giovedì 26 dicembre 2019

Pubblicato sul numero del 30 aprile 2019

La Storia, la Modernità e il Treno Intervista a Renzo GALLERATI

Tutti lo conoscono. Chi sia Renzo Gallerati lo sanno tutti: uomo politico, ancora giovanissimo è stato sindaco della città di Montesilvano.
E’ cultore della bella musica, della Memoria, della politica intesa come servizio e, poiché politico, attesta quotidianamente il suo impegno a servizio della comunità cui appartiene.
La città di Montesilvano riconosce a lui e alla benemerita ACAF, l’Associazione Culturale Amatori Ferrovieri, il merito del forte legame con la Comunità d’appartenenza.
Ha coltivato nel tempo una grande passione: il treno. Ci ha creduto e ha realizzato, assieme ad altri cultori ferrovieri, l’allestimento del Museo del Treno dell’Adriatico. Un altro museo è di Campo Marzio a Trieste, ricco di cimeli austroungarici, adesso chiuso per restauro e valorizzazione.
L’ACAF, a sua volta, si avvale di volontari che mantengono viva la memoria di un Paese, l’Italia, che, come altri al mondo, ha conosciuto la crescita, l’evoluzione tecnologica, economica e sociale attraverso la “via ferrata”.
La ferrovia è stata, suo malgrado, testimone storico delle deportazioni degli anni ’40 nello scorso secolo, quando carri-merci, usati come “tradotte”, trasportavano uomini, donne, bambini nei lager della 2° Guerra mondiale. Ebbene nel Museo del Treno a Montesilvano sono conservati alcuni di quei vagoni.
Fra poco il Museo del Treno rievocherà il 90° anniversario del tracciato ferroviario Pescara-Penne (1929-2019), riprodotto in scala per la felice fruizione delle scolaresche invitate a visionarlo nel coevo bagagliaio DI- 90052 del Museo.
Assieme all’ACAF, l’ex sindaco commemorerà il fatidico 25 aprile 1945, anniversario della Liberazione, giorno dalla portata storica per i valori di libertà e di democrazia di cui è portatore. Con l’esposizione di due automobili, mezzi storici di Collezioni Private “Forze dell’Ordine”, si intenderà ricordare le febbrili, convulse, drammatiche ore del 25 aprile 1945, che accompagnarono la liberazione dell’Italia, a guerra quasi conclusa.
Importante e condiviso dalla città di Montesilvano è l’allestimento della Teca in vetro, che dovrebbe essere finanziato in sinergia con la Fondazione FS Italiane, la Fondazione Pescara-Abruzzo, una Multinazionale del Vetro, per la realizzazione del Museo-Auditorium coperto. La Teca in vetro sarà a protezione della storia del sito, delle radici della Comunità.

Quelle avviate da Renzo Gallerati e dall’ACAF sono tutte iniziative di ampio respiro per cui la città prova molta gratitudine. Esse valorizzano il territorio, lo rendono vivo, lo sottraggono all’incuria e al degrado, come ha osservato il Direttore Generale di Fondazione FS Italiane, l’Ingegnere Luigi Cantamessa. Inoltre rispondono pienamente alla Strategia Europea 2020, agli obiettivi per una politica di coesione, per lo sviluppo del trasporto sostenibile, dell’economia a bassa emissione di carbonio ai fini di una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva.
La valorizzazione del sito ferroviario di Montesilvano, stimolata dalle scelte di Renzo Gallerati assieme ad altri partners, ed effettuata attraverso esperienze artistiche e culturali e attraverso l’incontro fra persone, ravviva il tessuto sociale, favorisce il rispetto dell’habitat e delle strutture esistenti. Ne consegue che ogni cittadino si sentirà di proteggere e rispettare il patrimonio che gli appartiene, che corrisponde al patrimonio, alla bellezza, all’igiene della città.
Altro progetto a cuore del dottor Gallerati è l’attivazione della Navetta storica Montesilvano-Sulmona verso la “Transiberiana d’Italia”, che favorirà, attraverso un “pacchetto turistico”: Mare-Monti, la scoperta del territorio, della sua storia, dell’eno-gastronomia, delle tradizioni artigianali e popolari, passando per Roccaraso, Campo di Giove fino a Pescocostanzo.

L’INTERVISTA
D.: Lei, Dottor Gallerati, pensa che il progetto della Transiberiana d’Italia potrà partire già da quest’estate?
R.: Ci sono delle procedure da espletare, vi sono delle norme da rispettare. Abbiamo in calendario degli incontri con altri attori del progetto, in particolare con la Regione Abruzzo, nella persona dell’assessore Febbo, per il finanziamento dell’1% che le Regioni possono destinare ai progetti sui Beni Storici. I treni ci sono. Sono già stati cantierati. L’iniziativa si avvale solo in minima parte del finanziamento pubblico. Il resto si basa su sovvenzioni private. La Lombardia, il Piemonte, la Toscana, la Sicilia con il grande successo della “Ferrovia dei Templi” hanno avviato da tempo la riscoperta in chiave turistica di spettacolari linee ferroviarie italiane e di borghi ricchi di storia e di arte. “Binari senza tempo” è il grande progetto di Fondazione FS Italiane e del suo Direttore, l’ing. Cantamessa. Se per ragioni di tempo non sarà possibile inaugurare la Navetta Mare-Monti per l’estate, sarà certa per la stagione autunno-inverno.

D.: Come socio-cofondatore del Museo del Treno, Lei, dottor Gallerati ha preferito la politica dei “piccoli passi” nella valorizzazione del sito storico-ferroviario di Montesilvano. Quali altri impulsi pensa di dare al Museo nel prossimo futuro?
R.: Montesilvano ha una cronica esigenza di spazi ricreativi. Abbiamo realizzato Palazzo Baldoni con la Sala Polifunzionale, la Sala Congressi, il Museo del Treno, dove si sta svolgendo l’intervista e luogo in cui sono cresciuto. Vorremmo, su progetto dell’architetto Volpe, realizzare la Teca, struttura polifunzionale, anche in previsione del teatro, dotata di impianto fotovoltaico per l’alimentazione energetica. La Teca dovrebbe essere costruita in vetro con capriate di acciaio, grazie ai contributi della Fondazione FS Italiane, della Fondazione Pescara-Abruzzo, del Comune di Montesilvano. Sarebbe edificato là dove esisteva il manufatto ligneo che l’11 ottobre del 1943 esplose assieme ai vagoni in un’incursione aerea.

D.: L’opera interattiva “Immi” dell’artista Fabrizi, inaugurata da poco, fa pensare alla Street Art. Impreziosisce l’ingresso alla stazione e invia un messaggio di alto profilo umano e culturale che si lega al termine “viaggio” in tutte le sue accezioni. Lei pensa che i cittadini, in particolare i giovani, possano assieme al Museo del Treno, alla Fondazione FS Italiane, agli Enti locali, concorrere in un programma di valorizzazione dei luoghi circostanti la stazione? Penso a dei concorsi da bandire attraverso il mensile “Il Sorpasso” per la realizzazione di murales e/o pannelli nei sottopassi del Centro cittadino che meriterebbero anche migliore illuminazione se non delle telecamere.
R.: Certo! Possono essere realizzati pannelli, murales. Si pensi ai murales e al sottopasso di via Michelangelo a Pescara che rievocano fra l’altro la “Coppa Acerbo”.

D.: A Suo avviso e alla luce della Sua esperienza, che cosa bisogna fare per preservare il patrimonio storico-ferroviario e la grande memoria di cui è depositario, per evitarne l’oblio, com’è successo ad altri siti?
R.: Bisogna renderlo vivo. Vorrei in questo luogo momenti di incontro, di dibattito, di confronto fra giovani e con i giovani. Non è bello vedere la gioventù persa. Desidererei qui un luogo dove vedere maturare una consapevolezza, una coscienza civica, sociale. Auspicherei qui un luogo di incontro per realizzare una staffetta fra generazioni. Ricordo che sono cresciuto qui. All’età di quattro anni guardavo con stupore il Capostazione. Mi sembrava potentissimo. Ai miei occhi era l’uomo che consentiva l’apertura al mondo. Egli determinava quando far partire uomini, merci, bestiame. Il Capostazione, unico al mondo ad avere il berretto rosso, emanava l’aura di colui che faceva girare il mondo, che decideva il destino di genti che si dischiudevano al viaggio! Ho discusso due tesi in Economia dei Trasporti sulla storia della Ferrovia. Per me la ferrovia è sempre stata avvolta da un alone di romanticismo. Prima del treno vi erano il cavallo, la carrozza. A Montesilvano c’era la parte alta, dove il signorotto Delfico deteneva il Comune a casa sua. Nel 1919 le automobili erano poco più di una. Le carrozze, ossia le “vetture” trainate dai cavalli, appartenevano al notabilato latifondista locale, di provenienza teramana. Con la ferrovia arriva il mezzo di trasporto che muove le masse. La modernità e la progressiva evoluzione urbana ed economica arrivano con il treno. La città moderna nasce con l’arrivo della locomotiva. La città si è evoluta con la stazione. I giovani devono, pertanto, conoscere la storia dei loro avi e forse il Museo del Treno consente loro la scoperta di un mondo a cui pur sempre appartengono, apparteniamo tutti.

D.: La Fondazione FS Italiane ha avuto un ruolo determinante in ciò che è stato realizzato finora?
R.: La Fondazione FS Italiane è la vera Treccani della Ferrovia italiana. La Fondazione è il baluardo di una grande storia. Tutto ciò che oggi è del Museo del Treno, un giorno tornerà alla Fondazione.

D.: uale ruolo ha avuto l’Europa, secondo Lei, nella riqualificazione e nella valorizzazione dei nostri siti abbandonati?QQuale ruolo, secondo Lei, ha avuto l’Europa nella valorizzazione dei siti abbandonati?
R.: L’Europa si costruisce su relazioni e su corridoi. Si ricordi il discorso tenuto da Cavour a Palazzo Carignano, a Torino, allora sede del Parlamento Subalpino. Nell’estate del 1857 Camillo Benso, conte di Cavour, dovette difendere la costruzione del traforo del Frejus contro le critiche degli oppositori, dei detrattori. Questi ultimi sostenevano che il tunnel fosse un’opera speculativa a vantaggio delle parti coinvolte nella sua realizzazione. L’Europa si costruisce attraverso le relazioni, i corridoi e i flussi economici che per quei corridoi passano. Oggi Val di Susa vanta una preziosità ambientale. Dobbiamo tuttavia stare in quel corridoio di flussi. A molti piacerebbe che ne rimanessimo fuori per occupare il nostro posto e fare loro gli affari. Il tratto da Ancona a Pescara fu finito in due anni, dal 1861 al 1863, grazie all’inarrestabile lavoro di uomini di grande volontà. Nel ‘900 attraverso la ferrovia che collegava Londra a Bombay e che passava per Silvi, Montesilvano, Castellammare, abbiamo conosciuto la lingua inglese. Prima di allora si conoscevano solo il francese e lo spagnolo. Intorno alle primissime stazioni ferroviarie scoppiò una vivacità urbana mai vista. Arrivarono i primi opifici, le prime fabbriche, gli alberghi, i negozi. Anche i luoghi deputati all’amministrazione dei borghi iniziarono a scendere a valle, come ad esempio a Montesilvano. L’impresa fu eroica, dato il lavoro immane che comportò e la situazione da cui si partiva. Era il dopoguerra. C’era la ricostruzione.


F.to                Gabriella Toritto


Montesilvano, lì 14/04/2019
Pubblicato a marzo 2019 su "Il Sorpasso"

A che punto è la Scuola?
Nelle ultime settimane diversi sono stati gli episodi di cronaca nera imputabili ad adolescenti, coinvolti in atti da codice penale.

Molti si chiedono: Le famiglie dove sono? La scuola che cosa insegna? Ma esiste ancora la scuola?

La scuola di un tempo, dove i ruoli erano rispettati, dove l’insegnante era l’Insegnante e dove la famiglia non interferiva nelle dinamiche che si consumavano all’interno delle classi, confidando nelle decisioni del maestro, non esiste più.

Oggi a scuola molti giovani non vogliono impegnarsi. Studiare costa sacrificio: ore e ore seduti e concentrati a leggere, comprendere, memorizzare. La posizione statica e la concentrazione che lo studio richiede non si confanno a giovani che non riescono a stare fermi, che sono in preda alle pulsioni, né vogliono apprendere.

Molti sono gli studenti che presentano a scuola scarsa autocensura e che si distinguono per un turpiloquio generalizzato, al di là del genere. Gli adulti non sono da meno. Sembra ormai che la parolaccia sia stata proprio sdoganata.

Nella speranza di essere ancora in tempo per modificare qualcosa, a mio avviso urge una revisione dell’istituzione Scuola. Così come è gestita, fatte le dovute eccezioni, non può che tradire completamente il fine educativo che le appartiene e fare ricadere sulla società il proprio fallimento.

Tanti sostengono che la scuola sia influenzata dai poteri forti, quali l’economia, la finanza. E’ probabile, poiché oggi si presta maggiore attenzione a formare il “lavoratore” piuttosto che l’individuo. La realtà, tuttavia, evidenzia che la scuola non è in grado di formare né il lavoratore, né l’individuo. Il “lavoratore” non si forma con l’alternanza scuola-lavoro. E l’allievo non viene formato come “Uomo”. Alla società occorrono innanzi tutto veri uomini prima che bravi meccanici, idraulici, ingegneri, medici. Se nell’individuo non c’è l’”Uomo” allora avremo, come accade molto spesso, manager capaci dell’esercizio più sadico del potere con i propri sottoposti. Gli esiti di tali condotte ricadono inevitabilmente sulla società tutta.

A scuola la formazione non coincide con l’istruzione. L’istruzione è il “passaggio” di contenuti mentali da una testa all’altra. L’educazione, invece, è cura della formazione del sentimento di una persona. Il sentimento si impara, è un contenuto culturale. Il sentimento è diverso dalle pulsioni.

Dai fatti di cronaca e da quanto accade nelle scuole si assiste a giovani che non conoscono la risonanza emotiva dei propri sentimenti. Per loro non c’è differenza fra insultare un professore o prenderlo a calci, fra corteggiare una ragazza o violentarla. Molti giovani non hanno la risonanza emotiva di una differenza reale. Sono privi di sentimenti. I sentimenti non si hanno in natura, sono culturali, si imparano in famiglia, così come sono stati appresi anticamente dalle tribù primitive che raccontavano miti, dalle nonne che raccontavano storie per insegnare la differenza fra il Bene e il Male, fra le cose giuste e le cose ingiuste.

Gli stessi miti greci offrivano una galleria di sentimenti, di passioni rappresentate da divinità come Zeus, il potere, Atena, l’intelligenza, Apollo, la bellezza, Dioniso, la follia. Ai nostri tempi, purtroppo, non ci sono più i miti, e nelle scuole si dà poca importanza alla Letteratura, la quale ci insegna l’amore in tutte le sue declinazioni. Ci narra il dolore, la tragedia, la disperazione, la noia. Se un giovane non impara a conoscere tali condizioni di sofferenza, come farà a riconoscere e gestire i propri stati d’animo? Accade quindi che, come sostiene il professor Galimberti, filosofo e psicologo, il giovane sta male e non sa spiegarne la causa, poiché “non possiede il vocabolario dell’apparato sentimentale”. E, se uno è privo di sentimenti, può commettere qualsiasi azione, come i bulli che, non possedendo un linguaggio, si esprimono con i gesti.

La società contemporanea ha imposto l’apprendimento del linguaggio informatico che trova ampio consenso a discapito della letteratura, della lettura. Generalmente in classe leggono due o tre studenti, gli altri sostengono le interrogazioni ricavando qualche informazione da Google. Diversi sono gli studenti che non sanno sfogliare un dizionario, altri non comprendono un testo scritto, altri ancora non sanno che dopo il punto ci vuole la maiuscola. C’è chi non sa scrivere in corsivo! Si assiste a un analfabetismo di ritorno.
L’informatica concorre a ciò, riducendo il linguaggio a poche parole. Sempre il professore Galimberti afferma che “se si hanno poche parole in bocca, non si hanno tanti pensieri in testa, poiché i pensieri sono proporzionati alle parole che si possiedono”. Dunque se ho poche parole, penso poco. E, quando un Popolo pensa poco ed è incolto, come noi Italiani, allora quel popolo perde su tutti i fronti, soprattutto sul fronte economico e storico, oltre che sociale e politico.

La scuola fino ai 18 anni dovrebbe essere luogo di formazione dell’Uomo, a prescindere dagli indirizzi di studio intrapresi. Senza l’Uomo la società è persa. Invece oggi si presta attenzione alla cultura della “prestazione”. Anche nei licei non si svolgono più i temi, sostituiti da prove sulla comprensione di un testo scritto. Galimberti vede in tale scelta la cancellazione del valore della soggettività del tema che, a quanto pare, alla scuola non interessa poiché la società esige solo prestazioni.

F.to    Gabriella Toritto
Pubblicato a fine Febbraio 2019 su "Il Sorpasso"

“Sotto il segno dei Pesci”

Marzo è alle porte e si avvicinano alcuni anniversari che vedono nati “Sotto il segno dei Pesci” i più amati cantautori del nostro panorama musicale: Antonello Venditti, 8 marzo 1949, che si avvicinò alla musica giovanissimo; Lucio Dalla, 4 marzo 1943; Lucio Battisti, 5 marzo 1943; Riccardo Cocciante, 20 febbraio 1946; Pino Daniele, 19 marzo 1955.
Instabilità emotiva, grande sensibilità, creatività e ingenuità sono alcune delle principali caratteristiche dei nati sotto il segno dei Pesci. Ultimo dei dodici segni dello zodiaco, quello dei Pesci è un segno mobile e d’acqua, governato da Giove e Nettuno. I nati sotto il segno vivono di percezioni profonde e comprendono la realtà attraverso l’intuito. Si affidano a un acume potente che consente loro di risolvere i problemi in modo immediato e di sciogliere i nodi dei problemi con doti quasi da veggente. Perspicaci e istintivi, non sono però impulsivi: in questo sta la forza della loro intelligenza.
I caratteri sopra esposti li ritroviamo nei Cantautori citati, nati sotto il segno dei Pesci durante e dopo il secondo conflitto mondiale. Essi hanno raccontato l’Italia degli anni di piombo, un’Italia lacerata dalla lotta armata e dal terrorismo.
Era quello degli anni ’70 il periodo della contestazione giovanile, del Sessantotto, della strage di Piazza Fontana: primo atto della strategia della tensione che caratterizzò quegli anni e che avvenne a Milano il 12 dicembre 1969.
Ero a quel tempo una studentessa universitaria a Roma. La capitale non conosceva pace. L’università era frequentemente occupata. Continue erano le manifestazioni di contestazione studentesca che si univano agli operai metalmeccanici in sciopero contro il potere, sordo a ogni cambiamento. Le forze dell’ordine, in assetto antisommossa, presidiavano le strade della città. Facevano paura. Allora ho incontrato e conosciuto personaggi che hanno scritto pagine della nostra storia.
Battaglia di Valle Giulia - Roma - 1 marzo 1968
Gli anni ’70 sono stati il periodo d’oro per la canzone d’autore italiana. Sembrava quasi che non si potesse far musica nel nostro paese senza introdurre temi politici o sociali nelle canzoni, senza mettere un’attenzione particolare nei testi, senza in qualche modo rifarsi agli esempi francesi o americani. In quella canzone e in quei cantautori si sono riconosciuti milioni di giovani in fermento. Sono nate allora diverse scuole, da quella romana a quella bolognese, che a loro volta s’ispiravano alla scuola genovese nata un decennio prima.
Il 1º marzo 1968 vi fu la famosa battaglia di Valle Giulia, a Roma: primo scontro cruento del movimento del Sessantotto contro le forze dell'ordine. Si trattò di un combattimento in cui gli studenti fronteggiarono le forze di polizia.

Antonello Venditti ha cantato a più riprese nelle sue canzoni quegli anni che hanno infiammato gli animi di molti giovani. In “Valle Giulia” il ricordo di amori del passato si unisce a quello degli anni di scuola e della partecipazione al movimento del ’68: “Valle Giulia ancora brilla la luna … Paola prende la mia mano caduta per sbaglio sui nostri vent’anni tesi come coltelli, come fratelli perduti forse qui architettura … sarà il profumo di questa città sarà la musica che viene da lontano sarà l'estate che brucia nelle vene sarà il passato che ancora mi appartiene …”.

Il ricordo riaffiora anche in “Sotto il segno dei Pesci”. L'album fu registrato a Roma nei Trafalgar Studios e a Londra ai Marquee Studios. Tra i musicisti sono da ricordare i membri del gruppo degli Stradaperta, già collaboratori di Venditti in Lilly. L'album, bellissimo e ricco di canzoni divenute dei classici, cantate allora dalla Meglio Gioventù, fu pubblicato il giorno del compleanno del cantautore, l'8 marzo. Divenne, suo malgrado, la colonna sonora di un periodo cupo per la storia italiana poiché solo otto giorni dopo, esattamente il 16 marzo 1977, Aldo Moro fu rapito dalle Brigate Rosse.

Tanti anni dopo Venditti ha affermato: “Era quello un disco che raccontava l' Italia che avevi davanti agli occhi, un' Italia violenta ma anche appassionata. Anche molto contraddittoria. E anche un' Italia paradossalmente libera. Il disco uscì l' 8 marzo 1977. Una settimana dopo ci fu il rapimento di Aldo Moro. In teoria sarebbe stato molto difficile incastrarlo in quei tre mesi di assoluto incubo che l' Italia stava vivendo. Invece il disco non fu cancellato dagli eventi, perché diceva una cosa piccola, semplice e vera: - ...Ma tutto quel che voglio, pensavo, è solamente amore. Ed unità per noi, che meritiamo un' altra vita. Più giusta e libera se vuoi. - Era quello che volevano tutti. E un paese che riesce, in un momento come quello, ad avere come sua colonna sonora una canzone così è un paese molto forte”.

Ti ricordi quella strada, eravamo io e te
E la gente che correva, e gridava insieme a noi
Tutto quello che voglio, pensavo, è solamente amore
Ed unità per noi, che meritiamo un'altra vita
Più giusta e libera se vuoi
Corri amore, corri non aver paura

Mi chiedevi che ti manca, una casa tu ce l'hai
Hai una donna, una famiglia, che ti tira fuori dai guai
Ma tutto quello che voglio, pensavo, è solamente amore

Nata sotto il segno, nata sotto il segno dei pesci

Ed il rock passava lento sulle nostre discussioni
Diciotto anni son pochi, per promettersi il futuro
Ma tutto quel che voglio, dicevo, è solamente amore
Ed unità per noi che meritiamo un'altra vita.



F.to Gabriella Toritto
Pubblicato su "Il Sorpasso" di Montesilvano - Novembre 2018

La Grande Guerra
Il fronte carsico
In questo mese, Novembre 2018, ricorrono i 100 anni dalla fine della Grande Guerra. 
Era quello il tempo della belle epoque e il dono della pace sembrava dovesse durare per sempre. A Parigi si viveva la ville Lumière in un ritmo frivolo e frenetico: dal ballo alla moda, al can can. Lo sviluppo economico, culturale e il benessere sempre più diffuso davano all'Europa l’illusione della propria grandezza, della propria forza e civiltà, di grandi attese. L'Europa si sentiva il punto di arrivo e di confluenza delle invenzioni, della tecnica e di tutte quelle virtù che l’avevano resa importante. Il progresso unificava i popoli europei, orgogliosi del frutto esaltante di secoli di lavoro e di incivilimento umano. 

Si trattava tuttavia di una pura chimera poiché ben presto quei tedeschi e quei francesi che, durante l'Esposizione Universale di Parigi del 1889, si erano incontrati inconsapevolmente sotto la torre Eiffel, si ritrovarono nel giro di poco tempo a spararsi, nascosti nelle trincee. 

Era il tempo a cavallo fra due secoli, che assisteva al trionfo della scienza, alla moltiplicazione delle scoperte e delle applicazioni tecniche. Era il tempo del progresso delle scienze sociali, dei metodi dell'analisi dell'anima, della psiche e del comportamento, ossia della psichiatria, della psicanalisi, della sociologia, della scienza della politica. Tutto appariva in crescita. L’uomo era fiducioso e sicuro. L’Europa si credeva l’”ombelico del mondo”, la “civiltà”. Aveva raggiunto un notevole grado di benessere e di sicurezza, una stabilità di ordinamenti, dei diritti civili e un soddisfacente grado di istruzione e di libertà. Non tutti i cittadini o sudditi, tuttavia, vivevano nelle stesse condizioni. Vi erano situazioni privilegiate, tipiche delle classi abbienti; mentre le classi inferiori erano organizzate e incoraggiate a nutrire fiducia in un futuro migliore dai movimenti sindacali e politici della sinistra. 

In Germania e in Austria, in Francia e in Gran Bretagna, così come in Russia e in Italia, seppure in misura diversa, i socialisti della Seconda Internazionale erano ben organizzati. 

Era un tempo di pace. Così si credeva ma di lì a poco i paesi, sopra citati, furono coinvolti nella bufera di quel conflitto europeo che qualcuno definì guerra civile, poiché vide coinvolti in una carneficina popoli fratelli, appartenenti allo stesso continente.

Grande Guerra, Great War, Große Krieg: tutti i paesi belligeranti la chiamarono così. Il termine “Grande Guerra” apparve già dal 1914, quando fu subito evidente che quella che per Germania e Impero austro-ungarico doveva essere una “guerra lampo” si sarebbe trasformata in un conflitto totale, mondiale e di lunga durata, a causa dell’estensione delle operazioni militari, dei milioni di soldati sul campo che ne avrebbero fatto uno scontro dalle dimensioni inedite e senza termine di paragone rispetto al passato.

La Grande Guerra, scoppiata nel 1914, si concluse nel novembre del 1918, dopo anni durissimi di combattimenti, di fame, di gelo, di morte incombente e di grande scoraggiamento che causarono molte diserzioni. Terribile fu il rigido inverno del 1916 nelle trincee del Carso. Ancora più terribile fu il 1917, quando alle insostenibili condizioni di vita si aggiunsero le sconfitte e, per gli Italiani, la disfatta di Caporetto. Andò meglio l’anno seguente, 1918, quando le forze alleate iniziarono ad avere la meglio contro i tedeschi e gli austriaci, e gli Italiani riportarono la trionfale vittoria di Vittorio Veneto, costringendo l’impero austro-ungarico all’armistizio e l’esercito tedesco all’isolamento. 

Seguirono le trattative di pace e la sottoscrizione dei Trattati. 

La guerra era finita … ma solo per poco.


F. to Gabriella Torittobriella Toritto
Pubblicato su "Il Sorpasso di Montesilvano" a gennaio 2019

La vera bellezza.
Il Natale è trascorso. Anche il Capodanno. Ognuno è tornato alle proprie attività quotidiane, al proprio tran tran: casa, scuola, ufficio, negozio, spesa, etc.: tutto in una inesorabile, frenetica corsa che snerva il corpo, il cuore, la mente.
E che cosa ci è rimasto di quel Natale ormai trascorso? Della veglia, della cena, dei parenti, degli amici, della tombolata: un lontano ricordo!
Che quel Natale trascorso da poco sia stata l'ennesima occasione mancata? Forse sì, se ci ritroviamo nervosi e inappagati come prima o ancora più di prima.
Qualche tempo fa in una nota trasmissione televisiva il critico d'arte Vittorio Sgarbi ebbe a dire che la religione cristiana ha prodotto la più grande bellezza artistica e che anche i musulmani devono esserne contenti poiché nella Natività del Nazareno si celebra e si rinnova la nascita dell'Uomo che ha condotto “una rivoluzione” e per cui “l'uomo non deve odiare l'altro l'uomo”.
Tornando al critico d'arte, secondo cui il Cristianesimo ha prodotto la più grande bellezza artistica di tutti i tempi, c'è da chiedersi come abbiano potuto i grandi artisti concepire e produrre cotanta bellezza! La risposta è nella Rivelazione del Verbo fattosi Carne.
Il Cristianesimo predica l’Amore e l’Amore è suprema bellezza. L’amore è Luce: la stella cometa inonda di Luce la grotta della Natività. L’Amore è dono: Dio si fa Uomo e si immola sulla Croce per salvare l’umanità.
Dante Gabriel Rossetti, L'Annunciazione
Il professor Sgarbi sostiene che “nessuna religione ha espresso tanta bellezza come la nostra”. L’affermazione è di un grande critico d’arte che avrebbe potuto appellarsi al retaggio culturale-artistico greco-ellenistico al fine di giustificare la grande rappresentazione iconografica cristiana/cattolica. E non lo fa. Ancora: il critico d’arte, nel suo monologo sul Natale, sostiene che il Cristo, fattosi Uomo, trasforma “homo homini lupus” in “homo homini deus”, il quale, senza negare la propria identità e integrità, non arreca male ad alcuno ma accoglie e abbraccia.
Il prof. Sgarbi individua proprio nell’umanità la grandezza del Cristianesimo/Cattolicesimo (diversamente, sia nell’Ebraismo sia nell’Islamismo, Dio è troppo grande per essere rappresentato dall’uomo!).
Il Dio incommensurabile del Cristianesimo, l’Onnipotente, l’Onnisciente, l’Onnipresente è il Dio che per Amore si fa Uomo e inonda di nuova Luce, Speranza e Carità le buie cavità dell’animo umano.
E’ vero che la grande bellezza artistica dell’iconografia cristiana si è sviluppata in ritardo rispetto alla Chiesa delle origini, attingendo all’iconografia pagana. E’ pur vero, tuttavia, che ha superato di gran lunga quest’ultima, avendo come fonte di ispirazione le Verità rivelate nelle Sacre Scritture, che hanno elevato gli animi e lo spirito di quanti si sono cimentati con l’arte. Già, l’elevazione dell’anima comporta la grande vera bellezza. Non la bellezza artefatta, non quella esteticamente corretta, anzi alterata dal bisturi; non la bellezza sfacciatamente esibita, ma una bellezza inondata di Luce e di Amore.
E’ stata proprio tale bellezza a ispirare la “Preghiera di S. Bernardo alla Vergine” nel XXXIII Canto del Paradiso dantesco. E’ stata tale bellezza a rendere grandi i capolavori di Pier della Francesca, di Giotto, di Caravaggio.
I maestri greci ci hanno insegnato che ogni essere, per diverso che sia, possiede tre caratteristiche trascendentali: essere unum, verum et bonum, ossia ogni essere vanta un’unità interna che lo lega all’esistenza. Ogni essere è vero poiché ognuno è come di fatto è. Ogni essere è buono poiché adempie il proprio compito assieme agli altri suoi simili, aiutandoli a esistere e a coesistere.
Successivamente Sant’Agostino e San Bonaventura hanno aggiunto una quarta caratteristica trascendentale all’essere: pulchrum, cioè bello. San Francesco, poeta ed esteta d’eccellenza, “nel bello delle creature ha visto il Bellissimo”.
Fiodor Dostoevskij è stato un convinto estimatore della bellezza. A lui si deve in L’idiota l’espressione: “La bellezza salverà il mondo”. Attraverso le storie narrate nei suoi romanzi il romanziere russo ha spiegato che la bellezza ci porta all’amore, condiviso con il dolore. Egli ha visto la bellezza nell’anima dei personaggi più perversi. Ha descritto soggetti immersi nella più profonda e abietta disperazione. Per lui il contrario di “bello” non era “brutto” ma l’utilitarismo, il cinismo, ossia la volontà, l’intento di usare gli altri “sottraendo” loro la dignità.
La Madonna Sistina di Raffaello Sanzio 
Il monaco benedettino A. Grun racconta che Dostoevskij andava almeno una volta l’anno a vedere la Madonna Sistina di Raffaello Sanzio e che rimaneva in lunga contemplazione davanti a quella splendida figura. Per Dostoevskij la contemplazione della Madonna di Raffaello costituiva terapia personale. Senza di lei avrebbe disperato degli uomini e di se stesso, davanti ai tanti problemi che vedeva. La contemplazione della Vergine da parte di Dostoevskij è molto sorprendente, dato che i suoi romanzi penetrano nelle zone più oscure e perfino perverse dell’animo umano. Nel romanzo I fratelli Karamazov il romanziere ha approfondito il tema della bellezza: un ateo, Ippolit, domanda al principe Mynski “in che modo la bellezza salverebbe il mondo?” Il principe non risponde alcunché. Si reca, invece, da un giovane di diciotto anni in agonia e rimane lì, pieno di compassione e di amore finché quello muore.

Il mondo potrà salvarsi finché ci saranno gesti come quelli del principe Mynski, che purtroppo oggi mancano!

Dostoevskij amava ripetere: “Sicuramente non possiamo vivere senza pane, ma anche esistere senza bellezza è impossibile”.

Anche Papa Francesco ha dato speciale importanza alla trasmissione della fede cristiana attraverso la via Pulchritudinis (la via della bellezza).
Ma ai nostri tempi dov’è la bellezza? Ci sono giovanissimi che si recano in discoteche, per loro anche fatali, e pagano per osannare canzoni che seminano violenza, discriminazione, volgarità e ogni tipo di oscurità, severamente condannate (le canzoni) anche dai giornalisti più anziani e navigati!
Non è forse giunto il momento di fermarsi a riflettere un po’, a discernere ciò che è bello, giusto e buono? Non è forse arrivata l’ora di raccogliersi e isolarsi un po’ dal delirio imperante?

Dunque facciamo in modo che il Natale trascorso diventi l’occasione per scandagliare il nostro cuore e riflettere sull’autentico significato, sul messaggio e sulla bellezza della Natività.


F.to    Gabriella Toritto
Pubblicato su "Il Sorpasso" di Montesilvano il 22 dicembre 2018

La Tv: madre benigna o perfida matrigna?

Della Tv misconosciuta, della Tv poco amata dalla Scuola, della Tv incontrollabile e generalizzata si è scritto molto finora.
Schiere di scrittori, docenti universitari, insegnanti, pedagogisti, psichiatri hanno detto e scritto la loro sulla Tv, ora esaltandone l’uso e la fruizione, ora condannando. Vastissima è la letteratura sui pregi e sui difetti della Tv.
Molti sostengono che la Tv sia il mezzo di comunicazione di massa meno colto, di più facili accesso e fruizione, soprattutto per le classi sociali svantaggiate, nonché la baby-sitter a cui molti genitori affidano i propri figli. La Tv viene anche accusata di indurre i bambini e i giovani alla passività e alla violenza.
Di certo si può affermare che la Tv “è partecipe dell’evoluzione in profondità dei comportamenti sociali, (…) proprio in ragione del fatto che in essa, attraverso le sue caratteristiche materiali, tecnologiche, passano nuove forme di pensiero”[1]. La Tv ha modificato il nostro rapporto con il tempo, ha cambiato i nostri passatempi, divenendo essa stessa strumento di svago. E poiché è un media, relativamente nuovo, ha influito sul clima culturale della società odierna, soprattutto di quella occidentale.

F. Mariet sostiene che la Tv “è questione di tecnologia, di percezione, di marketing. Non di morale. Essa muta più lo sguardo che le cose guardate”
Dunque, se si riconosce alla Tv il potere di mutare lo sguardo dei suoi fruitori, forse questi ultimi, e non solo, un problema devono pur porselo.
V. Andreoli, in Giovani[3], descrive una gioventù confusa da un “bombardamento di immagini”; traccia il profilo di giovani dell’hic et nunc, del qui ed ora, dell’eterno presente, dell’avere, anzi del possedere, e non dell’essere; di giovani che legano la propria esistenza alle cose: se non si possiede quella cosa (si tratti dello smartphone di ultima generazione o di altro in voga) si è degli esclusi, si è dei “vinti”, si smette di esistere.
Qualcuno obietterà che le responsabilità dell’educazione dei giovani ricadano sulla famiglia e sulla scuola. Oggi, tuttavia, esistono diverse agenzie educative che influiscono sulla formazione e sulla crescita dell’infanzia e dell’adolescenza. Esse spesso entrano in conflitto con l’educazione classica di un tempo in cui un padre, una madre, una rete parentale erano in grado di “impostare” ed orientare i giovani.
Anche la Tv è a tutti gli effetti un’agenzia educativa che addirittura precede la scuola stessa, e, in quanto tale, deve porsi la questione morale. Si tratta in fondo anche di un servizio pubblico e come tale deve essere realizzato e implementato.
Quando ci si appella alla questione morale non si auspica alcuna repressione, neppure una vigilanza sospettosa e minacciosa. Non si chiede la censura. Gli addetti ai lavori, tuttavia, in primis i dirigenti delle emittenti televisive, gli stessi opinion leaders devono maturare la consapevolezza e la responsabilità del linguaggio e dei comportamenti usati, ostentati.

Già Platone nel V libro della Repubblica esortava i poeti e i commediografi del suo tempo a proporre eroi e immagini moralmente utili alla crescita degli adolescenti. Figurarsi dei bambini! Il filosofo greco sosteneva infatti con la “teoria della mimesi” la tesi dell’imitazione, per cui l’esposizione a scene di violenza, continue e gratuite, a suo avviso, potevano indurre nei bambini, nei giovani una reazione analoga per imitazione e/o per assuefazione.

Diversi studi statunitensi, già molti anni fa, sostenevano che “la presenza della televisione nelle case degli americani ha prodotto la peggiore delle epidemie di violenza giovanile che il paese abbia mai conosciuto” [4]

Oggi, quotidianamente, anche nelle fasce orarie pomeridiane, si fruiscono immagini e linguaggi non adatti neppure a un pubblico adulto. Vi sono programmi di successo, talk show, i cui opinion leaders si esprimono e si comportano in modo diseducativo, favorendo esempi di bullismo e di turpiloquio. Questi sì che sarebbero da censurare, anzi da denunciare!


F.to Gabriella Toritto


[1] Lasciateli guardare la Tv, F. MARIET, Collana prospettiva 2000, Scuola e Società, ANICIA srl.
[2] Giovani, V. ANDREOLI, RIZZOLI Ed., 1995
[3] Winn, M., Tv Drogue, Fleurs, 1977
Pubblicato il 28 novembre 2018 su "Il Sorpasso" - Il Mensile di Montesilvano

La ri-nascita

“Non è stata la terra a generarmi, e nemmeno i cieli, ma solo le ali di fuoco”
Queste si racconta fossero le parole incise sull’ala destra della Fenice.

Leggendo gli articoli “L’ecumenico” e “Non brucia la speranza” del numero di ottobre de “Il Sorpasso”, rifletto come la leggenda dell’araba Fenice calzi con le riflessioni degli autori, gli amici Mauro De Flavis e “Girolamo Savonarola”.
“Ecumenico” deriva dal termine “ecumene”, in greco oikūménē (gê) ossia ‘(terra) abitata’. Nella nostra lingua può indicare sia la parte della Terra dove si trova l’habitat favorevole alla dimora permanente dell'uomo sia la comunità universale di fedeli. “Ecumenico” sta per ciò che appartiene a tutta la Terra abitata e quindi universale. Così come universale è il mito della Fenice, un uccello bellissimo, forse un airone con piume d'oro, con bagliori di fiamma, che riappariva ogni 500 anni.

La prima versione del mito è quella dell’Egitto delle prime dinastie, in cui la Fenice è rappresentata come un passero, o come un airone cenerino. Secondo la tradizione dell’antico Egitto la Fenice non risorgeva dalle fiamme, come narrano i miti greci e quelli successivi, bensì dalle acque. Per gli antichi Egizi Bennu, era un uccello sacro, successivamente identificato dai greci con la Fenice. Rappresentava il Ba, ossia l'anima del dio Ra, il Sole.
Esiodo è il primo poeta greco a menzionarla nel VII-VIII secolo a.C.. Erodoto, scrittore originario dell’Asia Minore, ricorda la Fenice nel secondo libro, dedicato all'Egitto, delle sue Storie. Ovidio, nelle Metamorfosi (XV,392), la descrive così: "Esiste un uccello che da solo si rinnova e si riproduce: gli Assiri lo chiamano Fenice; non vive di frutti né di erbe, ma di lacrime d'incenso e di succo di cardamomo."
Nell'antica Roma la Fenice diviene simbolo dell'energia vitale dell'impero che riusciva a rinnovarsi. Essa è effigiata su monete e mosaici.
La Fenice è un racconto universale, ecumenico, che si riscontra nelle tradizioni orali, e poi scritte, di molte antiche civiltà, da quelle orientali a quelle occidentali. Essa in tutte le versioni, precedenti l’avvento del Cristianesimo, ribadisce sempre il concetto della ri-nascita. Dopo la diffusione del Cristianesimo sono i Vangeli e l’Apocalisse a narrare una ri-nascita: la Resurrezione. In particolare l’Apocalisse riporta l’allegoria di un regno di 1000 anni per indicare il periodo fra la prima resurrezione di Gesù, il Cristo, e il ritorno del Risorto alla fine di tutti i tempi.
Dante Alighieri nella Commedia (Inferno XXIV, 107-111) così la descrive:
“che la fenice more e poi rinasce,
quando al cinquecentesimo appressa
… nardo e mirra son l'ultime fasce."


L’esigenza della ri-nascita, della resurrezione, è avvertita dagli uomini di tutti i tempi, forse per assicurarsi l’immortalità. L’uomo credeva nell’anima. Il termine “psiche” si trova per la prima volta in Omero, associato all’anemos – il soffio vitale.
E se il soffio vitale, l’anemos, è immortale, nulla di ciò che è immateriale, spirituale, può essere distrutto. Può essere offeso, oltraggiato, vituperato ma non distrutto. Così la fede in un Dio, così il pensiero dei grandi uomini, così la memoria di quanto ci è più caro. Anche un luogo di culto è caro, anzi sacro e, nella sua sacralità, prezioso e insostituibile per quanti in quel luogo hanno pregato e “parlato” con il proprio Dio.
Secoli di storia, persecuzioni, distruzione e morte, che hanno messo a ferro e fuoco le prime comunità cristiane, ci hanno mostrato che sotto la “cenere c’è il fuoco”, quel fuoco che è “sì simbolo di distruzione ma anche … di rinascita”, come “Savonarola” ha scritto sul numero di ottobre.


F.to Gabriella Toritto