che contesta, per costruire una sua nuova identità. Dirò di più. Proprio nella fase di crescita evolutiva in cui l’adolescente vive un “lutto”, quando “disprezza” l’infanzia, la famiglia esterna, il corpo, proprio allora, la lettura, la narrazione, l’immedesimazione teatrale possono aiutarlo a proiettare e a dissolvere le sue turbolente conflittualità. Così il libro, la narrazione, il teatro diventano luogo privilegiato all’ascolto, momento di sospensione del giudizio, momento cui aggrapparsi al risveglio al mattino.
La scuola che non tiene conto della psicologia dell’età evolutiva e del dolore inconscio provato dall’adolescente nel distacco dall’infanzia è una scuola decontestualizzata. La scuola che non tiene in conto un’ospedalizzazione infantile, una malattia infantile, un lutto è decontestualizzata. Una scuola che non tiene in debita considerazione di come e quanto siano cambiate l’infanzia e l’adolescenza di oggi, rispetto a quelle passate, è decontestualizzata.
I tempi e i ritmi dei nostri ragazzi sono notevolmente accelerati, i campi di interesse anticipati. Lo si comprende attraverso lo studio dell’editoria per l’infanzia, per l’adolescenza e dalla produzione libraria ad esse dedicate.
E’ innegabile che la TV abbia contribuito non solo ad anticipare i campi di interesse, spingendo il/al consumismo, ma ha anche accelerato la rapidità di apprendimento. Come? Oggi gli spot pubblicitari, seppur brevi, hanno già una story-board. I bambini di quattro anni sono ormai allenati, grazie ad essi, a capirne la truttura narrativa, se non ad anticiparne le sequenze. 60 anni fa la struttura narrativa veniva appresa forse in terza elementare, quando era ormai sviluppata una certa libertà nella capacità di lettura.
Ma tempi, ritmi accelerati, campi d’interesse anticipati ci ricordano l’iperattività, la superficialità, la tensione nervosa che distingue le giovani generazioni, rendendole spesso ”non-scolarizzate”. Un antidoto, una buona terapia, che consenta loro di recuperare ritmi più sostenibili, può essere costituita proprio dalla narrazione, dal teatro, dove tempi e luoghi fisici vengono annullati per divenire onirici.
Tuttavia la lettura, la narrazione, la drammatizzazione non vanno confusi con gli obiettivi didattici, essi sono, un traguardo di crescita, un dono, uno scambio, l’offerta di un’intimità. Inoltre costituiscono un’esperienza estremamente fisica, corporea, poiché protagonista non è solo la voce ma tutto il corpo. Corporea è la voce, corporeo è l’orecchio che ascolta. Con l’esperienza della narrazione, del teatro avvengono il contatto, la comunione, la relazione fra anime per partecipare di uno stesso segreto. E quale migliore esperienza per giovani e bambini così tanto soli? Nel contempo comporta anche qualche rischio poiché ci si mette in gioco, tutti, tanto chi narra, legge, recita, quanto chi ascolta.
E’ auspicabile quindi un cambiamento misurato che rinnovi un sistema come la scuola, da sempre istituzione che insegna ma che non apprende, in quanto organismo che più di ogni altro si manifesta resistente alle innovazioni, forse perché essa, la scuola, è luogo deputato alla memoria, alla tradizione. Di qui probabilmente il disagio dei giovani che avvertono di essere incompresi.
Oggi è necessario che la scuola, riscopra la vocazione per cui è nata: l’eplorazione, la ricerca, la proiezione nel futuro, forte degli strumenti trasmessi dalla tradizione.
Gardner in “Sapere per comprendere” sottolinea come negli ultimi anni i progressi della scienza e della tecnica siano stati esponenziali. A fronte di tale rivoluzione copernicana, la scuola è rimasta quasi come quella di un secolo fa: prevalenza della lezione frontale nella didattica, esercitazioni scritte, attività decontestualizzate.

Bullismo

Convegno Comune di Lanciano, lì 20 novembre 2008

BULLISMO e SCENARI EDUCATIVI
La situazione in Abruzzo

In data 9 luglio 2008, a L’Aquila, presso Palazzo Centi, si è insediato l’Osservatorio regionale sul bullismo, voluto e ricostituito dal Direttore Generale dell’U.S.R. per l’Abruzzo, Prof. Carlo Petracca, al fine di contrastare il disagio, raccordare le proposte degli Uffici Scolastici Provinciali, sensibilizzare le famiglie, valorizzare le buone pratiche, monitorare la situazione.
L’Osservatorio regionale sul bullismo consta di una pluralità di componenti, ovvero di Soggetti Istituzionali: l’Ufficio Territoriale del Governo, la Questura della città capoluogo di regione, il Comando dei Carabinieri, l’Ufficio Qualità dei Servizi Sociali della Regione, l’A.N.C.I. Abruzzo, l’U.P.I. Abruzzo, la C.E.I. Abruzzo, il Dipartimento di Prevenzione della Sanità Regione Abruzzo, il Dipartimento di Giustizia minorile, il Tribunale dei minori, 3 Dirigenti Scolastici, i Docenti comandati presso gli Uffici Scolastici delle 4 province d’Abruzzo, un Dirigente Tecnico, in qualità di coordinatore dell’Osservatorio, il Presidente della Consulta degli Studenti di L’Aquila, le Associazioni dei Genitori in Abruzzo, il Centro Servizio Volontariato, l’Ordine dei Giornalisti, il Comitato regionale Abruzzo per l’UNICEF, il Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università degli Studi di L’Aquila, la Facoltà di Scienze Sociali dell’Università degli Studi di Chieti, l’Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell’Autonomia scolastica – ex IRRE Abruzzo.
La realizzazione di tale organismo, le sue procedure, i lavori prodotti sono un esempio di condivisione di valori e strategie fra adulti, fra Istituzioni, pur nella diversità dei loro ruoli, in merito al fenomeno bullismo, non solo, in merito all’educazione delle nuove generazioni. Costituiscono prova che la rete fra Soggetti Istituzionali può funzionare, anzi funziona, soprattutto quando, attraverso l’apertura e la disposizione al dialogo, si concorre tutti, in modo paritario, all’accompagnamento, all’orientamento rispettoso e competente dei giovani nel loro difficile e spesso tortuoso cammino verso la vita.
Gli uomini senza le Istituzioni, che legittimano le loro azioni, non hanno gambe. A loro volta le Istituzioni non hanno vita senza la testa, senza il cuore, senza la passione di quelle donne, di quegli uomini che in esse, e per esse, profondono energia ed impegno.

Attualmente in Italia, da più parti, si intensificano virtuosismi proprio mentre le Istituzioni sembrano in un generale, forse voluto, tracollo, come a suggellare un estremo atto eroico di sopravvivenza, un ultimo grido a “noi possiamo”, “noi dobbiamo”, “noi vogliamo”.
Tutti insieme dobbiamo lavorare per indicare un’unica rotta, una proposta educativa salda e chiara, condivisa nei suoi valori fondanti, quali il rispetto della persona, della vita, della natura e dell’ambiente in senso lato, l’impegno, serio e costante, la responsabilità verso se stessi, verso tutti e tutto. In tale condivisione diviene di fondamentale importanza un recupero di reciproco consenso fra scuola, famiglia, società.
Dopo anni in cui si è assistito ad uno iato, ad una frattura, ad una perdita di credibilità, “gli uni contro gli altri armati”, causa dello sfacelo cui assistiamo in questi giorni, oggi si sta verificando un processo, fortunatamente inverso, in cui si rinsaldano i vincoli di amicizia, di considerazione e di rispetto.
Sulla famiglia si sono abbattute tante infamie. Ma è sotto gli occhi di tutti che la famiglia soffre di solitudine affettiva, così come l’infanzia e l’adolescenza. Non c’è più la rete parentale, la rete delle piccole comunità di un tempo, la rete che accoglie, che ascolta, che protegge. Occorre una nuova rete di figure valoriali adulte, quella rete in cui molti di noi sono cresciuti. Occorrono la grande famiglia, i parenti, la solidarietà delle piccole comunità dove si conoscevano tutti, dove tutti hanno concorso, da veri tutori, alla crescita di virgulti riottosi, insubordinati, a volte troppo vivaci.
La famiglia da sola non ce la può fare. La scuola, anch’essa, da sola non ce la può fare.
Allora occorre stipulare un patto di nuova alleanza, così come i passi biblici insegnano. Un patto di nuova alleanza educativa che deve vedere fra i suoi protagonisti sottoscrittori non solo gli adulti, ma anche i giovani chiamati a condividere corresponsabilmente gli intenti e i processi del patto educativo. E’ questo un evidente riferimento al “patto di corresponsabilità” che il M.I.U.R. cita relativamente alla revisione del Regolamento Interno d’Istituto. Solo così essi, i giovani, si addestrano ad una partecipazione attiva e responsabile all’interno della comunità scolastica, alla cittadinanza attiva che li forgia e li prepara alla vita e a contesti sociali allargati, nazionali, europei, globali.

Sono diversi anni che nella provincia di Chieti ci stiamo adoperando per lavorare in modo sinergico, concorrendo Istituzioni ed Enti del territorio ad implementare buone prassi di cittadinanza attiva, in cui gli Studenti, dalla primaria alle superiori, a più riprese, sono stati protagonisti consapevoli di eventi e di iniziative sul tema della Legalità.
Scuola e violenza sono termini antitetici, che non devono, non possono essere affiancati: la prima é un’Istituzione, rappresentativa di una comunità, di una comunità educante, di una Res Pubblica, dello Stato; la seconda costituisce illegalità e coincide con essa.
Derisioni, vessazioni, umiliazioni, minacce, rabbia ….. violano la sacralità della persona. Pertanto occorre dire basta al bullo, al bullismo, al mobbing, allo stolking e pronunciare un forte sì al rispetto, alla legalità.
Inevitabilmente, essendo manifestazione evidente e chiara di illegalità, il fenomeno si lega spesso alla criminalità giovanile, al teppismo e al vandalismo.
Dal 2007 è stata intrapresa dal M.P.I. una campagna ad hoc “Smonta il bullo”, anche con l’attivazione di un numero verde cui potersi rivolgere. A circa due anni di distanza, in una miscellanea di recente pubblicazione, “Book della Solidarietà”, è stata pubblicata un’analisi del fenomeno che in Italia risulta essere molto più incisivo rispetto ad altri paesi del nord Europa. Proviamo a riflettere perché?
Non vive forse oggi il nostro Paese una grave crisi, che non è solo di ordine economico, ma è soprattutto morale. In un paese dove la TV insegna scherzi anche violenti, oltre che maldestri, dove in Parlamento l’insulto è gratuito, dove cariche istituzionali costituiscono esempio di impunità e si esprimono con un lessico discutibile, ne conseguono “esempi” poco edificanti per i giovani, per i più piccoli, che “scimmiottano” gli stili degli adulti, non necessariamente dei familiari, ma degli adulti testimonial della società imperante.
Ancora, la società imperante non è forse divenuta troppo pagana e profana, negli slogan, nella babele delle immagini oltre che dei linguaggi? Non ha forse la società del post moderno svuotato di significato spirituale la vita e le sue manifestazioni, perdendo i sentieri della speranza, di un credo, di ogni forma di carità, soffocata da egoismi e da un inaridimento dell’anima?
Come prevenire il bullismo?
Si può prevenire il bullismo, come ogni altra forma di esclusione o di emarginazione di piccoli e di giovani, attraverso la prevenzione, la cittadinanza attiva, la peer education, la peer comunication, che coincidono con il nostro comportamento, la narrazione, la Costituzione.

Certamente è poco utile agire sui disturbi e sulle psicopatologie quando essi sono ormai già conclamati.
E’ auspicabile invece la specificità di un intervento preventivo rivolto a tutti gli alunni, prescindendo dai "bulli" e dalle loro vittime, perché, al fine di un cambiamento stabile e duraturo, risulta maggiormente efficace agire sulla comunità degli spettatori, o meglio sulle dinamiche relazionali/sociali di un intero gruppo.
La prevenzione deve interessare tutti gli alunni, gli insegnanti e i genitori. In particolare gli adulti possono farsi carico dei problemi attivando una programmazione contro le prepotenze e promuovendo interventi tesi a costruire una cultura del rispetto e della solidarietà tra gli alunni e tra alunni ed insegnanti.
L'intervento di prevenzione va avviato ancor prima che appaiano segnali più o meno sommersi del disagio.
L’intervento preventivo, peraltro, rappresenta un'occasione di crescita per l’intero gruppo classe, in quanto, attraverso un maggiore dialogo ed una maggiore consapevolezza di pensieri, emozioni ed azioni, diventa risorsa e sostegno per ciascun membro.
La prevenzione risulta efficace e duratura, se insegnanti, educatori e famiglie collaborano come modelli e come soggetti promotori di modalità adeguate di interazione. In tal modo l'esempio cooperativo può essere acquisito e divenire uno stile di vita per gli stessi ragazzi.
Inoltre compito degli insegnanti è quello di intervenire precocemente al fine di modificare in tempo utile gli atteggiamenti inadeguati.
La prevenzione è particolarmente significativa nel 1° ciclo dell’istruzione, poiché tale segmento formativo è fondamentale per il processo di alfabetizzazione e per la crescita dei bambini nelle relazioni sociali. Il 1° ciclo coincide con una tappa determinante per lo sviluppo complessivo del potenziale umano. Dunque durante l’infanzia la prevenzione deve assumere un carattere di sistematicità e globalità, concorrendo tutti (non solo le figure genitoriali o gli insegnanti) all’insorgenza dei fenomeni critici, che possono dividere una comunità, arrecare dispiaceri, scuotere le coscienze, quando le conseguenze di certi atti assumono aspetti penali.
Va anche sottolineato che l’azione bullica accertata può costituire un momento critico risolutivo ed evolutivo per lo stesso bullo, che va orientato a prendere consapevolezza delle proprie azioni ostili, del proprio percorso di vita che necessita di un nuovo indirizzo, di una nuova direzione.
Anche il gruppo, a sua volta, deve riacquisire una propria capacità di rendersi responsabile del proprio benessere. Ciò significa che le criticità possono costituire fattore di crescita e di evoluzione sia personale, sia comunitaria, se si mettono in campo risorse, potenzialità, competenze, spesso sconosciute o non giustamente valorizzate.
La scuola così diviene terreno su cui cimentarsi, microcosmo con cui interagire, superando ostacoli, impiegando ogni risorsa, imparando a sperimentare la capacità di trovare un proprio spazio, una propria personale espressione nel mondo.
Stando a quanto finora esposto, l’educazione alla cittadinanza attiva concorre a creare una serie di best pratices (buone prassi) in cui lo studente si identifica e in cui consolida e rinforza la propria identità che, a tal punto, non può essere tradita, costituendo essa una testimonianza nella comunità.
Il gruppo va utilizzato come strategia, come metodologia per prevenire e contrastare il bullismo ed altre criticità, in quanto all’interno del gruppo i singoli, interlocutori attivi e partecipi, vanno formati alla promozione e al consolidamento del benessere collettivo.

La peer education e la peer comunication costituiscono un intervento promozionale dello sviluppo personale dei giovani. La comunicazione tra pari aiuta gli individui ad interiorizzare tutti quei processi cognitivi impliciti che orientano le relazioni; rappresenta occasione per l’apertura al nuovo, per avere informazioni e quindi per sviluppare strategie cognitive efficaci a partire dalla condivisione di pensieri, dalle responsabilità per gli impegni presi, dalla negoziazione di conflitti.
In virtù del ruolo ricoperto il peer educator acquisisce e stabilizza una serie di competenze interpersonali, a cui tende, adeguando il proprio comportamento, proprio in relazione alle aspettative del ruolo. Tale processo di acquisizione, di stabilizzazione delle proprie competenze e di fedeltà al ruolo ricoperto immunizza il giovane peer educator dai comportamenti a rischio. L’ immunità di cui egli gode ha poi una sorta di riverbero sul gruppo, per cui il peer educator diviene un modello positivo di riferimento.

Anche la narrazione contribuisce a migliorare il clima delle relazioni interpersonali all’interno di una comunità, poiché essa concorre alla costruzione del processo identitario.
Durante la narrazione i bambini, i giovani, ma gli stessi adulti (si pensi alla lettura di un buon libro o alla proiezione di un bel film) attraverso la risonanza emotiva, le evocazioni vivono un processo di immedesimazione. Pertanto il racconto, la narrazione non vanno disdegnate né a scuola, né altrove. A scuola si potrebbe partire dal commento di alcune serie televisive per rimandare alle opere dei classici, poiché le prime, come le seconde, si nutrono di odi, di amori, di speranze, di aspirazioni, di disperazioni dell’uomo; traggono spunto dalle paure, dalle ossessioni dell’esistenza umana di tutti i tempi: fraintendimenti, incomprensioni, incontri, separazioni, fortune, sfortune, malattie, imbrogli, droghe, denari, divertimenti.
Il racconto, la narrazione costituiscono un importantissimo tassello nel processo di costruzione del Sé.
Nel mondo ebraico il capo famiglia spessissimo rievoca, narra il passato della propria gente, la storia della propria famiglia.
Il racconto, la narrazione diventano così un vero e proprio rito, che conferisce identità, memoria, intimità che rinsalda i vincoli. Anche nelle corti medievali la narrazione serviva per rinsaldare i vincoli di amicizia.
Senza la costruzione del Sé, senza l’identità di Sé ci sono i disturbi della personalità.
Non mi stancherò mai di ricordare Peter Pan, il quale, per convincere Wandy a tornare con lui nel “Paese che non c’è”, le dice che lì potrebbe insegnare ai “bambini smarriti” a raccontare storie. Infatti se le sapessero raccontare, potrebbero crescere, imparerebbero a crescere.
L’invenzione narrativa stimola fra l’altro l’immaginazione, il pensiero divergente. Essa è determinante per l’infanzia, ma anche per l’adolescenza.
Morin, Bruner, Gadner danno grande importanza alla cultura umanistica, alla lettura dei classici, che sono riusciti a spiegare l’affanno umano, la fatica di vivere.
Narrare, conoscere storie, miti, strutturano e nutrono l’identità di persona. Laddove vi è una storia insufficiente, incompleta, inadeguata su se stessi, nasce, si sviluppa una nevrosi. E’ probabile che la narrazione abbia la stessa importanza e funzione per la coesione della cultura quanto per la strutturazione di una vita individuale, personale..
Un sistema educativo, una teoria pedagogica, un indirizzo politico-nazionale di ampio respiro, che sottovalutano il contributo della scuola allo sviluppo dell’autostima degli alunni, falliscono in una delle funzioni primarie, falliscono come agenzia formativa a vantaggio di una miriade di agenzie “antiscuola”, dove molti giovani si rifugiano per compensare il fallimento vissuto a scuola.
Se la capacità d’azione (saper fare) e la stima (saper essere) sono essenziali per la costruzione del concetto di Sé, allora il funzionamento del sistema scolastico va esaminato anche in funzione del contributo dato a queste due componenti essenziali della personalità. Sono da valorizzare una maggiore partecipazione e corresponsabilità nella
scelta e nel raggiungimento degli obiettivi in tutti gli aspetti delle attività scolastiche.

La mission della scuola, il suo dovere morale è includere, non stigmatizzare. Lo stigma prelude l’esclusione; l’esclusione anticipa la dispersione. La dispersione comporta la negazione di ogni valore di civiltà, di sviluppo e di progresso. Il prezzo da pagare poi è altissimo. Quello morale è sotto gli occhi di tutti.

L’insegnamento inoltre ha il dovere di andare oltre la funzione, la professione, la specializzazione. Deve ridiventare compito di salute pubblica: missione. Una missione di trasmissione. Ma la trasmissione richiede competenza, anche arte, amore,
“eros”, come affermava Platone. Amore per la conoscenza e per l’allievo. La missione, a sua volta, presuppone la fede: fede nella cultura e nella mente umana. Se non c’è amore, passione, non c’è trasmissione di saperi. Si assiste, di contro, al disorientamento dei giovani, alla loro dispersione.

Concludo con un accenno al nuovo insegnamento: “Cittadinanza e Costituzione” che prevede 33 ore all’anno di educazione e che il MIUR introdurrà dal prossimo anno scolastico nel 1° e nel 2° ciclo d’istruzione.
L’art. 1 di “Cittadinanza e Costituzione” così recita: Nel primo e nel secondo ciclo di istruzione le conoscenze e le competenze relative alla convivenza civile e alla cittadinanza sono acquisite attraverso la disciplina denominata “Cittadinanza e Costituzione”, individuata nelle aree storico-geografica e storico-sociale ed oggetto di specifica valutazione. Nella scuola dell’infanzia tale dimensione si realizza prevalentemente nel campo d’esperienza “il sé e l’altro”.
Tornando al “bullismo” e alla maleducazione, considerato che a livello sociale l’indebolimento del controllo e dell’inibizione delle condotte negative favorisce la riduzione della responsabilità personale, individuale, il MIUR ha deciso che: il comportamento degli studenti, valutato dal consiglio di classe, concorrerà alla valutazione complessiva dello studente e – a differenza di quanto accadeva fino ad ora - potrà determinare, se insufficiente, la non ammissione al successivo anno di corso. Inoltre, ai fini dell’ammissione all’esame di Stato, è prevista la riduzione fino a un massimo di 5 punti del credito scolastico.
Il provvedimento riguarderà tutti gli studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado.

Lo stesso Ministro Mariastella Gelmini ha ribadito che “il comportamento deve concorrere alla valutazione complessiva dello studente. Valutare il comportamento significa rafforzare nella comunità scolastica l’importanza del rispetto delle regole e, dunque, la capacità dello studente, cittadino di domani, di saper stare con gli altri, di esercitare correttamente i propri diritti, di adempiere ai propri doveri e di rispettare le regole poste a fondamento della comunità di cui fa parte. Questo provvedimento – prosegue il Ministro - vuole essere uno strumento ulteriore per responsabilizzare gli studenti e i docenti”.
La scuola delle 3 C (C. Corradini), Costituzione, Cittadinanza, Comportamento, coincide con la scuola della legalità, poiché essa, la scuola, è l’agenzia educativa più importante preposta alla formazione dei bambini e dei giovani.