mercoledì 11 marzo 2009

Scenari educativi

Intervento alla Settimana Pedagogica dell’Istituto Comprensivo Torricella Peligna (CH) Sabato, 5 luglio 2008
“Scuole A…per…Te… nessuno escluso”
Tavola Rotonda
1° Parte
Inizierò il mio intervento citando due situazioni che negli ultimi tempi mi hanno particolarmente colpita.
1. Contro la TV spazzatura gli studenti dell’Università “S. Raffaele” di Milano hanno da poco realizzato una campagna pubblicitaria “Miglioriamo la qualità della TV” a mio avviso significativa ed emblematica della condizione dell’uomo post-moderno, dunque anche dello studente di oggi. Basta consultarne il sito per apprezzare come sinteticamente, attraverso pochi script, gli universitari della Facoltà di Scienze della Comunicazione abbiano espresso l’evoluzione darwiniana dell’uomo in poche immagini, dagli ominidi, ovvero australopitechi, all’Homo neanderthalensis , all’homo habilis, all’homo erectus, al sapiens, al sapiens sapiens, o modernus con bibita e cannuccia in mano, non più troppo erectus, un po’ “ricurvus”, al post-modernus, obeso, impoltronito, passivo davanti ad una TV matrigna, ex maestra, ex artista, ex amica, con l’head line (slogan) che recita: ‘Che programmi avete per domani?’”…Dunque dall’evoluzione all’involuzione. Dall’esplosione delle grandi potenzialità all’implosione.
L’imbarbarimento della tv è speculare della società corrente. I giovani di oggi sono i figli della società da noi prodotta.
2. Due mesi fa, sfogliando un quotidiano, nelle pagine di cronaca locale, una foto, un nome, O …, e.. il ricordo di un mio alunno di una 1° media di diversi anni fa. Un tragico incidente a 18 anni. Il mio alunno, il “gigante buono”, così lo definivano nel quartiere, non c’è più. Attonita, dopo qualche istante di smarrimento, pensando anche al dolore della famiglia, mi sono chiesta “Come mi sono comportata con O.?”, “Che cosa ho fatto per lui?”
Venti giorni fa le notizie serali del TG regionale. Lo speaker informa su un inseguimento serrato delle Forze dell’Ordine contro due giovani per una rapina ai danni di una oreficeria. Due nomi, due foto segnaletiche mandate in onda. Una di esse attira la mia attenzione. Resto incredula: è L ..., mio alunno alle superiori. Anche lui ha da poco compiuto 18 anni. L., giovane capace, sensibile, ora è in carcere. Un suo elaborato scritto, testo descrittivo (scelse di descrivere una sua compagna, amica) fu valutato 7.1/2 per capacità espressiva, espositiva, per sensibilità di contenuti, per correttezza morfologica e sintattica. Letto dal Dirigente e da altri Docenti l’elaborato di Luca fu molto apprezzato.
Dov’è ora quel giovane? … Quella mente, quella sensibilità dove sono? Sono disperse. Quando ho iniziato ad insegnare a L., egli era già stigmatizzato. Nessuno lo diceva apertamente, ma si capiva che lo consideravano come irrecuperabile. Così è stato. Eppure a vederlo non si sarebbe detto. Certo aveva momenti in cui si chiudeva troppo in sé. Evidentemente nascondeva qualche segreto… Anche O. era stigmatizzato, sebbene allora fanciullo undicenne. Non nascondeva alcun segreto. E quali segreti può avere un bambino di undici anni? Forse non stava bene ed aveva bisogno di un bravo specialista. Forse era già seguito da un medico. Ricordo che era arrivato dalle scuole elementari già con lo stigma. Poi si parla di continuità …Quale?
“Faber est suae quisque fortunae”, sosteneva in una sua epistola Sallustio. Ma non è proprio così. Gli incontri incidono nella nostra esistenza. Dunque una buona scuola, dei bravi insegnanti, dei bravi compagni pesano sul nostro destino. … Non si parla forse di compagni di viaggio? Ebbene, se si hanno dei bravi compagni di viaggio ci si può ritenere superfortunati. Altrimenti la propria esistenza è segnata.
La mission della scuola, il suo compito, il suo dovere morale sono INCLUDERE, non STIGMATIZZARE. Lo stigma prelude l’esclusione, l’esclusione la dispersione, la dispersione comporta la negazione di ogni valore di civiltà, di sviluppo e di progresso... Il prezzo sociale da pagare poi è “salatissimo”. Quello morale è sotto gli occhi di tutti.
Pensando a O., pensando a L., ai miei due sfortunati alunni, mi è tornato in mente quando Papa Giovanni Paolo II, rievocando Galileo Galilei, chiese scusa alla scienza e quando, davanti al muro del pianto di Gerusalemme, chiese scusa al mondo ebraico nell’intento di esprimere un’autentica volontà di riconciliazione. Il parallelo non è poi così irriverente se si crede nella sacralità della persona.
Forse la scuola, nonostante il discredito sociale in cui versa e il mancato riconoscimento di tante eccellenti professionalità e dello spirito missionario che anima ancora molti, dovrebbe chiedere anche essa scusa ai tanti giovani che ha mortificato, giovani di cui non ha saputo riconoscere i talenti, le vocazioni, le inclinazioni, tutti carismi dispersi.
Di errori, a mio avviso, ne sono stati commessi tanti, alcuni sono risultati fatali.

Ma la scuola da sola non può farcela, così come la stessa famiglia, da sola, non ce la fa. I bambini, i giovani crescono bombardati da una molteplicità di input provenienti dalle tante informali agenzie pseudo-educative, pseudo-formative che pullulano alla ricerca del facile “arruolamento” di facili e fragili consumatori che si danno, anima e corpo, in pasto, pur di apparire. E non importa dove, come e con chi.
Ancora. Seppur unite, scuola e famiglia arrancano. Occorrono anche le Istituzioni. L’ASL. Il medico, lo specialista, lo psico-terapeuta, devono tornare a scuola.
Gli Amministratori devono assumere anch’essi, come missione, come servizio alla comunità, il ruolo cui sono preposti.
Occorre la Rete di figure valoriali adulte. Quella Rete in cui molti di noi sono cresciuti, accolti e protetti. La grande famiglia. I parenti. La solidarietà delle piccole comunità dove tutti si conoscevano, dove tutti hanno concorso, da veri tutori, alla crescita di virgulti riottosi, insubordinati, a volte troppo vivaci.
Se ciascuno di noi concepisse la propria esistenza come impegno, come servizio, e non come vissuto goliardico ed epicureo, allora, forse, il cammino dell’uomo procederebbe costruttivo. Gli stessi giovani avrebbero modelli viventi cui riferirsi, ne apprezzerebbero la fatica, l’impegno.
Si parla molto attualmente di emergenza educativa. Questa è legata proporzionalmente alla crisi che coinvolge l’adolescenza e la giovinezza. Siamo di fronte a giovani abbandonati a loro stessi, nell’indifferenza generalizzata, nella debolezza della vita affettiva, nella povertà degli scambi, delle relazioni, in solitudine, nella perdita di fiducia nelle istituzioni e nei valori tradizionali, nella precarietà della formazione che non assicura più il loro futuro. Da tali difficoltà scaturisce un sentimento individuale e collettivo d’angoscia e di insicurezza, di dipendenza economica prolungata, in contrapposizione ad una maturazione biologica e culturale precoce.
Tornando alle agenzie educative, ad esempio alla TV ex maestra, ex artista, ex amica, oggi perfida matrigna che, parafrasando G. Leopardi, “non mantiene ciò che promette allor”, possiamo considerare di espugnarla usando il “cavallo di Troia”, il quale altro non è se non la conoscenza di come essa nasce, di come viene “montata”.
Ruolo del maestro è, dunque, non tanto denunciare, quanto far conoscere i modi di produzione della cultura mediatica; dimostrare come il trattamento delle immagini, specialmente attraverso il montaggio, possa dare un’impressione arbitraria della realtà; commentare le trasmissioni seguite dagli allievi, pur curando la trasmissione dei saperi.
Si potrebbe partire dal commento di serie televisive per rimandare alle opere dei classici, poiché le prime, come le seconde, si nutrono degli amori, degli odi, delle speranze, delle aspirazioni, delle disperazioni dell’uomo; traggono spunto dalle paure, dalle ossessioni dell’esistenza umana di tutti i tempi.
Ora la narrazione di tali argomenti affascina i giovani, come gli adulti, poiché la narrazione ha affascinato dalla notte dei tempi. Ognuno di noi, attraverso la risonanza emotiva, le evocazioni delle narrazioni, vive un processo di immedesimazione. Pertanto il racconto, la narrazione non vanno disdegnate. Costituiscono un importantissimo tassello nel processo di costruzione del Sé. Nel mondo ebraico il capo famiglia spessissimo rievoca, narra il passato della propria gente, la storia della propria famiglia. Il racconto, la narrazione diventano così un vero e proprio rito, che conferisce identità, memoria, intimità che rinsalda i vincoli. Anche nelle corti medievali la narrazione veniva fatta per rinsaldare i vincoli di amicizia.
Senza la costruzione del Sé, senza l’identità di Sé ci sono i disturbi della personalità.
Vale la pena, a proposito, ricordare Peter Pan, il quale, per convincere Wandy a tornare con lui nel “Paese che non c’è”, le dice che lì potrebbe insegnare ai “bambini smarriti” a raccontare storie. Infatti se le sapessero raccontare, potrebbero crescere, imparerebbero a crescere.
L’invezione narrativa stimola fra l’altro l’immaginazione, il pensiero divergente. Morin, Bruner, Gadner danno grande importanza alla cultura umanistica, alla lettura dei classici, che sono riusciti a spiegare l’affanno umano, la fatica di vivere.
Narrare, conoscere storie, miti, strutturano e nutrono l’identità di persona.
Un sistema educativo, una teoria pedagogica, un indirizzo politico-nazionale di ampio respiro, che sottovalutano il contributo della scuola allo sviluppo dell’autostima degli alunni, falliscono in una delle funzioni primarie, falliscono come agenzia formativa a vantaggio di una miriade di agenzie “antiscuola”, dove molti giovani si rifugiano per compensare il fallimento vissuto a scuola.
Le “agenzie antiscuola” sono bande di “micro-criminalità” che rinfoltiscono le loro fila con adolescenti alla ricerca della propria identità e del rispetto dei pari. Gli esiti di tale concorrenza sono evidenti negli USA, dove vengono alienati abbastanza ragazzi neri da sbarcarne un terzo in prigione prima dei trent’anni. Da noi la situazione sociale fa presagire uguale destini se non si corre ai ripari.
Se la capacità d’azione (saper fare) e la stima (saper essere) sono essenziali per la costruzione del concetto di Sé, allora il funzionamento del sistema scolastico va esaminato anche in funzione del contributo dato a queste due componenti essenziali della personalità.
Sono da valorizzare una maggiore partecipazione e corresponsabilità nella scelta e nel raggiungimento degli obiettivi in tutti gli aspetti delle attività scolastiche.
E’ urgente allora implementare il diritto alla cittadinanza attiva. Tale concezione, cara alla tradizione progressista in campo educativo, è in linea con il principio costituzionale secondo cui, in una democrazia, diritti e responsabilità sono due facce della stessa medaglia.
Bruner sostiene che in molte culture democratiche ci si preoccupa troppo dei criteri formali del “rendimento” e degli aspetti burocratici dell’istruzione, in quanto istituzione, tanto da trascurare l’aspetto personale dell’educazione. Anche Morin, come Bruner, rivaluta l’importanza della cultura umanistica, in particolare della narrazione, del romanzo. Laddove vi è una storia insufficiente, incompleta, inadeguata su se stessi, nasce, si sviluppa una nevrosi. E’ probabile che la narrazione abbia la stessa importanza e funzione per la coesione della cultura quanto per la strutturazione di una vita individuale, personale.
Sentirsi a proprio agio nel mondo, sapendo dove collocarsi in una storia autodescrittiva, oggi è reso ancor più difficile dai flussi migratori.
Un bambino, un ragazzo, che arriva da Tunisi a Milano con la famiglia, è letteralmente sradicato, disorientato e, per quanto multiculturali siano gli intenti degli operatori scolastici, il fallimento dell’integrazione sarebbe certo se non intervenissero le associazioni del territorio in grado di aiutare l’immigrato, di sostenerlo, di riempire il vuoto venutosi a creare nella sua esistenza.
Ma perché la narrazione sia strumento della mente, capace di dare significato, bisogna leggerla, farla, analizzarla, sentirne l’utilità.
L’affabulazione, la narrazione, la lettura, la rappresentazione teatrale sono importanti tanto per il bambino, quanto per l’adolescente, per quel ragazzo che cresce, ma che non vuole crescere, che ha paura di crescere, che sospende i legami affettivi con la famiglia, con i genitori, che contesta, per costruire una sua nuova identità. Dirò di più. Proprio nella fase di crescita evolutiva in cui l’adolescente vive un “lutto”, quando “disprezza” l’infanzia, la famiglia esterna, il corpo, proprio allora, la lettura, la narrazione, l’immedesimazione teatrale possono aiutarlo a proiettare e a dissolvere le sue turbolente conflittualità. Così il libro, la narrazione, il teatro diventano luogo privilegiato all’ascolto, momento di sospensione del giudizio, momento cui aggrapparsi al risveglio al mattino.
La scuola che non tiene conto della psicologia dell’età evolutiva e del dolore inconscio provato dall’adolescente nel distacco dall’infanzia è una scuola decontestualizzata. La scuola che non tiene in conto un’ospedalizzazione infantile, una malattia infantile, un lutto è decontestualizzata. Una scuola che non tiene in debita considerazione di come e quanto siano cambiate l’infanzia e l’adolescenza di oggi, rispetto a quelle passate, è decontestualizzata.
I tempi e i ritmi dei nostri ragazzi sono notevolmente accelerati, i campi di interesse anticipati. Lo si comprende attraverso lo studio dell’editoria per l’infanzia, per l’adolescenza e dalla produzione libraria ad esse dedicate.
E’ innegabile che la TV abbia contribuito non solo ad anticipare i campi di interesse, spingendo il/al consumismo, ma ha anche accelerato la rapidità di apprendimento. Come? Oggi gli spot pubblicitari, seppur brevi, hanno già una story-board. I bambini di quattro anni sono ormai allenati, grazie ad essi, a capirne la truttura narrativa, se non ad anticiparne le sequenze. 60 anni fa la struttura narrativa veniva appresa forse in terza elementare, quando era ormai sviluppata una certa libertà nella capacità di lettura.
Ma tempi, ritmi accelerati, campi d’interesse anticipati ci ricordano l’iperattività, la superficialità, la tensione nervosa che distingue le giovani generazioni, rendendole spesso ”non-scolarizzate”. Un antidoto, una buona terapia, che consenta loro di recuperare ritmi più sostenibili, può essere costituita proprio dalla narrazione, dal teatro, dove tempi e luoghi fisici vengono annullati per divenire onirici.
Tuttavia la lettura, la narrazione, la drammatizzazione non vanno confusi con gli obiettivi didattici, essi sono, un traguardo di crescita, un dono, uno scambio, l’offerta di un’intimità. Inoltre costituiscono un’esperienza estremamente fisica, corporea, poiché protagonista non è solo la voce ma tutto il corpo. Corporea è la voce, corporeo è l’orecchio che ascolta. Con l’esperienza della narrazione, del teatro avvengono il contatto, la comunione, la relazione fra anime per partecipare di uno stesso segreto. E quale migliore esperienza per giovani e bambini così tanto soli? Nel contempo comporta anche qualche rischio poiché ci si mette in gioco, tutti, tanto chi narra, legge, recita, quanto chi ascolta.
E’ auspicabile quindi un cambiamento misurato che rinnovi un sistema come la scuola, da sempre istituzione che insegna ma che non apprende, in quanto organismo che più di ogni altro si manifesta resistente alle innovazioni, forse perché essa, la scuola, è luogo deputato alla memoria, alla tradizione. Di qui probabilmente il disagio dei giovani che avvertono di essere incompresi.
Oggi è necessario che la scuola, riscopra la vocazione per cui è nata: l’eplorazione, la ricerca, la proiezione nel futuro, forte degli strumenti trasmessi dalla tradizione.
Gardner in “Sapere per comprendere” sottolinea come negli ultimi anni i progressi della scienza e della tecnica siano stati esponenziali. A fronte di tale rivoluzione copernicana, la scuola è rimasta quasi come quella di un secolo fa: prevalenza della lezione frontale nella didattica, esercitazioni scritte, attività decontestualizzate.

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