giovedì 26 dicembre 2019

Pubblicato su "Il Sorpasso di Montesilvano" a gennaio 2019

La vera bellezza.
Il Natale è trascorso. Anche il Capodanno. Ognuno è tornato alle proprie attività quotidiane, al proprio tran tran: casa, scuola, ufficio, negozio, spesa, etc.: tutto in una inesorabile, frenetica corsa che snerva il corpo, il cuore, la mente.
E che cosa ci è rimasto di quel Natale ormai trascorso? Della veglia, della cena, dei parenti, degli amici, della tombolata: un lontano ricordo!
Che quel Natale trascorso da poco sia stata l'ennesima occasione mancata? Forse sì, se ci ritroviamo nervosi e inappagati come prima o ancora più di prima.
Qualche tempo fa in una nota trasmissione televisiva il critico d'arte Vittorio Sgarbi ebbe a dire che la religione cristiana ha prodotto la più grande bellezza artistica e che anche i musulmani devono esserne contenti poiché nella Natività del Nazareno si celebra e si rinnova la nascita dell'Uomo che ha condotto “una rivoluzione” e per cui “l'uomo non deve odiare l'altro l'uomo”.
Tornando al critico d'arte, secondo cui il Cristianesimo ha prodotto la più grande bellezza artistica di tutti i tempi, c'è da chiedersi come abbiano potuto i grandi artisti concepire e produrre cotanta bellezza! La risposta è nella Rivelazione del Verbo fattosi Carne.
Il Cristianesimo predica l’Amore e l’Amore è suprema bellezza. L’amore è Luce: la stella cometa inonda di Luce la grotta della Natività. L’Amore è dono: Dio si fa Uomo e si immola sulla Croce per salvare l’umanità.
Dante Gabriel Rossetti, L'Annunciazione
Il professor Sgarbi sostiene che “nessuna religione ha espresso tanta bellezza come la nostra”. L’affermazione è di un grande critico d’arte che avrebbe potuto appellarsi al retaggio culturale-artistico greco-ellenistico al fine di giustificare la grande rappresentazione iconografica cristiana/cattolica. E non lo fa. Ancora: il critico d’arte, nel suo monologo sul Natale, sostiene che il Cristo, fattosi Uomo, trasforma “homo homini lupus” in “homo homini deus”, il quale, senza negare la propria identità e integrità, non arreca male ad alcuno ma accoglie e abbraccia.
Il prof. Sgarbi individua proprio nell’umanità la grandezza del Cristianesimo/Cattolicesimo (diversamente, sia nell’Ebraismo sia nell’Islamismo, Dio è troppo grande per essere rappresentato dall’uomo!).
Il Dio incommensurabile del Cristianesimo, l’Onnipotente, l’Onnisciente, l’Onnipresente è il Dio che per Amore si fa Uomo e inonda di nuova Luce, Speranza e Carità le buie cavità dell’animo umano.
E’ vero che la grande bellezza artistica dell’iconografia cristiana si è sviluppata in ritardo rispetto alla Chiesa delle origini, attingendo all’iconografia pagana. E’ pur vero, tuttavia, che ha superato di gran lunga quest’ultima, avendo come fonte di ispirazione le Verità rivelate nelle Sacre Scritture, che hanno elevato gli animi e lo spirito di quanti si sono cimentati con l’arte. Già, l’elevazione dell’anima comporta la grande vera bellezza. Non la bellezza artefatta, non quella esteticamente corretta, anzi alterata dal bisturi; non la bellezza sfacciatamente esibita, ma una bellezza inondata di Luce e di Amore.
E’ stata proprio tale bellezza a ispirare la “Preghiera di S. Bernardo alla Vergine” nel XXXIII Canto del Paradiso dantesco. E’ stata tale bellezza a rendere grandi i capolavori di Pier della Francesca, di Giotto, di Caravaggio.
I maestri greci ci hanno insegnato che ogni essere, per diverso che sia, possiede tre caratteristiche trascendentali: essere unum, verum et bonum, ossia ogni essere vanta un’unità interna che lo lega all’esistenza. Ogni essere è vero poiché ognuno è come di fatto è. Ogni essere è buono poiché adempie il proprio compito assieme agli altri suoi simili, aiutandoli a esistere e a coesistere.
Successivamente Sant’Agostino e San Bonaventura hanno aggiunto una quarta caratteristica trascendentale all’essere: pulchrum, cioè bello. San Francesco, poeta ed esteta d’eccellenza, “nel bello delle creature ha visto il Bellissimo”.
Fiodor Dostoevskij è stato un convinto estimatore della bellezza. A lui si deve in L’idiota l’espressione: “La bellezza salverà il mondo”. Attraverso le storie narrate nei suoi romanzi il romanziere russo ha spiegato che la bellezza ci porta all’amore, condiviso con il dolore. Egli ha visto la bellezza nell’anima dei personaggi più perversi. Ha descritto soggetti immersi nella più profonda e abietta disperazione. Per lui il contrario di “bello” non era “brutto” ma l’utilitarismo, il cinismo, ossia la volontà, l’intento di usare gli altri “sottraendo” loro la dignità.
La Madonna Sistina di Raffaello Sanzio 
Il monaco benedettino A. Grun racconta che Dostoevskij andava almeno una volta l’anno a vedere la Madonna Sistina di Raffaello Sanzio e che rimaneva in lunga contemplazione davanti a quella splendida figura. Per Dostoevskij la contemplazione della Madonna di Raffaello costituiva terapia personale. Senza di lei avrebbe disperato degli uomini e di se stesso, davanti ai tanti problemi che vedeva. La contemplazione della Vergine da parte di Dostoevskij è molto sorprendente, dato che i suoi romanzi penetrano nelle zone più oscure e perfino perverse dell’animo umano. Nel romanzo I fratelli Karamazov il romanziere ha approfondito il tema della bellezza: un ateo, Ippolit, domanda al principe Mynski “in che modo la bellezza salverebbe il mondo?” Il principe non risponde alcunché. Si reca, invece, da un giovane di diciotto anni in agonia e rimane lì, pieno di compassione e di amore finché quello muore.

Il mondo potrà salvarsi finché ci saranno gesti come quelli del principe Mynski, che purtroppo oggi mancano!

Dostoevskij amava ripetere: “Sicuramente non possiamo vivere senza pane, ma anche esistere senza bellezza è impossibile”.

Anche Papa Francesco ha dato speciale importanza alla trasmissione della fede cristiana attraverso la via Pulchritudinis (la via della bellezza).
Ma ai nostri tempi dov’è la bellezza? Ci sono giovanissimi che si recano in discoteche, per loro anche fatali, e pagano per osannare canzoni che seminano violenza, discriminazione, volgarità e ogni tipo di oscurità, severamente condannate (le canzoni) anche dai giornalisti più anziani e navigati!
Non è forse giunto il momento di fermarsi a riflettere un po’, a discernere ciò che è bello, giusto e buono? Non è forse arrivata l’ora di raccogliersi e isolarsi un po’ dal delirio imperante?

Dunque facciamo in modo che il Natale trascorso diventi l’occasione per scandagliare il nostro cuore e riflettere sull’autentico significato, sul messaggio e sulla bellezza della Natività.


F.to    Gabriella Toritto
Pubblicato su "Il Sorpasso" di Montesilvano il 22 dicembre 2018

La Tv: madre benigna o perfida matrigna?

Della Tv misconosciuta, della Tv poco amata dalla Scuola, della Tv incontrollabile e generalizzata si è scritto molto finora.
Schiere di scrittori, docenti universitari, insegnanti, pedagogisti, psichiatri hanno detto e scritto la loro sulla Tv, ora esaltandone l’uso e la fruizione, ora condannando. Vastissima è la letteratura sui pregi e sui difetti della Tv.
Molti sostengono che la Tv sia il mezzo di comunicazione di massa meno colto, di più facili accesso e fruizione, soprattutto per le classi sociali svantaggiate, nonché la baby-sitter a cui molti genitori affidano i propri figli. La Tv viene anche accusata di indurre i bambini e i giovani alla passività e alla violenza.
Di certo si può affermare che la Tv “è partecipe dell’evoluzione in profondità dei comportamenti sociali, (…) proprio in ragione del fatto che in essa, attraverso le sue caratteristiche materiali, tecnologiche, passano nuove forme di pensiero”[1]. La Tv ha modificato il nostro rapporto con il tempo, ha cambiato i nostri passatempi, divenendo essa stessa strumento di svago. E poiché è un media, relativamente nuovo, ha influito sul clima culturale della società odierna, soprattutto di quella occidentale.

F. Mariet sostiene che la Tv “è questione di tecnologia, di percezione, di marketing. Non di morale. Essa muta più lo sguardo che le cose guardate”
Dunque, se si riconosce alla Tv il potere di mutare lo sguardo dei suoi fruitori, forse questi ultimi, e non solo, un problema devono pur porselo.
V. Andreoli, in Giovani[3], descrive una gioventù confusa da un “bombardamento di immagini”; traccia il profilo di giovani dell’hic et nunc, del qui ed ora, dell’eterno presente, dell’avere, anzi del possedere, e non dell’essere; di giovani che legano la propria esistenza alle cose: se non si possiede quella cosa (si tratti dello smartphone di ultima generazione o di altro in voga) si è degli esclusi, si è dei “vinti”, si smette di esistere.
Qualcuno obietterà che le responsabilità dell’educazione dei giovani ricadano sulla famiglia e sulla scuola. Oggi, tuttavia, esistono diverse agenzie educative che influiscono sulla formazione e sulla crescita dell’infanzia e dell’adolescenza. Esse spesso entrano in conflitto con l’educazione classica di un tempo in cui un padre, una madre, una rete parentale erano in grado di “impostare” ed orientare i giovani.
Anche la Tv è a tutti gli effetti un’agenzia educativa che addirittura precede la scuola stessa, e, in quanto tale, deve porsi la questione morale. Si tratta in fondo anche di un servizio pubblico e come tale deve essere realizzato e implementato.
Quando ci si appella alla questione morale non si auspica alcuna repressione, neppure una vigilanza sospettosa e minacciosa. Non si chiede la censura. Gli addetti ai lavori, tuttavia, in primis i dirigenti delle emittenti televisive, gli stessi opinion leaders devono maturare la consapevolezza e la responsabilità del linguaggio e dei comportamenti usati, ostentati.

Già Platone nel V libro della Repubblica esortava i poeti e i commediografi del suo tempo a proporre eroi e immagini moralmente utili alla crescita degli adolescenti. Figurarsi dei bambini! Il filosofo greco sosteneva infatti con la “teoria della mimesi” la tesi dell’imitazione, per cui l’esposizione a scene di violenza, continue e gratuite, a suo avviso, potevano indurre nei bambini, nei giovani una reazione analoga per imitazione e/o per assuefazione.

Diversi studi statunitensi, già molti anni fa, sostenevano che “la presenza della televisione nelle case degli americani ha prodotto la peggiore delle epidemie di violenza giovanile che il paese abbia mai conosciuto” [4]

Oggi, quotidianamente, anche nelle fasce orarie pomeridiane, si fruiscono immagini e linguaggi non adatti neppure a un pubblico adulto. Vi sono programmi di successo, talk show, i cui opinion leaders si esprimono e si comportano in modo diseducativo, favorendo esempi di bullismo e di turpiloquio. Questi sì che sarebbero da censurare, anzi da denunciare!


F.to Gabriella Toritto


[1] Lasciateli guardare la Tv, F. MARIET, Collana prospettiva 2000, Scuola e Società, ANICIA srl.
[2] Giovani, V. ANDREOLI, RIZZOLI Ed., 1995
[3] Winn, M., Tv Drogue, Fleurs, 1977
Pubblicato il 28 novembre 2018 su "Il Sorpasso" - Il Mensile di Montesilvano

La ri-nascita

“Non è stata la terra a generarmi, e nemmeno i cieli, ma solo le ali di fuoco”
Queste si racconta fossero le parole incise sull’ala destra della Fenice.

Leggendo gli articoli “L’ecumenico” e “Non brucia la speranza” del numero di ottobre de “Il Sorpasso”, rifletto come la leggenda dell’araba Fenice calzi con le riflessioni degli autori, gli amici Mauro De Flavis e “Girolamo Savonarola”.
“Ecumenico” deriva dal termine “ecumene”, in greco oikūménē (gê) ossia ‘(terra) abitata’. Nella nostra lingua può indicare sia la parte della Terra dove si trova l’habitat favorevole alla dimora permanente dell'uomo sia la comunità universale di fedeli. “Ecumenico” sta per ciò che appartiene a tutta la Terra abitata e quindi universale. Così come universale è il mito della Fenice, un uccello bellissimo, forse un airone con piume d'oro, con bagliori di fiamma, che riappariva ogni 500 anni.

La prima versione del mito è quella dell’Egitto delle prime dinastie, in cui la Fenice è rappresentata come un passero, o come un airone cenerino. Secondo la tradizione dell’antico Egitto la Fenice non risorgeva dalle fiamme, come narrano i miti greci e quelli successivi, bensì dalle acque. Per gli antichi Egizi Bennu, era un uccello sacro, successivamente identificato dai greci con la Fenice. Rappresentava il Ba, ossia l'anima del dio Ra, il Sole.
Esiodo è il primo poeta greco a menzionarla nel VII-VIII secolo a.C.. Erodoto, scrittore originario dell’Asia Minore, ricorda la Fenice nel secondo libro, dedicato all'Egitto, delle sue Storie. Ovidio, nelle Metamorfosi (XV,392), la descrive così: "Esiste un uccello che da solo si rinnova e si riproduce: gli Assiri lo chiamano Fenice; non vive di frutti né di erbe, ma di lacrime d'incenso e di succo di cardamomo."
Nell'antica Roma la Fenice diviene simbolo dell'energia vitale dell'impero che riusciva a rinnovarsi. Essa è effigiata su monete e mosaici.
La Fenice è un racconto universale, ecumenico, che si riscontra nelle tradizioni orali, e poi scritte, di molte antiche civiltà, da quelle orientali a quelle occidentali. Essa in tutte le versioni, precedenti l’avvento del Cristianesimo, ribadisce sempre il concetto della ri-nascita. Dopo la diffusione del Cristianesimo sono i Vangeli e l’Apocalisse a narrare una ri-nascita: la Resurrezione. In particolare l’Apocalisse riporta l’allegoria di un regno di 1000 anni per indicare il periodo fra la prima resurrezione di Gesù, il Cristo, e il ritorno del Risorto alla fine di tutti i tempi.
Dante Alighieri nella Commedia (Inferno XXIV, 107-111) così la descrive:
“che la fenice more e poi rinasce,
quando al cinquecentesimo appressa
… nardo e mirra son l'ultime fasce."


L’esigenza della ri-nascita, della resurrezione, è avvertita dagli uomini di tutti i tempi, forse per assicurarsi l’immortalità. L’uomo credeva nell’anima. Il termine “psiche” si trova per la prima volta in Omero, associato all’anemos – il soffio vitale.
E se il soffio vitale, l’anemos, è immortale, nulla di ciò che è immateriale, spirituale, può essere distrutto. Può essere offeso, oltraggiato, vituperato ma non distrutto. Così la fede in un Dio, così il pensiero dei grandi uomini, così la memoria di quanto ci è più caro. Anche un luogo di culto è caro, anzi sacro e, nella sua sacralità, prezioso e insostituibile per quanti in quel luogo hanno pregato e “parlato” con il proprio Dio.
Secoli di storia, persecuzioni, distruzione e morte, che hanno messo a ferro e fuoco le prime comunità cristiane, ci hanno mostrato che sotto la “cenere c’è il fuoco”, quel fuoco che è “sì simbolo di distruzione ma anche … di rinascita”, come “Savonarola” ha scritto sul numero di ottobre.


F.to Gabriella Toritto
Pubblicato su "Il Sorpasso" di Montesilvano nel mensile di ottobre 2018

Il Sorpasso e l’anima
Sono una new entry della testata giornalistica Il Sorpasso, in cui lavorano persone che non conoscevo ed altre che invece conosco da tantissimo tempo e di cui ho sempre apprezzato l’impegno civile e la personalità. Ritrovandomi con loro, ho ulteriormente apprezzato l’amore per la comunità in cui operano e ho maturato quanto segue.
Nelle corti medievali fra i passatempi preferiti vi erano la lettura e la narrazione delle chanson de geste, che costituivano momento conviviale, in cui si cementavano rapporti d’amicizia, assolvendo un’alta funzione sociale. 
La narrazione, la parola evocavano emozioni, sentimenti che univano i cuori e le menti di quel tempo, quando in pochi sapevano leggere e scrivere.
Conseguita l’unità d’Italia, furono banditi concorsi perché gli scrittori di allora concepissero opere con finalità pedagogiche, atte a formare le giovani generazioni del neonato Regno d’Italia. Nacquero così capolavori come il libro “Cuore” di Edmondo De Amicis, “Giannetto” di Luigi A. Parravicini, “Pinocchio” di Carlo Lorenzini. Insomma: “fatta l’Italia, bisognava fare gli Italiani”. 
La narrazione, tuttora, rappresenta un traguardo di crescita, un dono. Il dono è diverso dallo scambio. Il dono è offerta di un’intimità, che non aspetta una restituzione.
La narrazione è anche un’esperienza estremamente fisica, corporea che investe la mente, i sensi, etc.. La narrazione è comunione. E’ relazione fra anime per partecipare di uno stesso segreto. Essa comporta un mettersi in gioco, un margine di rischio personale, in cui tutti sono coinvolti, e pertanto in gioco: tanto chi scrive, quanto chi legge o ascolta. 
La scrittura e la lettura, oggi, sono un diritto di tutti, almeno nei paesi democratici. Lontano è il tempo in cui era privilegio di pochi. E lontana è la geografia di quei territori nei quali i libri sono, oppure sono stati, bruciati e la stampa “imbavagliata”.
Oggi, nel mondo occidentale, la stampa gode di una libertà di espressione e di informazione rispettosa della pluralità delle idee ed è coraggiosa assertrice delle evidenze oggettive ed inoppugnabili. 
Il Sorpasso, fin dalla sua nascita, è stato sempre animato dall’intento di porsi a servizio della propria comunità, la città di Montesilvano. Il Sorpasso narra e rappresenta la comunità che “serve”, Montesilvano, in tutti i suoi aspetti con la vocazione di concorrere alla sua crescita, alla sua evoluzione e sviluppo. Il Sorpasso osserva con gli occhi del cuore. Un cuore che pulsa per la comunità in cui opera. La comunità e il giornale assieme sono in costante cammino. “Crescono” insieme. Il Sorpasso racconta Montesilvano e, nella sua narrazione e informazione, unisce gli intelletti e i cuori dei suoi lettori, tutti proiettati alla comprensione e all’elaborazione degli argomenti proposti. Il Sorpasso dunque adempie un’importante funzione sociale e civica. Il Sorpasso rivela così un’anima che vibra alto, che aspira al bene della collettività e della città in cui opera e per cui si adopera. Il Sorpasso è l’anima di Montesilvano. E’ un giornale periodico che vuole liberamente e incondizionatamente raccontare, informare la propria Comunità. 
La libera informazione coincide con il diritto di ogni cittadino ad essere informato. Tale libertà, tale diritto sono garantiti sia dall’art. 21 della Costituzione Italiana sia dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. La libertà di stampa costituisce elemento portante della democrazia. 


F.to Gabriella Toritto


Gabriella Toritto

giovedì 4 febbraio 2010

Il castello

Incastonato fra guglie
di bianca roccia tagliente,
stagli le merlate torri nel cielo terso,
testimone di antiche e altere gesta.

Turris eburnea,
culla di memorabili narrazioni,
gratuito dono dalla notte dei tempi,
improvvisa appari allo sguardo
fra intrecci di rami e cespugli
che oscurano la tua vista.

Prezioso scrigno,
memore di notti insonni,
rimbomba ancor fra le tue stanze
un solitario suon di corno
fra il corazzar di mille antenne
e grida e canti e salmi: ferro e fuoco.

Il tuo Signor non alberga più
e tu resisti,
mentre immensi e infiniti cieli
avanzano e velocemente corrono in eterno.

mercoledì 16 settembre 2009

Albino, il micio miopino

Un giorno due giovani gatti innamorati misero al mondo un bel gattino. Lo chiamarono Albino, poiché, con loro grande sorpresa, il suo pelo era bianco, ma così bianco da sembrare un fiocco di neve.
Sembrava un fiocco di neve forse perché era ancora inverno quando nacque.
Insomma Albino era proprio un bel gattino. Aveva due grandi occhi teneri e profondi, faceva le fusa e cresceva sereno.
Ma un brutto giorno si ammalò e mamma e papà gatto piansero lacrime amare.
Lo portarono dal professor Gattone, eminenza grigia della pediatria felina, che esordì dicendo: “Uhmm! Miao, miao. Si tratta di una patologia molto rara e capricciosa. Va curata con medicine costose, che possono anche essere nocive. Sarebbe meglio recarsi all’estero dove la ricerca è avanzata”.
Mamma e papà gatto non erano poi così ricchi da portare Albino all’estero ma si impegnarono e fecero grandi sforzi affinché il proprio cucciolo non corresse il rischio di diagnosi e terapie errate.
Così volarono verso il Cat’s Hospital di Goston City, famoso in tutto il mondo, dove Albino incontrò tanti gattini di tutte le razze. Venne curato e fu ricoperto da mille attenzioni.
Ricevette bellissimi regali: una cat’s car, un videogame, orsetti di peluche e un teatrino di legno dai mille vivaci colori con tante marionette in maschera.
I genitori accompagnarono Albino anche all’Aquarium dove il piccolo imparò a riconoscere tanti pesci e mammiferi. E lo condussero anche all’Osservatorio Astronomico dove Albino pianse disperatamente non riuscendo a vedere la cometa di Harley.
Ci vollero tanti anni prima che Albino guarisse. Qualche cicatrice si intravedeva ancora ma era pur sempre un bel micio. Solo lui non ci credeva finché un giorno incontrò una micia molto carina. Si chiamava Roxana.
Roxana proveniva da una campagna lontana. Incontrò Albino per i campi in primavera e si sa come vanno le cose per i gatti in primavera. Si innamorarono e Roxana ripeteva all’infinito: “Come sei bello, Mon Amour. Come sei bello, Dou, Dou!”
Quando Albino tornava nella sua tana, cercava subito un pozzo d’acqua per specchiarsi e per controllare quanto fosse bello. Ma ogni tentativo era inutile: si vedeva sempre più brutto. Tra sé e sé pensava: “Come può Roxana dire che sono bello? Forse mentirà”
Ma accadde che un giorno Roxana mise al mondo tanti cuccioli di gatto.
Ve n’era uno bianco, bianco. Bianco come un fiocco di neve. Eppure era primavera!
Albino fu felice della sua "nidiata" e finì per amare in particolare quel cucciolo bianco, bianco, che gli assomigliava tanto! Era proprio bello!
Fu allora che mamma gatto, ormai vecchia, gli disse: “Hai vissuto un’intera vita a vederti brutto e ora ami e ammiri proprio il gattino che più ti somiglia! Finalmente comprendi che lo specchio mentiva e che erano i tuoi occhi a non voler vedere”.
In amore esse alicui

La bottega delle meraviglie

C'era una volta un paese lontano dove viveva una fanciulla umile e laboriosa, bella come il sole.

Nel villaggio si indicevano spesso feste in onore del figlio del Re, un giovane leale e valoroso. I giovani si incontravano, si divertivano; ma quella povera fanciulla rimaneva estranea ad ogni festeggiamento. Doveva lavorare per vivere, non poteva riservare il suo tempo prezioso per futili distrazioni!

Inoltre, povera com’era, che cosa avrebbe potuto indossare? Come adornarsi?
Una mattina sul davanzale della sua camera un usignolo iniziò a svolazzare e cinguettare così forte che Rosy,
così si chiamava la fanciulla, si affacciò per ammirarlo.
L’usignolo improvvisamente si mise a parlare e suggerì a Rosy di partecipare ai festeggiamenti che di lì a poco sarebbero stati indetti in onore del principe ereditario. Le disse che, per imbellettarsi, avrebbe potuto recarsi presso la Bottega delle mille meraviglie, famosa in tutto il reame per la qualità dei prodotti e la convenienza dei prezzi, dove ogni desiderio diveniva realtà.
Rosy era pur sempre una giovane donna; le sarebbe piaciuto moltissimo partecipare ma, dovendo lavorare, non disponeva di molto tempo per sé.
Dunque non poteva recarsi presso la rinomata bottega. L’usignolo la tranquillizzò: “La Bottega delle mille meraviglie offre un servizio speciale con corriere postale, veloce e sicuro. Potrai ricevere tutto in poco tempo!”
La fanciulla si lasciò convincere e, quando giunse il magico pacco, scoprì quanto fossero giusti e motivati i consigli dell’usignolo. Anche il drappo dorato e la pochette erano una vera e propria magia!
Bastava solo aspettare…
La data dei festeggiamenti fu stabilita e Rosy partecipò anche lei, più bella e radiosa che mai fra quei colori cerise bonbon perlato, perla di rosa, glitter oro, idratante luce d’oriente, carezze di seta, immersa in una pioggia inattesa e giocosa di luci dorate.
Così si avviò verso il palazzo reale, avvolta da una raffinata sinfonia di note profumate e amorose che la travolse assieme al principe, facendo di lei la donna più felice del reame. 

Multis variisque perfuncta laboribus