giovedì 26 dicembre 2019

Pubblicato su "Il Grande Sorpasso" - novembre 2019

Gabriele d’Annunzio (Seconda parte)

La vita dispendiosa del Vate comportò lo sperpero di cospicue somme di denaro percepite grazie alle pubblicazioni, che divennero insufficienti a coprire le spese. Nel 1910, convinto dalla nuova amante Nathalie de Goloubeff, D'Annunzio si trasferì in Francia, anche al fine di evitare i creditori che lo rincorrevano per i debiti accumulati. L'arredamento della sua villa fu messo all'asta e D'Annunzio per cinque anni non rientrò in Italia. Risale a questo periodo la relazione con l'americana Romaine Beatrice Brooks.
Il Poeta-Soldato d'Annunzio. Sullo sfondo il golfo di Fiume
A Parigi era già un personaggio famoso. Le sue opere erano state tradotte e lette e il dibattito tra decadentisti e naturalisti aveva a suo tempo suscitato un notevole interesse. Ciò gli permise di mantenere inalterato il suo dissipato stile di vita fatto di debiti e di frequentazioni mondane, tra cui quelle con Filippo Tommaso Marinetti e Claude Debussy. Pur lontano dall'Italia, collaborò al dibattito politico prebellico, pubblicando versi in celebrazione della guerra italo-turca, inclusi poi in Merope, ed editoriali per diversi giornali nazionali, in particolare per il Corriere della Sera. Tali contributi gli consentirono di ricevere altri prestiti.
D'Annunzio aderì all'Associazione Nazionalista Italiana fondata da Corradini inneggiando a una politica di potenza, opponendo la sua idea di Nazione all'«Italietta meschina e pacifista».
Nel 1914 rifiutò di diventare Accademico della Crusca, dichiarandosi nemico degli onori letterari e delle Università. Ai bolognesi, che gli offrirono una cattedra, scrisse: “amo più le aperte spiagge che le chiuse scuole dalle quali vi auguro di liberarvi”.
Dopo il periodo parigino si ritirò ad Arcachon, sulla costa atlantica, dove si dedicò all'attività letteraria in collaborazione con musicisti di successo, come Mascagni e Debussy. Compose libretti d'opera come Le martyre de Saint Sébastien e soggetti per film come Cabiria.
Lo scoppio della Grande Guerra costituì un turning point per il Vate. Infatti nel 1914 si aprì la seconda parte della straordinaria esistenza dannunziana. La prima parte, dall’adolescenza all’inizio della guerra, fu dedicata all’arte; quella successiva, dalla guerra alla morte, fu offerta alla Patria.
Nel 1915 ritornò in Italia, dove rifiutò la cattedra di Letteratura Italiana che era stata di Carducci e di Pascoli. Iniziò a condurre un'intensa propaganda interventista, inneggiando al mito di Roma e del Risorgimento e richiamandosi alla figura di Garibaldi.
Il discorso celebrativo che D'Annunzio pronunciò a Quarto, il 5 maggio 1915, durante l'inaugurazione del monumento ai Mille, segnò l'inizio di un fitto programma di manifestazioni interventiste, che culminarono con le arringhe tenute a Roma poco prima dell'entrata in guerra, durante le cosiddette "radiose giornate di maggio".
Quando, ultracinquantenne, si vide preclusa la possibilità di prendere parte alle manovre belliche, supplicò di evitare un tale «delitto contro lo spirito», definendo il suo coinvolgimento «una questione vitale», dettata non dal «desiderio di morire» ma dalla «ragione di vivere»: il vate nazionale aveva oramai indossato i panni del poeta-soldato.
Il conflitto, dapprima come idea e poi come guerra effettivamente combattuta, condizionò profondamente la sua sensibilità e lo convinse della necessità di un impegno politico. Maturò il passaggio da un superomismo estetizzante, pervaso di echi nietzschiani, a una dimensione consapevole e matura della politica.
Arruolatosi come volontario di guerra nei Lancieri di Novara, partecipò subito ad alcune azioni dimostrative navali e aeree. Per un periodo risiedette a Cervignano del Friuli e a Santa Maria la Longa, località vicine al Comando della III° Armata, con a capo il suo estimatore Emanuele Filiberto di Savoia, Duca d'Aosta.
La sua attività in guerra fu prevalentemente propagandistica, fondata su continui spostamenti da un corpo all'altro come ufficiale di collegamento e osservatore.
Ottenuto il brevetto di Osservatore d'aereo, nell'agosto 1915 effettuò un volo sopra Trieste assieme al suo comandante e carissimo amico Giuseppe Garrassini Garbarino, lanciando manifesti propagandistici. Nel settembre 1915 partecipò a un'incursione aerea su Trento e nei mesi successivi, sul fronte carsico, a un attacco lanciato sul monte San Michele nel quadro delle battaglie dell'Isonzo.
Il 16 gennaio del 1916, a seguito di un atterraggio d'emergenza, riportò una lesione all'altezza della tempia e dell'arcata sopracciliare destra. Purtroppo la ferita, non curata per un mese, provocò la perdita dell'occhio, coperto con una benda. Da questo episodio si autodefinì e autografò come l'Orbo veggente.
Dopo l'incidente passò un periodo di convalescenza a Venezia, durante il quale, assistito dalla figlia Renata, compose e regalò alla letteratura il Notturno. L'opera, interamente dedicata a ricordi e riflessioni sull'esperienza di guerra, fu pubblicata nel 1921. Dopo la degenza, nonostante i divieti dei medici, tornò al fronte. Nel settembre 1916 partecipò a un'incursione su Parenzo e nell'anno successivo, con la III° Armata, alla conquista del Veliki e al cruento scontro presso le foci del Timavo nel corso della decima battaglia dell'Isonzo.
D’Annunzio fu dunque anche uomo politico, oltre che poeta. Naturalmente uomo politico fuori dagli schemi, innamorato di sé, delle sue idee e della sua oratoria. Meno che mai fu politico in occasione della sua prima esperienza parlamentare, nel 1897, quando, già scrittore di chiara fama, si candidò alle elezioni per mostrare al mondo di essere «capace di tutto», come egli stesso rivelò in un carteggio privato. La sua posizione fu aristocratica e antidemocratica. La politica rappresentava per lui una costola della letteratura e, come tale, avrebbe dovuto essere “letteratura in azione”. Il Vate, nel bene e nel male, rappresentò il padre della società odierna, dagli aspetti più noti (modernità, aviazione, dandysmo) a quelli meno conosciuti. Ad esempio, si deve al poeta abruzzese la coniazione di termini oggi comunemente adottati (“intellettuale”, “beni culturali”), nonché la collocazione del tricolore sulle maglie dello sport italiano, che ebbe origine a Fiume.
Nel 1919 il Trattato di pace di Versailles contemplò il passaggio della città istriana Fiume alla Jugoslavia. Il Poeta-Soldato, dalle smanie eroiche, occupò la città con un centinaio di legionari improvvisati, gli Arditi, provocando a livello internazionale un pasticcio politico-diplomatico che richiese l’intervento del presidente statunitense Wilson.
Golfo di Fiume
Fiume, porto adriatico, simbolo della «Vittoria mutilata» del 1918/19, fece da scenario all'esperimento di politica artistica del Vate con il saluto romano, il fuoco, le armi, l’arringa dal balcone con la folla adorante, ripresi di lì a poco dal fascismo col quale l’ideale dannunziano non fu mai integralmente compatibile. Così come D’Annunzio e Mussolini non furono mai sinceramente in sintonia.
L'avventura di Fiume (di cui ricorre il centenario) non sarebbe esistita senza D'Annunzio. D'Annunzio tuttavia non avrebbe potuto intraprenderla se non si fosse avvalso del clima spirituale, sociale, politico che la rese possibile.
La guerra, che D’Annunzio combatté da militare esemplare, come fante, aviere, marinaio, rimanendo gravemente ferito a un occhio, gli fece scoprire quel senso di cameratismo, frutto dell’estenuante guerra di trincea, destinato a diventare l’elemento unificante dell’impresa fiumana.
Quest’ultima, consacrazione del suo ideale di eroe rinascimentale, costituì un laboratorio politico estraneo a tutte le categorie sino allora sperimentate e fu un tentativo inedito di combinare individualismo e superomismo con sentimenti comunitari, di integrare uomo e massa in una sintesi che trovava nel “Comandante” D’Annunzio il collante e l’interprete delle passioni nella loro totalità.
In verità dietro il paganesimo dell’impresa fiumana si celò un progetto più ampio: quello di marciare su Roma e mettere in atto un golpe finalizzato all’instaurazione di uno Stato autoritario.
Il Natale di sangue del 1920 pose fine all’avventura fiumana del Vate e dei suoi legionari nell’Adriatico; riconsegnò all’Italia un D’Annunzio oramai logoro, in declino fisico e deluso dalla politica. Il Poeta tornò allora a essere l’Immaginifico.
Si ritirò, sorvegliato speciale di Mussolini, sulle sponde del Garda, in quello che divenne il Vittoriale degli Italiani.
Incontro fra d'Annunzio e Mussolini
Quando, alla fine del 1922, calò il tramonto sulla lunga giornata dell’Italia liberale, emersero, più o meno velatamente, tutti i caratteri dell’incompatibilità tra dannunzianesimo e fascismo – e più specificamente tra D’Annunzio e Mussolini – per lungo tempo ignorati dalla vulgata storica. La marcia su Roma – non è più mistero – fu anticipata da Mussolini per prevenire la ventilata possibilità di una pacificazione nazionale guidata da D’Annunzio, che avrebbe relegato il fascismo in posizione secondaria.
d'Annunzio, Principe di Montenevoso
Il poeta fu perseverante propugnatore di un riavvicinamento alla Francia – la “sorella latina” che lo aveva ospitato – nonché costante accusatore del «marrano Adolf Hitler, dall’ignobile faccia offuscata sotto gli indelebili schizzi della tinta di calce e di colla ond’egli aveva zuppo il pennello, o la pennellessa […] divenutagli scettro di pagliaccio feroce non senza ciuffo prolungato alla radice del suo naso nazi».


F.to         Gabriella Toritto


Fonti: D'Annunzio di Giordano Bruno Guerri, Oscar Mondadori Libri, 2017
D'Annunzio. L'amante guerriero, di Giordano Bruno Guerri, Milano, Mondadori, 2008
La mia vita carnale - Amori e passioni di Gabriele d'Annunzio di Giordano Bruno Guerri - Oscar Storia Mondadori Libri
Disobbedisco di Giordano Bruno Guerri, Le Scie Mondadori
Pubblicato su "Il Grande Sorpasso" - ottobre 2019
Appuntamento con le Storie

Gabriele d'Annunzio (prima parte)
È stato definito «eccezionale e ultimo interprete della più duratura tradizione poetica italiana […]». Fu un grande. E se al termine «grande» si collegano genio, carisma, straordinarietà, allora (come alcuni sostengono) D’Annunzio è stato il più grande italiano dopo Dante Alighieri.
Pescara Vecchia agli inizi del 1900
Scrittore, drammaturgo, militare, politico, giornalista, patriota italiano, simbolo del Decadentismo, celebre figura della Grande Guerra, fu insignito del titolo di "principe di Montenevoso" nel 1924. Fu definito "il Vate", "poeta sacro, profeta", o "l'Immaginifico". Svolse un ruolo importante nello scenario della letteratura italiana (1889-1910) e della vita politica (1914-1924).
Come politico segnò la sua epoca e influenzò gli eventi accaduti dopo di lui. Mentore di Mussolini, non si iscrisse mai al partito fascista sebbene lo abbia anticipato.
L'arte dannunziana incise sulla cultura di massa, condizionando usi e costumi nell'Italia del suo tempo.
Nacque a Pescara il 12 marzo 1863 da una famiglia borghese. Terzo di cinque figli, visse un'infanzia felice, distinguendosi per intelligenza e vivacità. Dalla madre, Luisa de Benedictis, ereditò la fine sensibilità. Mentre riprese il temperamento sanguigno, la passione per le donne e la disinvoltura nel contrarre debiti dal padre, Francesco Paolo Rapagnetta, che acquisì nel 1851 il cognome D'Annunzio da uno zio ricco che lo aveva adottato.
Reminiscenze della condotta paterna sono presenti nel romanzo Trionfo della morte, nelle Faville del maglio e nel Poema paradisiaco.
Ebbe tre sorelle (Anna, Elvira, Ernestina) cui fu molto legato e un fratello minore, Antonio, direttore d'orchestra, che si trasferì negli Stati Uniti d'America dove perse tutto nella crisi economica del 1929. Gabriele lo aiutò finanziariamente con cospicui prestiti ma le continue richieste di denaro spinsero il poeta a rompere i rapporti e a rifiutare di incontrare il fratello al Vittoriale.
Il Vittoriale degli Italiani
Gabriele fu ambizioso, competitivo, privo di complessi e inibizioni. Nel 1879, sedicenne, mentre frequentava il prestigioso Convitto Cicognini di Prato, scrisse una lettera a Giosuè Carducci, il poeta più stimato dell'Italia umbertina. Sempre nello stesso anno il padre finanziò la pubblicazione della sua prima opera, Primo vere, una raccolta di poesie che riscosse immediato successo. Il libro fu pubblicizzato dallo stesso D'Annunzio con una fake news: fece diffondere la falsa notizia della propria morte per una caduta da cavallo. La notizia ebbe l'effetto di richiamare l'attenzione del pubblico romano sul romantico studente abruzzese, facendone un personaggio discusso. Lo stesso D'Annunzio poi smentì la notizia.
Conclusi gli studi liceali, iniziò un’ascesa inarrestabile nel mondo artistico nazionale. Si iscrisse alla Facoltà di Lettere a Roma, dove non terminò mai gli studi.
Per la sua formazione fu importante il decennio 1881-91. Nell’ambiente culturale e mondano di Roma, da poco capitale del Regno d’Italia, si formarono il suo stile comunicativo, la visione del mondo e il nucleo centrale della sua poetica. Nella capitale fu accolto con magnanimità da un nutrito gruppo di scrittori, artisti, musicisti, giornalisti di origine abruzzese che ne determinò la fortuna. Il poeta aveva conosciuto alcuni di loro a Francavilla al Mare, in un convento di proprietà del corregionale e amico Francesco Paolo Michetti. Fra tali artisti ricordiamo Scarfoglio, Tosti, Masciantonio e Barbella.
Il gruppo abruzzese però era portatore di una cultura provinciale e vitalistica che appariva ristretta e soffocante, ancora molto lontana dall'effervescenza intellettuale che animava le altre capitali europee. D'Annunzio seppe comunque sintetizzare perfettamente, con uno stile giornalistico raffinato, gli stimoli che l’opposizione "centro-periferia", " cultura-natura " offriva alle aspettative dei lettori.
Nei primi anni utilizzò lo pseudonimo di "Duca Minimo" negli articoli che scriveva per La Tribuna, giornale di esponenti della Sinistra storica. Egli intraprese il lavoro giornalistico per esigenze economiche, ma quell’esperienza gli favorì la frequentazione di ambienti esclusivi, tanto che nel 1883 sposò a Roma, con un matrimonio riparatore, Maria Hardouin, duchessa di Gallese nella cappella di Palazzo Altemps. Lei, già incinta del figlio Mario, successivamente gli diede altri due figli: Gabriele Maria e Ugo Veniero.
Il matrimonio finì con una separazione legale dopo pochi anni a causa delle numerose relazioni extraconiugali di D'Annunzio. I due coniugi restarono, tuttavia, in buoni rapporti.
Nell'aprile del 1887 entrò nella vita del poeta una nuova grande passione, Barbara Leoni, suo più grande amore, nonostante la loro breve storia.
Il grande successo letterario arrivò nel 1889 con la pubblicazione del primo romanzo, Il piacere, a Milano, presso l'editore Treves. Il romanzo, incentrato sulla figura dell'esteta decadente, inaugurò una nuova prosa: introspettiva e psicologica. Ben presto, oltre ai lettori e agli estimatori più colti, si configurò attorno alla figura di D'Annunzio un folto pubblico condizionato non dai contenuti, quanto dalle forme e dai risvolti divistici delle sue opere e della sua persona, un vero e proprio star system ante litteram, che lo stesso D’Annunzio contribuì a congegnare scientemente. Infatti si costruì un’esistenza dallo stile immaginoso e appariscente da "grande divo", con cui nutrì il bisogno di sogni, di misteri, di "vivere un'altra vita", di oggetti e di comportamenti-culto che connotarono la nuova cultura di massa in Italia.
Tra il 1891 e il 1893 D'Annunzio visse a Napoli, dove compose Giovanni Episcopo e L'innocente. Poi scrisse Il trionfo della morte in Abruzzo, tra Francavilla al Mare e San Vito Chietino, e le liriche del Poema paradisiaco. Sempre in questo periodo si avvicinò agli scritti del filosofo Friedrich Nietzsche. Le suggestioni nietzschiane, filtrate dalla sua sensibilità, sono rintracciabili anche ne Le vergini delle rocce (1895), poema in prosa dove l'arte «...si presenta come strumento di una diversa aristocrazia, elemento costitutivo del vivere inimitabile, suprema affermazione dell'individuo e criterio fondamentale di ogni atto».
Nel 1892, in competizione con Ferdinando Russo sulla capacità di comporre liriche in dialetto napoletano, D'Annunzio scrisse il testo de “A vucchella”, romanza pubblicata nel 1907 e musicata da F.P. Tosti. La canzone, eseguita da tenori come Enrico Caruso e successivamente da Luciano Pavarotti, fu incisa anche da grandi interpreti della canzone napoletana, come Roberto Murolo, che l’hanno resa un classico.
In quel periodo intraprese una relazione epistolare con la celebre attrice Eleonora Duse, con cui iniziò la stagione centrale della sua vita. Si conobbero personalmente due anni dopo, nel 1894, e subito scoppiò l'amore. Per vivere accanto alla Duse, D'Annunzio si trasferì a Firenze, nella zona di Settignano, dove affittò la villa La Capponcina - dal nome dei Capponi che ne erano stati proprietari. La Capponcina era vicinissima a La Porziuncola, villa dell'attrice.
Fu proprio in quel tempo che si formò buona parte della drammaturgia dannunziana, innovativa rispetto ai canoni del dramma borghese o del teatro di allora. Essa ebbe come maggiore interprete Eleonora Duse.
Tra il 1893 e il 1897 D'Annunzio condusse un'esistenza movimentata, che lo riportò dapprima nell’originario Abruzzo e poi in Grecia, visitata nel corso di un lungo viaggio.
Nel 1897 volle provare l'esperienza politica, vivendola in un modo bizzarro e clamoroso. Eletto deputato della destra, passò subito nelle file della sinistra per protesta contro Pelloux e le "leggi liberticide", giustificandosi con l’affermazione «vado verso la vita». Espresse vivaci proteste per la sanguinosa repressione dei moti di Milano da parte del generale Bava Beccaris. Dal 1900 al 1906 fu molto vicino al Partito Socialista Italiano.
Il 3 marzo 1901 inaugurò con Ettore Ferrari, Gran Maestro della massoneria del Grande Oriente d'Italia, l'Università Popolare di Milano, nella sede di via Ugo Foscolo, dove pronunciò il discorso inaugurale e dove, successivamente, svolse un'attività straordinaria di docenze e lezioni culturali. L'amicizia con Ferrari avvicinò il Vate alla "libera muratoria". D'Annunzio fu infatti massone e 33º grado della Gran Loggia d'Italia degli Alam, detta "di Piazza del Gesù", fuoriuscita nel 1908 dal Grande Oriente.
Più tardi fu iniziato al Martinismo. Molti dei volontari fiumani, suoi arditi, con cui condivise la “presa di Fiume”, furono esoteristi o massoni. Fra loro: Alceste de Ambris, Sante Ceccherini, Marco Egidio Allegri. La stessa bandiera della Reggenza del Carnaro, istituita a Fiume, conteneva simboli massonici e gnostici, come l'uroboro e le sette stelle dell'Orsa Maggiore.
La relazione con Eleonora Duse si incrinò nel1904, dopo il tradimento con Alessandra di Rudiní e la pubblicazione del romanzo Il fuoco, in cui il poeta descrisse impietosamente la relazione con l’attrice. 

F.to              Gabriella Toritto  


Fonti: D'Annunzio di Giordano Bruno Guerri, Oscar Mondadori Libri, 2017
D'Annunzio. L'amante guerriero, di Giordano Bruno Guerri, Milano, Mondadori, 2008
La mia vita carnale - Amori e passioni di Gabriele d'Annunzio di Giordano Bruno Guerri - Oscar Storia Mondadori Libri
Disobbedisco di Giordano Bruno Guerri, Le Scie Mondadori
Appuntamento con le Storie pubblicato il 14 settembre 2019 su "Il Grande Sorpasso"

La famiglia Rossetti (terza parte)
Christina, quarta figlia di Gabriele Rossetti, fu una poetessa istintiva, eccentrica e scostante, come scrisse Virginia Woolf. Fu anche una donna tranquilla e riflessiva che ebbe “uno strano nocciolo oscuro nel cuore, il nocciolo dell'amore per Dio e per la religione.”
Christina iniziò a scrivere molto presto ma vide pubblicata la sua prima raccolta Goblin Market and other poems solo all'età di trentun anni, cui seguì, nel 1866, la seconda raccolta The Prince’s Progress and other poems.
Condivise gli interessi intellettuali dei suoi fratelli che fondarono nel 1848 la Confraternita dei Preraffaelliti, un gruppo di artisti, poeti e critici che rifiutarono ogni rigidità accademica e trassero ispirazione dai pittori italiani antecedenti Raffaello.
Christina Rossetti
Il forte attaccamento alla religione e l’intensa devozione portarono Christina ad avere una vita ritirata e a non abbandonarsi mai completamente agli amori della sua vita. Il grande amore, nato a diciotto anni con James Collinson, terminò poiché lui era cattolico. Anche la storia con Charles Cayley naufragò sempre per motivi religiosi.
La grande sensibilità ed emotività della poetessa la indussero a raccontare più o meno implicitamente queste tematiche in poesia. Tra i componimenti più conosciuti vi sono proprio le poesie d’amore che nacquero da storie dolorosamente vissute e in cui lo spazio lasciato alla fantasia fu poco.
Christina fu anche donna socialmente impegnata, dato che per dieci anni lavorò come volontaria in una casa di accoglienza per prostitute e, sebbene non si espresse riguardo al suffragio femminile, molti critici hanno rintracciato e analizzato tematiche femministe nella sua poesia. Fu inoltre contro la guerra, la schiavitù, la crudeltà contro gli animali, lo sfruttamento sessuale delle minorenni e ogni forma di aggressione militare.
Dante Gabriel (1828-1882), fu il poeta-pittore che, assieme a William Hunt, a John Everett Millais e a Ford Madox Brown, nel 1848 fondò la «Confraternita preraffaellita».
Anch’egli, come il padre e le sorelle, ebbe un costante punto di riferimento in Dante Alighieri, filtrato, assieme al Dolce Stil Novo, dai poeti romantici come John Keats e William Blake. Col tempo però Dante Gabriel preferì alla Commedia la Vita Nova, che interpretò in una serie di quadri.
Dante Gabriel Rossetti: Beata Beatrix, 1864-1870
A Beatrice, infatti, fu dedicato il dipinto omonimo. La donna amata dall' Alighieri è colta come in estasi. Dietro di lei ci sono due figure: Dante, vicino a un pozzo, e Amore, che ha in mano un cuore ardente. Sullo sfondo, il Ponte Vecchio attraversato dall' Arno.
L’italo-britannico Dante Gabriel Rossetti si dedicò alla letteratura sin dalla più tenera età, in particolare alla poesia. Il suo interesse nel Medioevo italiano lo spinse ben presto anche verso l'arte e la pittura. Negli anni successivi, sviluppò la filosofia della Confraternita dei Preraffaelliti, occupandosi in particolar modo degli aspetti più medievaleggianti.
Pubblicò traduzioni di Dante e di altri poeti italiani medievali e iniziò una serie di dipinti con lo stile e le tecniche proprie dei pittori italiani precedenti Raffaello, da cui il nome del movimento.
Si è soliti pensare che nella sua produzione pittorica Dante Gabriel Rossetti abbia ossessivamente riprodotto i tratti essenziali della propria vicenda esistenziale, a partire dalle sensuali relazioni affettive con le modelle.
John Everett Millais: Ophelia
In effetti le donne, la sensualità e l'amore, assieme agli ideali di bellezza e di poesia, colpiscono talmente chi osserva i dipinti di Dante Gabriel da far sembrare che ogni opera figurativa dell’artista abbia come valore essenziale una sorta di languido e autobiografico estetismo, la fascinosa riproduzione di uno stile di vita.
La realtà è ben diversa. I dipinti di Rossetti, pur attingendo allo spirito decadente e bohémien di un insolito modus vivendi, se ne svincolano ampiamente.
Ciò che in realtà li caratterizza, rendendoli davvero un unicum, non sono le atmosfere e le vicende ritratte, vale a dire il tema dell'autobiografismo, bensì la tecnica radicalmente innovativa, l'originalità cromatica e compositiva. Questi aspetti stilistici fondano infatti un sentire artistico sorprendentemente in anticipo sui tempi, ben lontano da quanto gli artisti coevi andavano esprimendo. La personalità e l'esistenza di Rossetti sono sì la radice cui la sua arte figurativa attinge, ma questa ne è sostanzialmente indipendente. Deve piuttosto il principale valore e un fascino cruciale alla capacità di inventare, su questo materiale autobiografico, una tecnica attenta e ardita, una modalità pittorica che quanto a originalità non cessa, ancora oggi, di stupire.
Fanny Cornforth
Rossetti fece evolvere la propria poetica e la propria pittura verso temi sempre più intrisi di simbologia e mitologia, tralasciando il realismo.
La sua vita subì una svolta terribile con la morte della moglie Elizabeth Siddal, che era stata in precedenza sua modella. Elizabeth morì suicida per una dose letale di laudano, assunta a causa di una forte depressione dopo aver dato alla luce un figlio morto.
Dante Gabriel Rossetti seppellì il corpo della moglie assieme a un plico con le sue opere poetiche incompiute e cadde a sua volta in preda a una forte depressione.
In questo periodo, avvertendo affinità con la propria vicenda, si dedicò soprattutto alle opere dantesche e al tema della morte di Beatrice. Così realizzò opere come Beata Beatrix, pietra miliare del Simbolismo. Dipinto allegorico sulla morte della moglie, Beata Beatrix raffigura la donna in una posa languida e sensuale; la sua chioma, naturalmente rossa, è come raccolta in un'acconciatura sfatta e sulle sue mani si sta posando una colomba rossa, simbolo della spiritualità ma anche allusione al laudano che ha ucciso la donna.
Alle sue spalle, una scena soffusa raffigura due personaggi, forse Dante e Virgilio. Sullo fondo si intravede anche il Ponte Vecchio di Firenze ad evocare che la città fiorentina piange la morte di Beatrice e della moglie del pittore.

Il complesso simbolismo del dipinto è ancora fonte di dibattito tra i critici. La prima fase dei Preraffaelliti fu caratterizzata da un percorso di idealizzazione della donna che interessò l'intero movimento.
Successivamente l’amante di Dante Gabriel, Fanny Cornforth, venne rappresentata come la personificazione dell'erotismo carnale e la moglie del pittore William Morris, Jane Burden Morris, venne esaltata quale Venere celeste.

F.to Gabriella Toritto


Fonte: I ROSSETTI – ALBUM DI FAMIGLIA – DOCUMENTI, TESTIMONIANZE, IMMAGINI, a cura di Gianni OLIVA – Casa Editrice CARABBA, 2010
Appuntamento con le Storie pubblicato il 2 agosto 2019 su "Il Grande Sorpasso"

I Fratelli Rossetti (seconda parte)
Gabriele Rossetti per quasi tre anni rimase a Malta, dove svolse le sue attività di improvvisatore e insegnante di lingua e letteratura italiana. Era tuttavia ancora perseguitato e ricercato dai Borboni. Nel gennaio 1824 dovette lasciare definitivamente l’isola mediterranea.
La nave inglese che lo aveva portato a Malta, la Rockfort, il 7 aprile dello stesso anno lo condusse a Londra, meta di tanti altri esuli italiani, vittime della repressione seguita ai moti del 1820-21. Durante la sosta nel golfo partenopeo Sir Graham Moore fece un estremo seppur vano tentativo di perorare per lui la grazia dal re.
Rossetti portava con sé il manoscritto contenente la redazione definitiva di Iddio e l’uomo, un’opera di riflessione politico-religiosa che avrebbe avviato una fase d’intenso impegno ideologico e letterario.
Nel primo periodo della sua permanenza a Londra Gabriele conobbe Gaetano Polidori, uomo di lettere, ex-segretario di Vittorio Alfieri, stimato maestro d’Italiano. La familiarità e l’amicizia con Polidori produssero un significativo cambiamento nella sua vita: nell’aprile del 1826 ne sposò (prima con rito cattolico e poi anglicano) la secondogenita, Maria Francesca Lavinia, ragazza colta e raffinata.

Christina Rossetti, la fine poetessa
Da questa unione nacquero in meno di quattro anni Maria Francesca, Dante Gabriel, William Michael e Christina, destinati − chi più, chi meno − a rivestire ruoli di primo piano nelle vicende dell’arte inglese del secondo Ottocento.
William Michael nei suoi Ricordi affermò con convinzione che la famiglia Rossetti era unita e indivisibile, il centro del mondo, cioè una coalizione di forze interscambiabili, un nucleo di reciproche intese. In quel padre esule, venerato dai figli, e viceversa, nell’amore e nell’orgoglio paterno verso le sue creature, c’era la consapevolezza di appartenere a una stirpe, di essere uniti e diversi al contempo, di respirare la stessa aria, di parlare un identico linguaggio, di riconoscersi, alla luce di una formazione comune, anche solo attraverso un gesto, una parola, un cenno segreto.
Proserpina di Dante Gabriel Rossetti
I Rossetti conservarono in territorio inglese quella struttura patriarcale dalle lontane origini meridionali: un clan, insomma, in cui ciascuno interpretò il suo ruolo rispettando l’identità dell’altro. Gabriele, il patriarca, da un lato, con la moglie Francesca Maria Lavinia, secondogenita di Gaetano Polidori; dall’altro la cucciolata dei figli: Maria Francesca, divenuta suora e divulgatrice del culto dantesco, Dante Gabriel con la sua personalità prorompente e poliedrica, William Michael, il cosiddetto «uomo normale», storico di famiglia, e l’esile Christina, poetessa spirituale e repressa.
Dall’approdo in Inghilterra e fino agli anni 1842-43, quando ebbe i primi segni di cedimento fisico per l’insorgere di alcune malattie, Gabriele Rossetti fu notevolmente assorbito dai suoi studi e dall’appassionata difesa delle sue teorie contro i detrattori che non mancarono. Nel 1831 fu nominato professore di “Italian Language and Literature” presso il King’s College di Londra. La sua attività principale però restavano le lezioni private.
Tentò più volte di rientrare in Italia dopo l’ascesa di Ferdinando II al trono del Regno di Napoli, nel 1832, che aveva fatto sperare molti esuli, e dopo la fiammata rivoluzionaria del 1848. In entrambi i casi, però, le speranze di un ritorno in patria furono vanificate dal precipitare degli eventi.
Gabriele Rossetti, intanto, recuperando un interesse che probabilmente risaliva alla sua giovinezza vastese e napoletana, portò a compimento la prima parte di una complessa riflessione sulla Commedia di Dante:
“Non a Londra, ma in Napoli e forse in Vasto − scrive Teodorico Pietrocola Rossetti nella sua biografia − il Rossetti concepì l’idea di un commento analitico sulla Divina Commedia, in cui avesse potuto svolgere la scienza arcana della politica e della religione di Dante …”.
La pubblicazione del primo volume del “Comento analitico” gli diede molta notorietà e gli procurò nuovi amici. Tra questi il gentiluomo scozzese Charles Lyell, uomo di scienza e raffinato cultore di Dante, con cui Rossetti avviò un rapporto di fraterna amicizia e collaborazione e che fu, tra l’altro, padrino di battesimo di Dante Gabriel.
Ammalatosi gravemente, Gabriele Rossetti condusse gli ultimi anni di vita in un progressivo e rapido decadimento fisico che gli causò non poche sofferenze. Alla cecità si aggiunsero ripetute paralisi che lo ridussero in misere condizioni. Morì a Londra il 26 aprile 1854.
A lungo il suo nome sarebbe rimasto legato alle vicende del Risorgimento italiano e agli aneliti liberali per cui egli aveva pagato un prezzo umanamente alto, con le persecuzioni di cui fu vittima e con l’esilio. Non è un caso se Giosue Carducci, approntando nel 1861 una celebre antologia della poesia civile rossettiana, gli rese omaggio quale vate della libertà e dell’Unità d’Italia.
William Michael Rossetti
Maria Francesca fu divulgatrice del culto dantesco. La sua opera A shadow of Dante fu pubblicata nel 1871 e fu salutata da James Russell Lowell come “di gran lunga il commento migliore mai apparso in inglese”. Divenne suora anglicana nel 1874 ed entrò nel convento anglicano della Society of All Saints. A lei la sorella Christina dedicò il poema Goblin Market.
Frutto di profonda conoscenza del testo dantesco, A shadow of Dante assorbe molti degli elementi tipici del dantismo vittoriano, a cominciare dall’idea che Dante fosse “the central man of all the world”. Maria Francesca Rossetti scrisse “Dante è un nome non limitato nello spazio e nel tempo. Non l’Italia, ma l’Universo è il suo luogo di nascita; non il XIV secolo ma tutto il Tempo è la sua epoca”.
William Michael Rossetti, che assieme al fratello Dante Gabriel fu uno dei fondatori e l'organizzatore del Movimento dei Preraffaelliti, fu definito da Mario Praz l'uomo normale dei Rossetti. Condusse una vita appartata e riflessiva, ma non per questo meno importante.
Per far fronte alle necessità economiche della famiglia verificatesi dopo la morte del padre, William Michael decise di soffocare le proprie inclinazioni artistiche, divenendo funzionario dell'Agenzia delle entrate britannica, presso la Somerset House situata lungo il Tamigi. Nel 1874 sposò Lucy Madox Brown, figlia del celebre pittore Ford Madox Brown.
Numerosi furono i suoi viaggi in Italia, tra cui ricordiamo, il soggiorno a San Remo nel 1887, durante il quale fu testimone del terribile terremoto che scosse la terra ligure.

F.to Gabriella Toritto




Fonte: I ROSSETTI – ALBUM DI FAMIGLIA – DOCUMENTI, TESTIMONIANZE, IMMAGINI, a cura di Gianni OLIVA – Casa Editrice CARABBA, 2010





Pubblicato il 27 giugno 2019 su "Il Grande Sorpasso"
Appuntamento con le Storie
Inizia da questo mese una rubrica “Appuntamento con le Storie” in cui saranno trattate le vite e le vicissitudini di illustri uomini e donne italiani, raccontate a puntate.

La Famiglia Rossetti (prima parte)
Le origini della famiglia Rossetti sono avvolte nel mistero. A prestar fede ai racconti di Gabriele (riferiti dal figlio William), i Rossetti discendevano da un ramo della famiglia vastese dei Della Guardia e il cognome derivava da un soprannome che alludeva alla capigliatura rossiccia di alcuni suoi membri. Tale leggenda tuttavia non trova riscontro nei documenti ufficiali. 
Vasto Marina Terremoto del 1887 
Di certo si sa che sul finire del Settecento viveva a Vasto Nicola Rossetti, di professione fabbro-ferraio, che, Maria Francesca Pietrocola, ebbe da lei sette figli: tre femmine (Angiola Maria, Maria Giuseppa, Maria Michela) e quattro maschi (Andrea, Antonio, Domenico e Gabriele).
La numerosa famiglia risiedeva in una casa (oggi sede del Centro Europeo di Studi Rossettiani), dalla singolare forma torreggiante, posta ai margini del centro storico su un’altura orientale che guarda il golfo di Vasto. 
Il primo illustre membro della famiglia fu Gabriele Rossetti, poeta e patriota esule, nato proprio a Vasto, capostipite della famiglia di artisti e letterati vissuti in Inghilterra. Poi ci fu il figlio Dante Gabriel, poeta e pittore, fondatore della Confraternita dei Preraffaelliti e traduttore di Dante. Quindi William Michael, altro figlio del patriota, critico letterario. Una figlia di Gabriele, Maria Francesca, suora anglicana, fu insigne critica letteraria e traduttrice di Dante. L'altra figlia, Christina, fine poetessa, morì per un male incurabile e fu successivamente riscoperta dai movimenti femministi che riconobbero nelle sue opere delle tematiche moderne, vicine alle donne. 
Gabriele Rossetti, ultimo di sette figli, nacque a Vasto il 28 febbraio 1783. Dei suoi primi anni di vita si sa solo che ebbe una precoce vocazione per la poesia, per il disegno e il canto. 
Gabriele visse la sua infanzia in condizioni economiche non erano floride ma ricevette un’istruzione adeguata. Ebbe probabilmente come primo maestro il fratello Andrea, canonico della cattedrale di S. Maria Maggiore, più anziano di diciotto anni. Raffinò la sua inclinazione per il disegno sotto la guida di Nicola Tiberi; studiò filosofia con Padre Vincenzo Gaetani del Collegio del Carmine; fu educato al culto dei classici da Benedetto Maria Betti. Quest’ultimo, erudito settecentesco, influenzò la sua formazione culturale. Lo avviò alla conoscenza e al culto di Dante Alighieri. Diversi biografi hanno ravvisato proprio nell’insegnamento di Betti le origini di quell’interesse per Dante che avrebbe accompagnato Gabriele e i suoi figli per il resto della vita.
Del primo periodo della sua vita sono noti pochi altri fatti. Teodorico Pietrocola Rossetti, nipote di Gabriele e suo primo biografo, riferisce del ruolo di osservatore avuto dallo zio nella sommossa popolare che insanguinò Vasto nel 1799. Si trattava di una reazione sanfedista contro la “repubblica giacobina” instaurata nel regno di Napoli con il sostegno dei Francesi. In quell’occasione Gabriele, che aveva imparato il francese da autodidatta, fu chiamato più volte a fare da interprete.
Rossetti fornì prova delle sue capacità poetiche precocemente, sia in composizioni scritte sia in performances “all’improvvisa”. La fama del giovane poeta crebbe rapidamente nella natìa Vasto e ben presto travalicò i confini cittadini. In particolare è lo stesso Gabriele a ricordare come un suo componimento poetico del 1804, scritto in occasione della morte della moglie di un notabile locale, Vincislao Mayo, finì nelle mani del Marchese del Vasto, Tommaso d’Avalos, maggiordomo presso la corte partenopea, che lo chiamò a Napoli offrendogli protezione e la possibilità di completare la sua formazione. Sul finire del 1804 Rossetti lasciò Vasto alla volta di Napoli. Non avrebbe mai più fatto ritorno nella sua città. 
A Napoli egli continuò i suoi studi presso l’Università conseguendo, secondo qualche biografo, anche la laurea. Trovò buona accoglienza nei circoli colti e nelle accademie della città, acquistando altresì notorietà per la sua facile vena poetica: «molti nobili − ricorda a questo proposito il nipote Teodorico Pietrocola Rossetti − per parere saputi, mendicavano da lui il sonetto, e l’ode, e la canzone, e poi li spacciavano per cosa propria». Entrò poi nell’agone politico, schierandosi nel 1806 a favore dell’ascesa di Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone, al trono di Napoli. 
Le poesie dedicate gli guadagnarono le simpatie del nuovo re. Ebbe così un incarico, regolarmente retribuito, di «conservatore ed illustratore della parte delle statue antiche di marmo e di bronzo» nel Real Museo di Napoli. 
Rossetti, però, aspirava ad avere un ruolo di rilievo nell’ambito dell’attività teatrale partenopea. Per il teatro S. Carlo aveva già prodotto alcuni libretti per musica e andava componendo tre drammi lirici, Giulio Sabino, Il Natale di Alcide, Annibale in Capua, con l’obiettivo di divenire il poeta “ufficiale” del teatro. La sua aspirazione venne, tuttavia, vanificata dagli eventi. Gioacchino Murat, succeduto a Giuseppe Bonaparte sul trono di Napoli nel 1808, soppresse la Commissione de’ Teatri e Spettacoli, frustrando le ambizioni di Gabriele che ambiva alla segreteria di quell’organismo gestore del Teatro S. Carlo. I rapporti con il nuovo re e con la famiglia di Napoleone rimasero comunque buoni, sebbene alcuni biografi sostengano il contrario, accentuando lo spirito libertario e antimurattiano del poeta in funzione già risorgimentale.
Murat stesso, a riprova dell’immutata amicizia, conquistata Roma nel gennaio 1814 e insediatovi un governo provvisorio, nominò Rossetti “segretario del Dicastero dell’Istruzione Pubblica e delle Belle Arti” (incarico che ricoprì per alcuni mesi). A Roma, tra l’altro, il poeta vastese divenne socio dell’Accademia Tiberina e dell’Arcadia, prendendo il nome “pastorale” di Filidauro Labidiense.
Fu affiliato alla Carboneria e svolse la mansione di segretario del Distretto Carbonaro di Napoli. Del resto fino ai moti rivoluzionari del 1820-21 la Carboneria era largamente tollerata dal potere politico. Anzi, nel periodo murattiano, era stata incoraggiata dal sovrano. Gli eventi comunque precipitarono proprio nel 1820 e Rossetti si ritrovò, suo malgrado, a essere poeta della rivoluzione: “Tirteo d’Italia”, cioè cantore dei valori patriottici come il poeta greco del VII secolo a. C..
L’insurrezione, deflagrata sotto le insegne della Carboneria agli inizi del luglio 1820 a Nola e poi a Napoli, costrinse Ferdinando I a concedere la Costituzione e a promettere un governo ispirato ai principi di libertà e di partecipazione popolare. Rossetti, nell’entusiasmo generale, salutò l’avvenimento alla sua maniera, con un Canto estemporaneo fatto nella Brigata degli Amici della Patria, la sera del 9 luglio. 
Represso il moto insurrezionale e in clima di restaurazione, quando il monarca Ferdinando I tornò nella pienezza dei suoi poteri, condannò Rossetti nelle liste di proscrizione. 
Gabriele fu salvato da amici ed estimatori. Il 20 aprile 1821 il poeta lasciò Napoli a bordo di una nave inglese. Il 2 maggio successivo giunse a Malta, isola che, sotto la sovranità inglese, accoglieva già molti rifugiati politici. 
Iniziava per il poeta un viaggio senza ritorno: l’esilio perpetuo.

F.to   Gabriella Toritto


Fonte: I ROSSETTI – ALBUM DI FAMIGLIA – DOCUMENTI, TESTIMONIANZE, IMMAGINI, a cura di Gianni OLIVA – Casa Editrice CARABBA, 2010

Pubblicato sul numero del 20 aprile 2019 de "Il Sorpasso"

Per riflettere sulla Sanità
Prendo spunto dall’ennesima aggressione al personale sanitario del Pronto Soccorso di Pescara, consumatasi poco più di un mese fa per un’attesa troppo lunga e conclusasi con scontri verbali, fisici e conseguente intervento della Polizia. 
E’ solo uno degli ultimi incidenti occorsi nei luoghi del Servizio Sanitario Nazionale. In questi anni la Sanità va subendo molti tagli a discapito di una popolazione sempre più anziana e in difficoltà economiche.
L’Europa ha lanciato l’allarme sulla mancanza delle risorse e del personale sanitario. Secondo i dati Eurostat - l'Ufficio Statistico dell'Unione Europea - l’Italia nel 2016 aveva 557 infermieri ogni 100.000 abitanti, con una carenza di 50-60mila unità rispetto alla media degli altri maggiori partners UE. Peggio dell’Italia stavano Polonia, Cipro, Ungheria, Bulgaria, Slovenia, Grecia, Croazia e Romania. Commentando tali dati, la Direzione Generale per la salute e la sicurezza alimentare della Commissione europea ha sottolineato la carenza dei professionisti nell'assistenza infermieristica che potrebbe diventare più grave poiché la popolazione continuerà a invecchiare e una percentuale alta di infermieri andrà prossimamente in pensione. Le nuove norme prevedono la fuoriuscita degli infermieri dipendenti del SSN dal mondo del lavoro secondo “Quota 100” (calcolata in base agli anni di anzianità lavorativa e all’età anagrafica) che decimerà gli organici. Si prevedono da subito oltre 22mila infermieri in meno".

Non va meglio con il personale medico. Entro pochissimi anni andranno in pensione 52mila professionisti. Mancheranno soprattutto pediatri, specialisti d'emergenza-urgenza, anestesisti e internisti. Secondo Anaao Assomed “Le condizioni di lavoro nei reparti ospedalieri e nei servizi territoriali stanno rapidamente degradando. Il blocco del turnover, introdotto con la Legge n. 296 del 2006, ha determinato una carenza nelle dotazioni organiche di circa 10 mila medici. I piani di lavoro, i turni di guardia e di reperibilità vengono coperti con crescenti difficoltà …”.

Ancora il sindacato dei medici denuncia: “Quindici milioni di ore di straordinario non pagate, numero di turni notturni e festivi pro-capite in crescita, fine settimana quasi sempre occupati tra guardie e reperibilità, difficoltà a poter godere perfino delle ferie maturate rappresentano gli elementi su cui si fonda oggi la sostenibilità organizzativa ed economica degli ospedali italiani”. Nelle corsie ospedaliere mancano siringhe, medicinali a fronte dei “bonus” percepiti, oltre al proprio elevato reddito, dagli alti dirigenti per la produttività aziendale. Alcuni mesi fa il Codacons di Catania ha annunciato un esposto alla Procura e alla Corte dei Conti: «Perché premiarli, visti i disservizi negli ospedali?»

L’articolo 32, comma 1, della Costituzione italiana recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.”

Il contenuto del diritto che la Costituzione riconosce a tutti è complesso: il benessere psico-fisico, inteso in senso ampio, con cui s’identifica il bene “salute” si traduce nella tutela costituzionale dell’integrità psico-fisica, del diritto a un ambiente salubre, del diritto alle prestazioni sanitarie e della cosiddetta libertà di cura. Il diritto alla salute è fondamentale ed è tutelato anche dall’art. 2 della Costituzione: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”
Essendo poi intimamente connesso con il valore della dignità umana, l’art. 2 rientra nella previsione dell’art. 3 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Nella realizzazione del dettato costituzionale, tuttavia, i legislatori, i politici devono contemperare gli interessi connessi alla salute con quelli legati alla sostenibilità finanziaria del sistema Italia. Il diritto alla salute, quindi, deve essere bilanciato con il principio della regolarità dei conti pubblici, anch’esso costituzionalmente previsto nell’art. 81 e implicito nell’art. 97. E’ chiaro che lo Stato deve mirare ad avere i conti in ordine per potersi “permettere” di spendere nei settori di rilievo sociale. Il rispetto della regolarità finanziaria è anche funzionale all’impegno continuo dello Stato nel settore sanitario. E i conti sono legati alle entrate. E fra le entrate vi sono le imposte, le tasse, che vanno pagate. Molti cittadini purtroppo non ottemperano ai propri doveri. E’ pur vero che ci sono famiglie che non hanno sufficienti risorse economiche.
La Costituzione Italiana, all'art.53, fissa il principio della capacità contributiva secondo il quale “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”, cioè in base al proprio reddito.
Con il gettito delle entrate lo Stato finanzia i servizi pubblici di cui beneficiamo: l’Istruzione; il Sistema Sanitario Nazionale; le Forze dell’Ordine; la Giustizia ed altri servizi.
Fenomeni di evasione o elusione fiscale tendono invece a ridurre il gettito previsto, a danno dello Stato. Ne conseguono l’aumento del deficit pubblico e del debito e l’inevitabile diminuzione della spesa a vantaggio dei servizi ai cittadini.

F.to Gabriella Toritto

FONTI:
Il Centro di Pescara,mercoledì, 27 marzo 2019
S.I.G.M., Incontro con il Ministero della Salute 30/08/2018
Anaao.it
www.sudpress.it/denuncia-del-codacons-alla-procura-premi-erogati-dirigenti-asp-cata.
https://www.nurse24.it/infermiere/ordine/carenza-infermieri-allarme-ue-servono-piu-i..
www.fnopi.it/.../l-europa-lancia-l-allarme-carenza-piu-infermieri-per-la-nuova-demog.
www.quotidiano sanita.it, 07/01/2019





Pubblicato sul numero del 30 aprile 2019

La Storia, la Modernità e il Treno Intervista a Renzo GALLERATI

Tutti lo conoscono. Chi sia Renzo Gallerati lo sanno tutti: uomo politico, ancora giovanissimo è stato sindaco della città di Montesilvano.
E’ cultore della bella musica, della Memoria, della politica intesa come servizio e, poiché politico, attesta quotidianamente il suo impegno a servizio della comunità cui appartiene.
La città di Montesilvano riconosce a lui e alla benemerita ACAF, l’Associazione Culturale Amatori Ferrovieri, il merito del forte legame con la Comunità d’appartenenza.
Ha coltivato nel tempo una grande passione: il treno. Ci ha creduto e ha realizzato, assieme ad altri cultori ferrovieri, l’allestimento del Museo del Treno dell’Adriatico. Un altro museo è di Campo Marzio a Trieste, ricco di cimeli austroungarici, adesso chiuso per restauro e valorizzazione.
L’ACAF, a sua volta, si avvale di volontari che mantengono viva la memoria di un Paese, l’Italia, che, come altri al mondo, ha conosciuto la crescita, l’evoluzione tecnologica, economica e sociale attraverso la “via ferrata”.
La ferrovia è stata, suo malgrado, testimone storico delle deportazioni degli anni ’40 nello scorso secolo, quando carri-merci, usati come “tradotte”, trasportavano uomini, donne, bambini nei lager della 2° Guerra mondiale. Ebbene nel Museo del Treno a Montesilvano sono conservati alcuni di quei vagoni.
Fra poco il Museo del Treno rievocherà il 90° anniversario del tracciato ferroviario Pescara-Penne (1929-2019), riprodotto in scala per la felice fruizione delle scolaresche invitate a visionarlo nel coevo bagagliaio DI- 90052 del Museo.
Assieme all’ACAF, l’ex sindaco commemorerà il fatidico 25 aprile 1945, anniversario della Liberazione, giorno dalla portata storica per i valori di libertà e di democrazia di cui è portatore. Con l’esposizione di due automobili, mezzi storici di Collezioni Private “Forze dell’Ordine”, si intenderà ricordare le febbrili, convulse, drammatiche ore del 25 aprile 1945, che accompagnarono la liberazione dell’Italia, a guerra quasi conclusa.
Importante e condiviso dalla città di Montesilvano è l’allestimento della Teca in vetro, che dovrebbe essere finanziato in sinergia con la Fondazione FS Italiane, la Fondazione Pescara-Abruzzo, una Multinazionale del Vetro, per la realizzazione del Museo-Auditorium coperto. La Teca in vetro sarà a protezione della storia del sito, delle radici della Comunità.

Quelle avviate da Renzo Gallerati e dall’ACAF sono tutte iniziative di ampio respiro per cui la città prova molta gratitudine. Esse valorizzano il territorio, lo rendono vivo, lo sottraggono all’incuria e al degrado, come ha osservato il Direttore Generale di Fondazione FS Italiane, l’Ingegnere Luigi Cantamessa. Inoltre rispondono pienamente alla Strategia Europea 2020, agli obiettivi per una politica di coesione, per lo sviluppo del trasporto sostenibile, dell’economia a bassa emissione di carbonio ai fini di una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva.
La valorizzazione del sito ferroviario di Montesilvano, stimolata dalle scelte di Renzo Gallerati assieme ad altri partners, ed effettuata attraverso esperienze artistiche e culturali e attraverso l’incontro fra persone, ravviva il tessuto sociale, favorisce il rispetto dell’habitat e delle strutture esistenti. Ne consegue che ogni cittadino si sentirà di proteggere e rispettare il patrimonio che gli appartiene, che corrisponde al patrimonio, alla bellezza, all’igiene della città.
Altro progetto a cuore del dottor Gallerati è l’attivazione della Navetta storica Montesilvano-Sulmona verso la “Transiberiana d’Italia”, che favorirà, attraverso un “pacchetto turistico”: Mare-Monti, la scoperta del territorio, della sua storia, dell’eno-gastronomia, delle tradizioni artigianali e popolari, passando per Roccaraso, Campo di Giove fino a Pescocostanzo.

L’INTERVISTA
D.: Lei, Dottor Gallerati, pensa che il progetto della Transiberiana d’Italia potrà partire già da quest’estate?
R.: Ci sono delle procedure da espletare, vi sono delle norme da rispettare. Abbiamo in calendario degli incontri con altri attori del progetto, in particolare con la Regione Abruzzo, nella persona dell’assessore Febbo, per il finanziamento dell’1% che le Regioni possono destinare ai progetti sui Beni Storici. I treni ci sono. Sono già stati cantierati. L’iniziativa si avvale solo in minima parte del finanziamento pubblico. Il resto si basa su sovvenzioni private. La Lombardia, il Piemonte, la Toscana, la Sicilia con il grande successo della “Ferrovia dei Templi” hanno avviato da tempo la riscoperta in chiave turistica di spettacolari linee ferroviarie italiane e di borghi ricchi di storia e di arte. “Binari senza tempo” è il grande progetto di Fondazione FS Italiane e del suo Direttore, l’ing. Cantamessa. Se per ragioni di tempo non sarà possibile inaugurare la Navetta Mare-Monti per l’estate, sarà certa per la stagione autunno-inverno.

D.: Come socio-cofondatore del Museo del Treno, Lei, dottor Gallerati ha preferito la politica dei “piccoli passi” nella valorizzazione del sito storico-ferroviario di Montesilvano. Quali altri impulsi pensa di dare al Museo nel prossimo futuro?
R.: Montesilvano ha una cronica esigenza di spazi ricreativi. Abbiamo realizzato Palazzo Baldoni con la Sala Polifunzionale, la Sala Congressi, il Museo del Treno, dove si sta svolgendo l’intervista e luogo in cui sono cresciuto. Vorremmo, su progetto dell’architetto Volpe, realizzare la Teca, struttura polifunzionale, anche in previsione del teatro, dotata di impianto fotovoltaico per l’alimentazione energetica. La Teca dovrebbe essere costruita in vetro con capriate di acciaio, grazie ai contributi della Fondazione FS Italiane, della Fondazione Pescara-Abruzzo, del Comune di Montesilvano. Sarebbe edificato là dove esisteva il manufatto ligneo che l’11 ottobre del 1943 esplose assieme ai vagoni in un’incursione aerea.

D.: L’opera interattiva “Immi” dell’artista Fabrizi, inaugurata da poco, fa pensare alla Street Art. Impreziosisce l’ingresso alla stazione e invia un messaggio di alto profilo umano e culturale che si lega al termine “viaggio” in tutte le sue accezioni. Lei pensa che i cittadini, in particolare i giovani, possano assieme al Museo del Treno, alla Fondazione FS Italiane, agli Enti locali, concorrere in un programma di valorizzazione dei luoghi circostanti la stazione? Penso a dei concorsi da bandire attraverso il mensile “Il Sorpasso” per la realizzazione di murales e/o pannelli nei sottopassi del Centro cittadino che meriterebbero anche migliore illuminazione se non delle telecamere.
R.: Certo! Possono essere realizzati pannelli, murales. Si pensi ai murales e al sottopasso di via Michelangelo a Pescara che rievocano fra l’altro la “Coppa Acerbo”.

D.: A Suo avviso e alla luce della Sua esperienza, che cosa bisogna fare per preservare il patrimonio storico-ferroviario e la grande memoria di cui è depositario, per evitarne l’oblio, com’è successo ad altri siti?
R.: Bisogna renderlo vivo. Vorrei in questo luogo momenti di incontro, di dibattito, di confronto fra giovani e con i giovani. Non è bello vedere la gioventù persa. Desidererei qui un luogo dove vedere maturare una consapevolezza, una coscienza civica, sociale. Auspicherei qui un luogo di incontro per realizzare una staffetta fra generazioni. Ricordo che sono cresciuto qui. All’età di quattro anni guardavo con stupore il Capostazione. Mi sembrava potentissimo. Ai miei occhi era l’uomo che consentiva l’apertura al mondo. Egli determinava quando far partire uomini, merci, bestiame. Il Capostazione, unico al mondo ad avere il berretto rosso, emanava l’aura di colui che faceva girare il mondo, che decideva il destino di genti che si dischiudevano al viaggio! Ho discusso due tesi in Economia dei Trasporti sulla storia della Ferrovia. Per me la ferrovia è sempre stata avvolta da un alone di romanticismo. Prima del treno vi erano il cavallo, la carrozza. A Montesilvano c’era la parte alta, dove il signorotto Delfico deteneva il Comune a casa sua. Nel 1919 le automobili erano poco più di una. Le carrozze, ossia le “vetture” trainate dai cavalli, appartenevano al notabilato latifondista locale, di provenienza teramana. Con la ferrovia arriva il mezzo di trasporto che muove le masse. La modernità e la progressiva evoluzione urbana ed economica arrivano con il treno. La città moderna nasce con l’arrivo della locomotiva. La città si è evoluta con la stazione. I giovani devono, pertanto, conoscere la storia dei loro avi e forse il Museo del Treno consente loro la scoperta di un mondo a cui pur sempre appartengono, apparteniamo tutti.

D.: La Fondazione FS Italiane ha avuto un ruolo determinante in ciò che è stato realizzato finora?
R.: La Fondazione FS Italiane è la vera Treccani della Ferrovia italiana. La Fondazione è il baluardo di una grande storia. Tutto ciò che oggi è del Museo del Treno, un giorno tornerà alla Fondazione.

D.: uale ruolo ha avuto l’Europa, secondo Lei, nella riqualificazione e nella valorizzazione dei nostri siti abbandonati?QQuale ruolo, secondo Lei, ha avuto l’Europa nella valorizzazione dei siti abbandonati?
R.: L’Europa si costruisce su relazioni e su corridoi. Si ricordi il discorso tenuto da Cavour a Palazzo Carignano, a Torino, allora sede del Parlamento Subalpino. Nell’estate del 1857 Camillo Benso, conte di Cavour, dovette difendere la costruzione del traforo del Frejus contro le critiche degli oppositori, dei detrattori. Questi ultimi sostenevano che il tunnel fosse un’opera speculativa a vantaggio delle parti coinvolte nella sua realizzazione. L’Europa si costruisce attraverso le relazioni, i corridoi e i flussi economici che per quei corridoi passano. Oggi Val di Susa vanta una preziosità ambientale. Dobbiamo tuttavia stare in quel corridoio di flussi. A molti piacerebbe che ne rimanessimo fuori per occupare il nostro posto e fare loro gli affari. Il tratto da Ancona a Pescara fu finito in due anni, dal 1861 al 1863, grazie all’inarrestabile lavoro di uomini di grande volontà. Nel ‘900 attraverso la ferrovia che collegava Londra a Bombay e che passava per Silvi, Montesilvano, Castellammare, abbiamo conosciuto la lingua inglese. Prima di allora si conoscevano solo il francese e lo spagnolo. Intorno alle primissime stazioni ferroviarie scoppiò una vivacità urbana mai vista. Arrivarono i primi opifici, le prime fabbriche, gli alberghi, i negozi. Anche i luoghi deputati all’amministrazione dei borghi iniziarono a scendere a valle, come ad esempio a Montesilvano. L’impresa fu eroica, dato il lavoro immane che comportò e la situazione da cui si partiva. Era il dopoguerra. C’era la ricostruzione.


F.to                Gabriella Toritto


Montesilvano, lì 14/04/2019