giovedì 26 dicembre 2019

Appuntamento con le Storie pubblicato il 2 agosto 2019 su "Il Grande Sorpasso"

I Fratelli Rossetti (seconda parte)
Gabriele Rossetti per quasi tre anni rimase a Malta, dove svolse le sue attività di improvvisatore e insegnante di lingua e letteratura italiana. Era tuttavia ancora perseguitato e ricercato dai Borboni. Nel gennaio 1824 dovette lasciare definitivamente l’isola mediterranea.
La nave inglese che lo aveva portato a Malta, la Rockfort, il 7 aprile dello stesso anno lo condusse a Londra, meta di tanti altri esuli italiani, vittime della repressione seguita ai moti del 1820-21. Durante la sosta nel golfo partenopeo Sir Graham Moore fece un estremo seppur vano tentativo di perorare per lui la grazia dal re.
Rossetti portava con sé il manoscritto contenente la redazione definitiva di Iddio e l’uomo, un’opera di riflessione politico-religiosa che avrebbe avviato una fase d’intenso impegno ideologico e letterario.
Nel primo periodo della sua permanenza a Londra Gabriele conobbe Gaetano Polidori, uomo di lettere, ex-segretario di Vittorio Alfieri, stimato maestro d’Italiano. La familiarità e l’amicizia con Polidori produssero un significativo cambiamento nella sua vita: nell’aprile del 1826 ne sposò (prima con rito cattolico e poi anglicano) la secondogenita, Maria Francesca Lavinia, ragazza colta e raffinata.

Christina Rossetti, la fine poetessa
Da questa unione nacquero in meno di quattro anni Maria Francesca, Dante Gabriel, William Michael e Christina, destinati − chi più, chi meno − a rivestire ruoli di primo piano nelle vicende dell’arte inglese del secondo Ottocento.
William Michael nei suoi Ricordi affermò con convinzione che la famiglia Rossetti era unita e indivisibile, il centro del mondo, cioè una coalizione di forze interscambiabili, un nucleo di reciproche intese. In quel padre esule, venerato dai figli, e viceversa, nell’amore e nell’orgoglio paterno verso le sue creature, c’era la consapevolezza di appartenere a una stirpe, di essere uniti e diversi al contempo, di respirare la stessa aria, di parlare un identico linguaggio, di riconoscersi, alla luce di una formazione comune, anche solo attraverso un gesto, una parola, un cenno segreto.
Proserpina di Dante Gabriel Rossetti
I Rossetti conservarono in territorio inglese quella struttura patriarcale dalle lontane origini meridionali: un clan, insomma, in cui ciascuno interpretò il suo ruolo rispettando l’identità dell’altro. Gabriele, il patriarca, da un lato, con la moglie Francesca Maria Lavinia, secondogenita di Gaetano Polidori; dall’altro la cucciolata dei figli: Maria Francesca, divenuta suora e divulgatrice del culto dantesco, Dante Gabriel con la sua personalità prorompente e poliedrica, William Michael, il cosiddetto «uomo normale», storico di famiglia, e l’esile Christina, poetessa spirituale e repressa.
Dall’approdo in Inghilterra e fino agli anni 1842-43, quando ebbe i primi segni di cedimento fisico per l’insorgere di alcune malattie, Gabriele Rossetti fu notevolmente assorbito dai suoi studi e dall’appassionata difesa delle sue teorie contro i detrattori che non mancarono. Nel 1831 fu nominato professore di “Italian Language and Literature” presso il King’s College di Londra. La sua attività principale però restavano le lezioni private.
Tentò più volte di rientrare in Italia dopo l’ascesa di Ferdinando II al trono del Regno di Napoli, nel 1832, che aveva fatto sperare molti esuli, e dopo la fiammata rivoluzionaria del 1848. In entrambi i casi, però, le speranze di un ritorno in patria furono vanificate dal precipitare degli eventi.
Gabriele Rossetti, intanto, recuperando un interesse che probabilmente risaliva alla sua giovinezza vastese e napoletana, portò a compimento la prima parte di una complessa riflessione sulla Commedia di Dante:
“Non a Londra, ma in Napoli e forse in Vasto − scrive Teodorico Pietrocola Rossetti nella sua biografia − il Rossetti concepì l’idea di un commento analitico sulla Divina Commedia, in cui avesse potuto svolgere la scienza arcana della politica e della religione di Dante …”.
La pubblicazione del primo volume del “Comento analitico” gli diede molta notorietà e gli procurò nuovi amici. Tra questi il gentiluomo scozzese Charles Lyell, uomo di scienza e raffinato cultore di Dante, con cui Rossetti avviò un rapporto di fraterna amicizia e collaborazione e che fu, tra l’altro, padrino di battesimo di Dante Gabriel.
Ammalatosi gravemente, Gabriele Rossetti condusse gli ultimi anni di vita in un progressivo e rapido decadimento fisico che gli causò non poche sofferenze. Alla cecità si aggiunsero ripetute paralisi che lo ridussero in misere condizioni. Morì a Londra il 26 aprile 1854.
A lungo il suo nome sarebbe rimasto legato alle vicende del Risorgimento italiano e agli aneliti liberali per cui egli aveva pagato un prezzo umanamente alto, con le persecuzioni di cui fu vittima e con l’esilio. Non è un caso se Giosue Carducci, approntando nel 1861 una celebre antologia della poesia civile rossettiana, gli rese omaggio quale vate della libertà e dell’Unità d’Italia.
William Michael Rossetti
Maria Francesca fu divulgatrice del culto dantesco. La sua opera A shadow of Dante fu pubblicata nel 1871 e fu salutata da James Russell Lowell come “di gran lunga il commento migliore mai apparso in inglese”. Divenne suora anglicana nel 1874 ed entrò nel convento anglicano della Society of All Saints. A lei la sorella Christina dedicò il poema Goblin Market.
Frutto di profonda conoscenza del testo dantesco, A shadow of Dante assorbe molti degli elementi tipici del dantismo vittoriano, a cominciare dall’idea che Dante fosse “the central man of all the world”. Maria Francesca Rossetti scrisse “Dante è un nome non limitato nello spazio e nel tempo. Non l’Italia, ma l’Universo è il suo luogo di nascita; non il XIV secolo ma tutto il Tempo è la sua epoca”.
William Michael Rossetti, che assieme al fratello Dante Gabriel fu uno dei fondatori e l'organizzatore del Movimento dei Preraffaelliti, fu definito da Mario Praz l'uomo normale dei Rossetti. Condusse una vita appartata e riflessiva, ma non per questo meno importante.
Per far fronte alle necessità economiche della famiglia verificatesi dopo la morte del padre, William Michael decise di soffocare le proprie inclinazioni artistiche, divenendo funzionario dell'Agenzia delle entrate britannica, presso la Somerset House situata lungo il Tamigi. Nel 1874 sposò Lucy Madox Brown, figlia del celebre pittore Ford Madox Brown.
Numerosi furono i suoi viaggi in Italia, tra cui ricordiamo, il soggiorno a San Remo nel 1887, durante il quale fu testimone del terribile terremoto che scosse la terra ligure.

F.to Gabriella Toritto




Fonte: I ROSSETTI – ALBUM DI FAMIGLIA – DOCUMENTI, TESTIMONIANZE, IMMAGINI, a cura di Gianni OLIVA – Casa Editrice CARABBA, 2010





Pubblicato il 27 giugno 2019 su "Il Grande Sorpasso"
Appuntamento con le Storie
Inizia da questo mese una rubrica “Appuntamento con le Storie” in cui saranno trattate le vite e le vicissitudini di illustri uomini e donne italiani, raccontate a puntate.

La Famiglia Rossetti (prima parte)
Le origini della famiglia Rossetti sono avvolte nel mistero. A prestar fede ai racconti di Gabriele (riferiti dal figlio William), i Rossetti discendevano da un ramo della famiglia vastese dei Della Guardia e il cognome derivava da un soprannome che alludeva alla capigliatura rossiccia di alcuni suoi membri. Tale leggenda tuttavia non trova riscontro nei documenti ufficiali. 
Vasto Marina Terremoto del 1887 
Di certo si sa che sul finire del Settecento viveva a Vasto Nicola Rossetti, di professione fabbro-ferraio, che, Maria Francesca Pietrocola, ebbe da lei sette figli: tre femmine (Angiola Maria, Maria Giuseppa, Maria Michela) e quattro maschi (Andrea, Antonio, Domenico e Gabriele).
La numerosa famiglia risiedeva in una casa (oggi sede del Centro Europeo di Studi Rossettiani), dalla singolare forma torreggiante, posta ai margini del centro storico su un’altura orientale che guarda il golfo di Vasto. 
Il primo illustre membro della famiglia fu Gabriele Rossetti, poeta e patriota esule, nato proprio a Vasto, capostipite della famiglia di artisti e letterati vissuti in Inghilterra. Poi ci fu il figlio Dante Gabriel, poeta e pittore, fondatore della Confraternita dei Preraffaelliti e traduttore di Dante. Quindi William Michael, altro figlio del patriota, critico letterario. Una figlia di Gabriele, Maria Francesca, suora anglicana, fu insigne critica letteraria e traduttrice di Dante. L'altra figlia, Christina, fine poetessa, morì per un male incurabile e fu successivamente riscoperta dai movimenti femministi che riconobbero nelle sue opere delle tematiche moderne, vicine alle donne. 
Gabriele Rossetti, ultimo di sette figli, nacque a Vasto il 28 febbraio 1783. Dei suoi primi anni di vita si sa solo che ebbe una precoce vocazione per la poesia, per il disegno e il canto. 
Gabriele visse la sua infanzia in condizioni economiche non erano floride ma ricevette un’istruzione adeguata. Ebbe probabilmente come primo maestro il fratello Andrea, canonico della cattedrale di S. Maria Maggiore, più anziano di diciotto anni. Raffinò la sua inclinazione per il disegno sotto la guida di Nicola Tiberi; studiò filosofia con Padre Vincenzo Gaetani del Collegio del Carmine; fu educato al culto dei classici da Benedetto Maria Betti. Quest’ultimo, erudito settecentesco, influenzò la sua formazione culturale. Lo avviò alla conoscenza e al culto di Dante Alighieri. Diversi biografi hanno ravvisato proprio nell’insegnamento di Betti le origini di quell’interesse per Dante che avrebbe accompagnato Gabriele e i suoi figli per il resto della vita.
Del primo periodo della sua vita sono noti pochi altri fatti. Teodorico Pietrocola Rossetti, nipote di Gabriele e suo primo biografo, riferisce del ruolo di osservatore avuto dallo zio nella sommossa popolare che insanguinò Vasto nel 1799. Si trattava di una reazione sanfedista contro la “repubblica giacobina” instaurata nel regno di Napoli con il sostegno dei Francesi. In quell’occasione Gabriele, che aveva imparato il francese da autodidatta, fu chiamato più volte a fare da interprete.
Rossetti fornì prova delle sue capacità poetiche precocemente, sia in composizioni scritte sia in performances “all’improvvisa”. La fama del giovane poeta crebbe rapidamente nella natìa Vasto e ben presto travalicò i confini cittadini. In particolare è lo stesso Gabriele a ricordare come un suo componimento poetico del 1804, scritto in occasione della morte della moglie di un notabile locale, Vincislao Mayo, finì nelle mani del Marchese del Vasto, Tommaso d’Avalos, maggiordomo presso la corte partenopea, che lo chiamò a Napoli offrendogli protezione e la possibilità di completare la sua formazione. Sul finire del 1804 Rossetti lasciò Vasto alla volta di Napoli. Non avrebbe mai più fatto ritorno nella sua città. 
A Napoli egli continuò i suoi studi presso l’Università conseguendo, secondo qualche biografo, anche la laurea. Trovò buona accoglienza nei circoli colti e nelle accademie della città, acquistando altresì notorietà per la sua facile vena poetica: «molti nobili − ricorda a questo proposito il nipote Teodorico Pietrocola Rossetti − per parere saputi, mendicavano da lui il sonetto, e l’ode, e la canzone, e poi li spacciavano per cosa propria». Entrò poi nell’agone politico, schierandosi nel 1806 a favore dell’ascesa di Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone, al trono di Napoli. 
Le poesie dedicate gli guadagnarono le simpatie del nuovo re. Ebbe così un incarico, regolarmente retribuito, di «conservatore ed illustratore della parte delle statue antiche di marmo e di bronzo» nel Real Museo di Napoli. 
Rossetti, però, aspirava ad avere un ruolo di rilievo nell’ambito dell’attività teatrale partenopea. Per il teatro S. Carlo aveva già prodotto alcuni libretti per musica e andava componendo tre drammi lirici, Giulio Sabino, Il Natale di Alcide, Annibale in Capua, con l’obiettivo di divenire il poeta “ufficiale” del teatro. La sua aspirazione venne, tuttavia, vanificata dagli eventi. Gioacchino Murat, succeduto a Giuseppe Bonaparte sul trono di Napoli nel 1808, soppresse la Commissione de’ Teatri e Spettacoli, frustrando le ambizioni di Gabriele che ambiva alla segreteria di quell’organismo gestore del Teatro S. Carlo. I rapporti con il nuovo re e con la famiglia di Napoleone rimasero comunque buoni, sebbene alcuni biografi sostengano il contrario, accentuando lo spirito libertario e antimurattiano del poeta in funzione già risorgimentale.
Murat stesso, a riprova dell’immutata amicizia, conquistata Roma nel gennaio 1814 e insediatovi un governo provvisorio, nominò Rossetti “segretario del Dicastero dell’Istruzione Pubblica e delle Belle Arti” (incarico che ricoprì per alcuni mesi). A Roma, tra l’altro, il poeta vastese divenne socio dell’Accademia Tiberina e dell’Arcadia, prendendo il nome “pastorale” di Filidauro Labidiense.
Fu affiliato alla Carboneria e svolse la mansione di segretario del Distretto Carbonaro di Napoli. Del resto fino ai moti rivoluzionari del 1820-21 la Carboneria era largamente tollerata dal potere politico. Anzi, nel periodo murattiano, era stata incoraggiata dal sovrano. Gli eventi comunque precipitarono proprio nel 1820 e Rossetti si ritrovò, suo malgrado, a essere poeta della rivoluzione: “Tirteo d’Italia”, cioè cantore dei valori patriottici come il poeta greco del VII secolo a. C..
L’insurrezione, deflagrata sotto le insegne della Carboneria agli inizi del luglio 1820 a Nola e poi a Napoli, costrinse Ferdinando I a concedere la Costituzione e a promettere un governo ispirato ai principi di libertà e di partecipazione popolare. Rossetti, nell’entusiasmo generale, salutò l’avvenimento alla sua maniera, con un Canto estemporaneo fatto nella Brigata degli Amici della Patria, la sera del 9 luglio. 
Represso il moto insurrezionale e in clima di restaurazione, quando il monarca Ferdinando I tornò nella pienezza dei suoi poteri, condannò Rossetti nelle liste di proscrizione. 
Gabriele fu salvato da amici ed estimatori. Il 20 aprile 1821 il poeta lasciò Napoli a bordo di una nave inglese. Il 2 maggio successivo giunse a Malta, isola che, sotto la sovranità inglese, accoglieva già molti rifugiati politici. 
Iniziava per il poeta un viaggio senza ritorno: l’esilio perpetuo.

F.to   Gabriella Toritto


Fonte: I ROSSETTI – ALBUM DI FAMIGLIA – DOCUMENTI, TESTIMONIANZE, IMMAGINI, a cura di Gianni OLIVA – Casa Editrice CARABBA, 2010

Pubblicato sul numero del 20 aprile 2019 de "Il Sorpasso"

Per riflettere sulla Sanità
Prendo spunto dall’ennesima aggressione al personale sanitario del Pronto Soccorso di Pescara, consumatasi poco più di un mese fa per un’attesa troppo lunga e conclusasi con scontri verbali, fisici e conseguente intervento della Polizia. 
E’ solo uno degli ultimi incidenti occorsi nei luoghi del Servizio Sanitario Nazionale. In questi anni la Sanità va subendo molti tagli a discapito di una popolazione sempre più anziana e in difficoltà economiche.
L’Europa ha lanciato l’allarme sulla mancanza delle risorse e del personale sanitario. Secondo i dati Eurostat - l'Ufficio Statistico dell'Unione Europea - l’Italia nel 2016 aveva 557 infermieri ogni 100.000 abitanti, con una carenza di 50-60mila unità rispetto alla media degli altri maggiori partners UE. Peggio dell’Italia stavano Polonia, Cipro, Ungheria, Bulgaria, Slovenia, Grecia, Croazia e Romania. Commentando tali dati, la Direzione Generale per la salute e la sicurezza alimentare della Commissione europea ha sottolineato la carenza dei professionisti nell'assistenza infermieristica che potrebbe diventare più grave poiché la popolazione continuerà a invecchiare e una percentuale alta di infermieri andrà prossimamente in pensione. Le nuove norme prevedono la fuoriuscita degli infermieri dipendenti del SSN dal mondo del lavoro secondo “Quota 100” (calcolata in base agli anni di anzianità lavorativa e all’età anagrafica) che decimerà gli organici. Si prevedono da subito oltre 22mila infermieri in meno".

Non va meglio con il personale medico. Entro pochissimi anni andranno in pensione 52mila professionisti. Mancheranno soprattutto pediatri, specialisti d'emergenza-urgenza, anestesisti e internisti. Secondo Anaao Assomed “Le condizioni di lavoro nei reparti ospedalieri e nei servizi territoriali stanno rapidamente degradando. Il blocco del turnover, introdotto con la Legge n. 296 del 2006, ha determinato una carenza nelle dotazioni organiche di circa 10 mila medici. I piani di lavoro, i turni di guardia e di reperibilità vengono coperti con crescenti difficoltà …”.

Ancora il sindacato dei medici denuncia: “Quindici milioni di ore di straordinario non pagate, numero di turni notturni e festivi pro-capite in crescita, fine settimana quasi sempre occupati tra guardie e reperibilità, difficoltà a poter godere perfino delle ferie maturate rappresentano gli elementi su cui si fonda oggi la sostenibilità organizzativa ed economica degli ospedali italiani”. Nelle corsie ospedaliere mancano siringhe, medicinali a fronte dei “bonus” percepiti, oltre al proprio elevato reddito, dagli alti dirigenti per la produttività aziendale. Alcuni mesi fa il Codacons di Catania ha annunciato un esposto alla Procura e alla Corte dei Conti: «Perché premiarli, visti i disservizi negli ospedali?»

L’articolo 32, comma 1, della Costituzione italiana recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.”

Il contenuto del diritto che la Costituzione riconosce a tutti è complesso: il benessere psico-fisico, inteso in senso ampio, con cui s’identifica il bene “salute” si traduce nella tutela costituzionale dell’integrità psico-fisica, del diritto a un ambiente salubre, del diritto alle prestazioni sanitarie e della cosiddetta libertà di cura. Il diritto alla salute è fondamentale ed è tutelato anche dall’art. 2 della Costituzione: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”
Essendo poi intimamente connesso con il valore della dignità umana, l’art. 2 rientra nella previsione dell’art. 3 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Nella realizzazione del dettato costituzionale, tuttavia, i legislatori, i politici devono contemperare gli interessi connessi alla salute con quelli legati alla sostenibilità finanziaria del sistema Italia. Il diritto alla salute, quindi, deve essere bilanciato con il principio della regolarità dei conti pubblici, anch’esso costituzionalmente previsto nell’art. 81 e implicito nell’art. 97. E’ chiaro che lo Stato deve mirare ad avere i conti in ordine per potersi “permettere” di spendere nei settori di rilievo sociale. Il rispetto della regolarità finanziaria è anche funzionale all’impegno continuo dello Stato nel settore sanitario. E i conti sono legati alle entrate. E fra le entrate vi sono le imposte, le tasse, che vanno pagate. Molti cittadini purtroppo non ottemperano ai propri doveri. E’ pur vero che ci sono famiglie che non hanno sufficienti risorse economiche.
La Costituzione Italiana, all'art.53, fissa il principio della capacità contributiva secondo il quale “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”, cioè in base al proprio reddito.
Con il gettito delle entrate lo Stato finanzia i servizi pubblici di cui beneficiamo: l’Istruzione; il Sistema Sanitario Nazionale; le Forze dell’Ordine; la Giustizia ed altri servizi.
Fenomeni di evasione o elusione fiscale tendono invece a ridurre il gettito previsto, a danno dello Stato. Ne conseguono l’aumento del deficit pubblico e del debito e l’inevitabile diminuzione della spesa a vantaggio dei servizi ai cittadini.

F.to Gabriella Toritto

FONTI:
Il Centro di Pescara,mercoledì, 27 marzo 2019
S.I.G.M., Incontro con il Ministero della Salute 30/08/2018
Anaao.it
www.sudpress.it/denuncia-del-codacons-alla-procura-premi-erogati-dirigenti-asp-cata.
https://www.nurse24.it/infermiere/ordine/carenza-infermieri-allarme-ue-servono-piu-i..
www.fnopi.it/.../l-europa-lancia-l-allarme-carenza-piu-infermieri-per-la-nuova-demog.
www.quotidiano sanita.it, 07/01/2019





Pubblicato sul numero del 30 aprile 2019

La Storia, la Modernità e il Treno Intervista a Renzo GALLERATI

Tutti lo conoscono. Chi sia Renzo Gallerati lo sanno tutti: uomo politico, ancora giovanissimo è stato sindaco della città di Montesilvano.
E’ cultore della bella musica, della Memoria, della politica intesa come servizio e, poiché politico, attesta quotidianamente il suo impegno a servizio della comunità cui appartiene.
La città di Montesilvano riconosce a lui e alla benemerita ACAF, l’Associazione Culturale Amatori Ferrovieri, il merito del forte legame con la Comunità d’appartenenza.
Ha coltivato nel tempo una grande passione: il treno. Ci ha creduto e ha realizzato, assieme ad altri cultori ferrovieri, l’allestimento del Museo del Treno dell’Adriatico. Un altro museo è di Campo Marzio a Trieste, ricco di cimeli austroungarici, adesso chiuso per restauro e valorizzazione.
L’ACAF, a sua volta, si avvale di volontari che mantengono viva la memoria di un Paese, l’Italia, che, come altri al mondo, ha conosciuto la crescita, l’evoluzione tecnologica, economica e sociale attraverso la “via ferrata”.
La ferrovia è stata, suo malgrado, testimone storico delle deportazioni degli anni ’40 nello scorso secolo, quando carri-merci, usati come “tradotte”, trasportavano uomini, donne, bambini nei lager della 2° Guerra mondiale. Ebbene nel Museo del Treno a Montesilvano sono conservati alcuni di quei vagoni.
Fra poco il Museo del Treno rievocherà il 90° anniversario del tracciato ferroviario Pescara-Penne (1929-2019), riprodotto in scala per la felice fruizione delle scolaresche invitate a visionarlo nel coevo bagagliaio DI- 90052 del Museo.
Assieme all’ACAF, l’ex sindaco commemorerà il fatidico 25 aprile 1945, anniversario della Liberazione, giorno dalla portata storica per i valori di libertà e di democrazia di cui è portatore. Con l’esposizione di due automobili, mezzi storici di Collezioni Private “Forze dell’Ordine”, si intenderà ricordare le febbrili, convulse, drammatiche ore del 25 aprile 1945, che accompagnarono la liberazione dell’Italia, a guerra quasi conclusa.
Importante e condiviso dalla città di Montesilvano è l’allestimento della Teca in vetro, che dovrebbe essere finanziato in sinergia con la Fondazione FS Italiane, la Fondazione Pescara-Abruzzo, una Multinazionale del Vetro, per la realizzazione del Museo-Auditorium coperto. La Teca in vetro sarà a protezione della storia del sito, delle radici della Comunità.

Quelle avviate da Renzo Gallerati e dall’ACAF sono tutte iniziative di ampio respiro per cui la città prova molta gratitudine. Esse valorizzano il territorio, lo rendono vivo, lo sottraggono all’incuria e al degrado, come ha osservato il Direttore Generale di Fondazione FS Italiane, l’Ingegnere Luigi Cantamessa. Inoltre rispondono pienamente alla Strategia Europea 2020, agli obiettivi per una politica di coesione, per lo sviluppo del trasporto sostenibile, dell’economia a bassa emissione di carbonio ai fini di una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva.
La valorizzazione del sito ferroviario di Montesilvano, stimolata dalle scelte di Renzo Gallerati assieme ad altri partners, ed effettuata attraverso esperienze artistiche e culturali e attraverso l’incontro fra persone, ravviva il tessuto sociale, favorisce il rispetto dell’habitat e delle strutture esistenti. Ne consegue che ogni cittadino si sentirà di proteggere e rispettare il patrimonio che gli appartiene, che corrisponde al patrimonio, alla bellezza, all’igiene della città.
Altro progetto a cuore del dottor Gallerati è l’attivazione della Navetta storica Montesilvano-Sulmona verso la “Transiberiana d’Italia”, che favorirà, attraverso un “pacchetto turistico”: Mare-Monti, la scoperta del territorio, della sua storia, dell’eno-gastronomia, delle tradizioni artigianali e popolari, passando per Roccaraso, Campo di Giove fino a Pescocostanzo.

L’INTERVISTA
D.: Lei, Dottor Gallerati, pensa che il progetto della Transiberiana d’Italia potrà partire già da quest’estate?
R.: Ci sono delle procedure da espletare, vi sono delle norme da rispettare. Abbiamo in calendario degli incontri con altri attori del progetto, in particolare con la Regione Abruzzo, nella persona dell’assessore Febbo, per il finanziamento dell’1% che le Regioni possono destinare ai progetti sui Beni Storici. I treni ci sono. Sono già stati cantierati. L’iniziativa si avvale solo in minima parte del finanziamento pubblico. Il resto si basa su sovvenzioni private. La Lombardia, il Piemonte, la Toscana, la Sicilia con il grande successo della “Ferrovia dei Templi” hanno avviato da tempo la riscoperta in chiave turistica di spettacolari linee ferroviarie italiane e di borghi ricchi di storia e di arte. “Binari senza tempo” è il grande progetto di Fondazione FS Italiane e del suo Direttore, l’ing. Cantamessa. Se per ragioni di tempo non sarà possibile inaugurare la Navetta Mare-Monti per l’estate, sarà certa per la stagione autunno-inverno.

D.: Come socio-cofondatore del Museo del Treno, Lei, dottor Gallerati ha preferito la politica dei “piccoli passi” nella valorizzazione del sito storico-ferroviario di Montesilvano. Quali altri impulsi pensa di dare al Museo nel prossimo futuro?
R.: Montesilvano ha una cronica esigenza di spazi ricreativi. Abbiamo realizzato Palazzo Baldoni con la Sala Polifunzionale, la Sala Congressi, il Museo del Treno, dove si sta svolgendo l’intervista e luogo in cui sono cresciuto. Vorremmo, su progetto dell’architetto Volpe, realizzare la Teca, struttura polifunzionale, anche in previsione del teatro, dotata di impianto fotovoltaico per l’alimentazione energetica. La Teca dovrebbe essere costruita in vetro con capriate di acciaio, grazie ai contributi della Fondazione FS Italiane, della Fondazione Pescara-Abruzzo, del Comune di Montesilvano. Sarebbe edificato là dove esisteva il manufatto ligneo che l’11 ottobre del 1943 esplose assieme ai vagoni in un’incursione aerea.

D.: L’opera interattiva “Immi” dell’artista Fabrizi, inaugurata da poco, fa pensare alla Street Art. Impreziosisce l’ingresso alla stazione e invia un messaggio di alto profilo umano e culturale che si lega al termine “viaggio” in tutte le sue accezioni. Lei pensa che i cittadini, in particolare i giovani, possano assieme al Museo del Treno, alla Fondazione FS Italiane, agli Enti locali, concorrere in un programma di valorizzazione dei luoghi circostanti la stazione? Penso a dei concorsi da bandire attraverso il mensile “Il Sorpasso” per la realizzazione di murales e/o pannelli nei sottopassi del Centro cittadino che meriterebbero anche migliore illuminazione se non delle telecamere.
R.: Certo! Possono essere realizzati pannelli, murales. Si pensi ai murales e al sottopasso di via Michelangelo a Pescara che rievocano fra l’altro la “Coppa Acerbo”.

D.: A Suo avviso e alla luce della Sua esperienza, che cosa bisogna fare per preservare il patrimonio storico-ferroviario e la grande memoria di cui è depositario, per evitarne l’oblio, com’è successo ad altri siti?
R.: Bisogna renderlo vivo. Vorrei in questo luogo momenti di incontro, di dibattito, di confronto fra giovani e con i giovani. Non è bello vedere la gioventù persa. Desidererei qui un luogo dove vedere maturare una consapevolezza, una coscienza civica, sociale. Auspicherei qui un luogo di incontro per realizzare una staffetta fra generazioni. Ricordo che sono cresciuto qui. All’età di quattro anni guardavo con stupore il Capostazione. Mi sembrava potentissimo. Ai miei occhi era l’uomo che consentiva l’apertura al mondo. Egli determinava quando far partire uomini, merci, bestiame. Il Capostazione, unico al mondo ad avere il berretto rosso, emanava l’aura di colui che faceva girare il mondo, che decideva il destino di genti che si dischiudevano al viaggio! Ho discusso due tesi in Economia dei Trasporti sulla storia della Ferrovia. Per me la ferrovia è sempre stata avvolta da un alone di romanticismo. Prima del treno vi erano il cavallo, la carrozza. A Montesilvano c’era la parte alta, dove il signorotto Delfico deteneva il Comune a casa sua. Nel 1919 le automobili erano poco più di una. Le carrozze, ossia le “vetture” trainate dai cavalli, appartenevano al notabilato latifondista locale, di provenienza teramana. Con la ferrovia arriva il mezzo di trasporto che muove le masse. La modernità e la progressiva evoluzione urbana ed economica arrivano con il treno. La città moderna nasce con l’arrivo della locomotiva. La città si è evoluta con la stazione. I giovani devono, pertanto, conoscere la storia dei loro avi e forse il Museo del Treno consente loro la scoperta di un mondo a cui pur sempre appartengono, apparteniamo tutti.

D.: La Fondazione FS Italiane ha avuto un ruolo determinante in ciò che è stato realizzato finora?
R.: La Fondazione FS Italiane è la vera Treccani della Ferrovia italiana. La Fondazione è il baluardo di una grande storia. Tutto ciò che oggi è del Museo del Treno, un giorno tornerà alla Fondazione.

D.: uale ruolo ha avuto l’Europa, secondo Lei, nella riqualificazione e nella valorizzazione dei nostri siti abbandonati?QQuale ruolo, secondo Lei, ha avuto l’Europa nella valorizzazione dei siti abbandonati?
R.: L’Europa si costruisce su relazioni e su corridoi. Si ricordi il discorso tenuto da Cavour a Palazzo Carignano, a Torino, allora sede del Parlamento Subalpino. Nell’estate del 1857 Camillo Benso, conte di Cavour, dovette difendere la costruzione del traforo del Frejus contro le critiche degli oppositori, dei detrattori. Questi ultimi sostenevano che il tunnel fosse un’opera speculativa a vantaggio delle parti coinvolte nella sua realizzazione. L’Europa si costruisce attraverso le relazioni, i corridoi e i flussi economici che per quei corridoi passano. Oggi Val di Susa vanta una preziosità ambientale. Dobbiamo tuttavia stare in quel corridoio di flussi. A molti piacerebbe che ne rimanessimo fuori per occupare il nostro posto e fare loro gli affari. Il tratto da Ancona a Pescara fu finito in due anni, dal 1861 al 1863, grazie all’inarrestabile lavoro di uomini di grande volontà. Nel ‘900 attraverso la ferrovia che collegava Londra a Bombay e che passava per Silvi, Montesilvano, Castellammare, abbiamo conosciuto la lingua inglese. Prima di allora si conoscevano solo il francese e lo spagnolo. Intorno alle primissime stazioni ferroviarie scoppiò una vivacità urbana mai vista. Arrivarono i primi opifici, le prime fabbriche, gli alberghi, i negozi. Anche i luoghi deputati all’amministrazione dei borghi iniziarono a scendere a valle, come ad esempio a Montesilvano. L’impresa fu eroica, dato il lavoro immane che comportò e la situazione da cui si partiva. Era il dopoguerra. C’era la ricostruzione.


F.to                Gabriella Toritto


Montesilvano, lì 14/04/2019
Pubblicato a marzo 2019 su "Il Sorpasso"

A che punto è la Scuola?
Nelle ultime settimane diversi sono stati gli episodi di cronaca nera imputabili ad adolescenti, coinvolti in atti da codice penale.

Molti si chiedono: Le famiglie dove sono? La scuola che cosa insegna? Ma esiste ancora la scuola?

La scuola di un tempo, dove i ruoli erano rispettati, dove l’insegnante era l’Insegnante e dove la famiglia non interferiva nelle dinamiche che si consumavano all’interno delle classi, confidando nelle decisioni del maestro, non esiste più.

Oggi a scuola molti giovani non vogliono impegnarsi. Studiare costa sacrificio: ore e ore seduti e concentrati a leggere, comprendere, memorizzare. La posizione statica e la concentrazione che lo studio richiede non si confanno a giovani che non riescono a stare fermi, che sono in preda alle pulsioni, né vogliono apprendere.

Molti sono gli studenti che presentano a scuola scarsa autocensura e che si distinguono per un turpiloquio generalizzato, al di là del genere. Gli adulti non sono da meno. Sembra ormai che la parolaccia sia stata proprio sdoganata.

Nella speranza di essere ancora in tempo per modificare qualcosa, a mio avviso urge una revisione dell’istituzione Scuola. Così come è gestita, fatte le dovute eccezioni, non può che tradire completamente il fine educativo che le appartiene e fare ricadere sulla società il proprio fallimento.

Tanti sostengono che la scuola sia influenzata dai poteri forti, quali l’economia, la finanza. E’ probabile, poiché oggi si presta maggiore attenzione a formare il “lavoratore” piuttosto che l’individuo. La realtà, tuttavia, evidenzia che la scuola non è in grado di formare né il lavoratore, né l’individuo. Il “lavoratore” non si forma con l’alternanza scuola-lavoro. E l’allievo non viene formato come “Uomo”. Alla società occorrono innanzi tutto veri uomini prima che bravi meccanici, idraulici, ingegneri, medici. Se nell’individuo non c’è l’”Uomo” allora avremo, come accade molto spesso, manager capaci dell’esercizio più sadico del potere con i propri sottoposti. Gli esiti di tali condotte ricadono inevitabilmente sulla società tutta.

A scuola la formazione non coincide con l’istruzione. L’istruzione è il “passaggio” di contenuti mentali da una testa all’altra. L’educazione, invece, è cura della formazione del sentimento di una persona. Il sentimento si impara, è un contenuto culturale. Il sentimento è diverso dalle pulsioni.

Dai fatti di cronaca e da quanto accade nelle scuole si assiste a giovani che non conoscono la risonanza emotiva dei propri sentimenti. Per loro non c’è differenza fra insultare un professore o prenderlo a calci, fra corteggiare una ragazza o violentarla. Molti giovani non hanno la risonanza emotiva di una differenza reale. Sono privi di sentimenti. I sentimenti non si hanno in natura, sono culturali, si imparano in famiglia, così come sono stati appresi anticamente dalle tribù primitive che raccontavano miti, dalle nonne che raccontavano storie per insegnare la differenza fra il Bene e il Male, fra le cose giuste e le cose ingiuste.

Gli stessi miti greci offrivano una galleria di sentimenti, di passioni rappresentate da divinità come Zeus, il potere, Atena, l’intelligenza, Apollo, la bellezza, Dioniso, la follia. Ai nostri tempi, purtroppo, non ci sono più i miti, e nelle scuole si dà poca importanza alla Letteratura, la quale ci insegna l’amore in tutte le sue declinazioni. Ci narra il dolore, la tragedia, la disperazione, la noia. Se un giovane non impara a conoscere tali condizioni di sofferenza, come farà a riconoscere e gestire i propri stati d’animo? Accade quindi che, come sostiene il professor Galimberti, filosofo e psicologo, il giovane sta male e non sa spiegarne la causa, poiché “non possiede il vocabolario dell’apparato sentimentale”. E, se uno è privo di sentimenti, può commettere qualsiasi azione, come i bulli che, non possedendo un linguaggio, si esprimono con i gesti.

La società contemporanea ha imposto l’apprendimento del linguaggio informatico che trova ampio consenso a discapito della letteratura, della lettura. Generalmente in classe leggono due o tre studenti, gli altri sostengono le interrogazioni ricavando qualche informazione da Google. Diversi sono gli studenti che non sanno sfogliare un dizionario, altri non comprendono un testo scritto, altri ancora non sanno che dopo il punto ci vuole la maiuscola. C’è chi non sa scrivere in corsivo! Si assiste a un analfabetismo di ritorno.
L’informatica concorre a ciò, riducendo il linguaggio a poche parole. Sempre il professore Galimberti afferma che “se si hanno poche parole in bocca, non si hanno tanti pensieri in testa, poiché i pensieri sono proporzionati alle parole che si possiedono”. Dunque se ho poche parole, penso poco. E, quando un Popolo pensa poco ed è incolto, come noi Italiani, allora quel popolo perde su tutti i fronti, soprattutto sul fronte economico e storico, oltre che sociale e politico.

La scuola fino ai 18 anni dovrebbe essere luogo di formazione dell’Uomo, a prescindere dagli indirizzi di studio intrapresi. Senza l’Uomo la società è persa. Invece oggi si presta attenzione alla cultura della “prestazione”. Anche nei licei non si svolgono più i temi, sostituiti da prove sulla comprensione di un testo scritto. Galimberti vede in tale scelta la cancellazione del valore della soggettività del tema che, a quanto pare, alla scuola non interessa poiché la società esige solo prestazioni.

F.to    Gabriella Toritto
Pubblicato a fine Febbraio 2019 su "Il Sorpasso"

“Sotto il segno dei Pesci”

Marzo è alle porte e si avvicinano alcuni anniversari che vedono nati “Sotto il segno dei Pesci” i più amati cantautori del nostro panorama musicale: Antonello Venditti, 8 marzo 1949, che si avvicinò alla musica giovanissimo; Lucio Dalla, 4 marzo 1943; Lucio Battisti, 5 marzo 1943; Riccardo Cocciante, 20 febbraio 1946; Pino Daniele, 19 marzo 1955.
Instabilità emotiva, grande sensibilità, creatività e ingenuità sono alcune delle principali caratteristiche dei nati sotto il segno dei Pesci. Ultimo dei dodici segni dello zodiaco, quello dei Pesci è un segno mobile e d’acqua, governato da Giove e Nettuno. I nati sotto il segno vivono di percezioni profonde e comprendono la realtà attraverso l’intuito. Si affidano a un acume potente che consente loro di risolvere i problemi in modo immediato e di sciogliere i nodi dei problemi con doti quasi da veggente. Perspicaci e istintivi, non sono però impulsivi: in questo sta la forza della loro intelligenza.
I caratteri sopra esposti li ritroviamo nei Cantautori citati, nati sotto il segno dei Pesci durante e dopo il secondo conflitto mondiale. Essi hanno raccontato l’Italia degli anni di piombo, un’Italia lacerata dalla lotta armata e dal terrorismo.
Era quello degli anni ’70 il periodo della contestazione giovanile, del Sessantotto, della strage di Piazza Fontana: primo atto della strategia della tensione che caratterizzò quegli anni e che avvenne a Milano il 12 dicembre 1969.
Ero a quel tempo una studentessa universitaria a Roma. La capitale non conosceva pace. L’università era frequentemente occupata. Continue erano le manifestazioni di contestazione studentesca che si univano agli operai metalmeccanici in sciopero contro il potere, sordo a ogni cambiamento. Le forze dell’ordine, in assetto antisommossa, presidiavano le strade della città. Facevano paura. Allora ho incontrato e conosciuto personaggi che hanno scritto pagine della nostra storia.
Battaglia di Valle Giulia - Roma - 1 marzo 1968
Gli anni ’70 sono stati il periodo d’oro per la canzone d’autore italiana. Sembrava quasi che non si potesse far musica nel nostro paese senza introdurre temi politici o sociali nelle canzoni, senza mettere un’attenzione particolare nei testi, senza in qualche modo rifarsi agli esempi francesi o americani. In quella canzone e in quei cantautori si sono riconosciuti milioni di giovani in fermento. Sono nate allora diverse scuole, da quella romana a quella bolognese, che a loro volta s’ispiravano alla scuola genovese nata un decennio prima.
Il 1º marzo 1968 vi fu la famosa battaglia di Valle Giulia, a Roma: primo scontro cruento del movimento del Sessantotto contro le forze dell'ordine. Si trattò di un combattimento in cui gli studenti fronteggiarono le forze di polizia.

Antonello Venditti ha cantato a più riprese nelle sue canzoni quegli anni che hanno infiammato gli animi di molti giovani. In “Valle Giulia” il ricordo di amori del passato si unisce a quello degli anni di scuola e della partecipazione al movimento del ’68: “Valle Giulia ancora brilla la luna … Paola prende la mia mano caduta per sbaglio sui nostri vent’anni tesi come coltelli, come fratelli perduti forse qui architettura … sarà il profumo di questa città sarà la musica che viene da lontano sarà l'estate che brucia nelle vene sarà il passato che ancora mi appartiene …”.

Il ricordo riaffiora anche in “Sotto il segno dei Pesci”. L'album fu registrato a Roma nei Trafalgar Studios e a Londra ai Marquee Studios. Tra i musicisti sono da ricordare i membri del gruppo degli Stradaperta, già collaboratori di Venditti in Lilly. L'album, bellissimo e ricco di canzoni divenute dei classici, cantate allora dalla Meglio Gioventù, fu pubblicato il giorno del compleanno del cantautore, l'8 marzo. Divenne, suo malgrado, la colonna sonora di un periodo cupo per la storia italiana poiché solo otto giorni dopo, esattamente il 16 marzo 1977, Aldo Moro fu rapito dalle Brigate Rosse.

Tanti anni dopo Venditti ha affermato: “Era quello un disco che raccontava l' Italia che avevi davanti agli occhi, un' Italia violenta ma anche appassionata. Anche molto contraddittoria. E anche un' Italia paradossalmente libera. Il disco uscì l' 8 marzo 1977. Una settimana dopo ci fu il rapimento di Aldo Moro. In teoria sarebbe stato molto difficile incastrarlo in quei tre mesi di assoluto incubo che l' Italia stava vivendo. Invece il disco non fu cancellato dagli eventi, perché diceva una cosa piccola, semplice e vera: - ...Ma tutto quel che voglio, pensavo, è solamente amore. Ed unità per noi, che meritiamo un' altra vita. Più giusta e libera se vuoi. - Era quello che volevano tutti. E un paese che riesce, in un momento come quello, ad avere come sua colonna sonora una canzone così è un paese molto forte”.

Ti ricordi quella strada, eravamo io e te
E la gente che correva, e gridava insieme a noi
Tutto quello che voglio, pensavo, è solamente amore
Ed unità per noi, che meritiamo un'altra vita
Più giusta e libera se vuoi
Corri amore, corri non aver paura

Mi chiedevi che ti manca, una casa tu ce l'hai
Hai una donna, una famiglia, che ti tira fuori dai guai
Ma tutto quello che voglio, pensavo, è solamente amore

Nata sotto il segno, nata sotto il segno dei pesci

Ed il rock passava lento sulle nostre discussioni
Diciotto anni son pochi, per promettersi il futuro
Ma tutto quel che voglio, dicevo, è solamente amore
Ed unità per noi che meritiamo un'altra vita.



F.to Gabriella Toritto
Pubblicato su "Il Sorpasso" di Montesilvano - Novembre 2018

La Grande Guerra
Il fronte carsico
In questo mese, Novembre 2018, ricorrono i 100 anni dalla fine della Grande Guerra. 
Era quello il tempo della belle epoque e il dono della pace sembrava dovesse durare per sempre. A Parigi si viveva la ville Lumière in un ritmo frivolo e frenetico: dal ballo alla moda, al can can. Lo sviluppo economico, culturale e il benessere sempre più diffuso davano all'Europa l’illusione della propria grandezza, della propria forza e civiltà, di grandi attese. L'Europa si sentiva il punto di arrivo e di confluenza delle invenzioni, della tecnica e di tutte quelle virtù che l’avevano resa importante. Il progresso unificava i popoli europei, orgogliosi del frutto esaltante di secoli di lavoro e di incivilimento umano. 

Si trattava tuttavia di una pura chimera poiché ben presto quei tedeschi e quei francesi che, durante l'Esposizione Universale di Parigi del 1889, si erano incontrati inconsapevolmente sotto la torre Eiffel, si ritrovarono nel giro di poco tempo a spararsi, nascosti nelle trincee. 

Era il tempo a cavallo fra due secoli, che assisteva al trionfo della scienza, alla moltiplicazione delle scoperte e delle applicazioni tecniche. Era il tempo del progresso delle scienze sociali, dei metodi dell'analisi dell'anima, della psiche e del comportamento, ossia della psichiatria, della psicanalisi, della sociologia, della scienza della politica. Tutto appariva in crescita. L’uomo era fiducioso e sicuro. L’Europa si credeva l’”ombelico del mondo”, la “civiltà”. Aveva raggiunto un notevole grado di benessere e di sicurezza, una stabilità di ordinamenti, dei diritti civili e un soddisfacente grado di istruzione e di libertà. Non tutti i cittadini o sudditi, tuttavia, vivevano nelle stesse condizioni. Vi erano situazioni privilegiate, tipiche delle classi abbienti; mentre le classi inferiori erano organizzate e incoraggiate a nutrire fiducia in un futuro migliore dai movimenti sindacali e politici della sinistra. 

In Germania e in Austria, in Francia e in Gran Bretagna, così come in Russia e in Italia, seppure in misura diversa, i socialisti della Seconda Internazionale erano ben organizzati. 

Era un tempo di pace. Così si credeva ma di lì a poco i paesi, sopra citati, furono coinvolti nella bufera di quel conflitto europeo che qualcuno definì guerra civile, poiché vide coinvolti in una carneficina popoli fratelli, appartenenti allo stesso continente.

Grande Guerra, Great War, Große Krieg: tutti i paesi belligeranti la chiamarono così. Il termine “Grande Guerra” apparve già dal 1914, quando fu subito evidente che quella che per Germania e Impero austro-ungarico doveva essere una “guerra lampo” si sarebbe trasformata in un conflitto totale, mondiale e di lunga durata, a causa dell’estensione delle operazioni militari, dei milioni di soldati sul campo che ne avrebbero fatto uno scontro dalle dimensioni inedite e senza termine di paragone rispetto al passato.

La Grande Guerra, scoppiata nel 1914, si concluse nel novembre del 1918, dopo anni durissimi di combattimenti, di fame, di gelo, di morte incombente e di grande scoraggiamento che causarono molte diserzioni. Terribile fu il rigido inverno del 1916 nelle trincee del Carso. Ancora più terribile fu il 1917, quando alle insostenibili condizioni di vita si aggiunsero le sconfitte e, per gli Italiani, la disfatta di Caporetto. Andò meglio l’anno seguente, 1918, quando le forze alleate iniziarono ad avere la meglio contro i tedeschi e gli austriaci, e gli Italiani riportarono la trionfale vittoria di Vittorio Veneto, costringendo l’impero austro-ungarico all’armistizio e l’esercito tedesco all’isolamento. 

Seguirono le trattative di pace e la sottoscrizione dei Trattati. 

La guerra era finita … ma solo per poco.


F. to Gabriella Torittobriella Toritto