Nel 1900 la complessità del mondo onirico e delle sue funzioni trova spazio ne L’interpretazione dei sogni di Freud.
Il padre della psicoanalisi attribuisce al sogno il valore di desiderio inconscio inespresso, una sorta di flusso di
coscienza che funge da materiale onirico durante la fase REM del sonno.
Il sogno diventa così un prodotto psichico individuale, dotato di un significato nascosto da elaborare; è la forma “altra” del proprio vissuto che avviene anche durante la veglia.Lo psicanalista Jung definisce “grandi sogni” quelli di cui enfatizza la caratteristica di porsi come vere e proprie premonizioni. L’Uomo, fin dai tempi più antichi, si è interrogato sul significato del sogno e lo ha vissuto come un fenomeno importante tanto quanto la realtà quotidiana, illuminante la stessa realtà quotidiana. Se, come si crede, alcune immagini, a noi pervenute da tempi remoti, dalla Preistoria, fossero di origine onirica, le grotte di Lascaux, in Aquitania, rappresenterebbero una testimonianza di attività onirica risalente addirittura al Paleolitico superiore.
Nel Medioevo, e in modalità diverse anche nell’Umanesimo, la visio in somniis, costituisce un topos, un meccanismo retorico e narrativo in grado di conferire validità a un episodio. Altri tòpoi sono:
•il locus amoenus (Bucoliche Virgiliane) o locus horridus (l’ Inferno dantesco o il VI° libro dell’Eneide);
•il saluto salvifico della donna amata;
•il viaggio (Odissea, l’Eneide, Commedia)
Il sogno è, insomma, un fenomeno appartenente al mondo del divino, dell’oltre-uomo e, come tale, deve essere considerato attraverso rituali e tecniche di interpretazione ad opera di ministri del culto. Il primo approccio ai sogni di natura organicistica, con ampio spazio lasciato alla descrizione dell’anatomia umana ed al momento onirico inteso come atto cognitivo, si deve al filosofo Artemidoro di Efeso, autore, nel II secolo d.C., dell’Oneirocritica. Un attento studio del sogno, analizzato sullo sfondo della Commedia, fa scorgere non solo la definitezza dei significati espressi attraverso il mezzo onirico, ma anche gli stretti legami esistenti tra il sogno e il contesto poetico di cui è parte.Il sogno appare spesso nella Commedia come profetico. I più noti esempi sono i tre sogni premonitori che Dante fa sul monte del Purgatorio prima dell’alba, secondo la credenza dei pensatori antichi e medievali, in base alla quale si riteneva che i sogni fatti al mattino fossero maggiormente corrispondenti al vero. Così l’autore si scopre vero e proprio “uomo del suo tempo”, poiché sono molti gli elementi del mondo medievale introdotti nei suoi testi; basti pensare che Dante nel passaggio dall’Antipurgatorio al Purgatorio si serve proprio di questo espediente, non solo per dare una svolta alla scrittura ma anche per sottolineare il passaggio in un contesto diverso, ovvero l’ingresso nel Purgatorio. Il concetto di sogno per Dante non è sempre positivo, talvolta è risolto negativamente. Il “sogno” ha da sempre fascinato l’uomo per il suo potere arcano. Il “sogno” viene testimoniato e descritto per la prima volta nell’antico Oriente e più esattamente nella biblioteca del Re Assurbanipal in Ninive, dove nel 1853 archeologo assiro Hormuzd Rassam scopre l’Epopea di Gilgamesh su una serie di tavole di argilla, incise con caratteri cuneiformi e risalenti al 2600 a.C. Nel 1870 l’Epopea di Gilgamesh è tradotta in inglese dall'assiriologo George Smith ed è oggi conservata nel British Museum di Londra. Nell’epopea si racconta che Gilgamesh, re di Uruk, incontra nel sogno il semidio Eabani-Enkidu, suo gemello. E’ interessante notare come la descrizione dell’attività onirica venga associata ad una testimonianza oniromantica (interpretazione-significato divinatorio). Il passo ricorda il rito della Incubazione, consistente nell’addormentarsi in un templum – un luogo sacro – per provocare un sogno di alto valore simbolico.
La visione e il sogno nel Medioevo e nell'antichità.
Sacrale e profetica è invece l’atmosfera che circonda l’attività onirica nella Bibbia: celeberrimo è l’episodio di Giuseppe che interpreta il sogno del Faraone come un segno inviato direttamente da Dio. La visione e il sogno nel Medioevo e nell'antichità.
Nell'Antico Testamento esistono interpreti della volontà divina come Giuseppe, Gedeone, Samuele ecc.. Essi hanno la capacità di leggere i segni del volere divino anche attraverso i sogni, ma gli stessi interpreti devono esserne ispirati. Il sogno è insomma un veicolo di valori, una matrice di sistemi mitici, come pure di modelli artistici. È “significativo che nelle culture tradizionali ed arcaiche, anche ove il sogno non sia in sé guardato come speciale dono spirituale, lo è invece la sua interpretazione”, poiché il sogno è portatore di destino individuale. Ma che cos’è veramente il sogno? Il sogno è un fenomeno psichico. E’ un evento che riguarda la psiche. Il termine “psiche” si trova per la prima volta in Omero, associato all’anemos – il soffio vitale. L’idea sfumata della psiche come anima si protrae nella storia finché all’anima non viene associata addirittura la sfera dell’etica: già in Omero i morti non possono essere toccati poiché la loro coscienza è di natura non materiale. E’ solo con il Cristianesimo e con il valore dell’Io nell’esperienza numinosa individuale, che il concetto di anima si trasforma nell’unico elemento che ha valore per l’Uomo, in quanto l’uomo è l’unico dotato della qualità dell’infinitezza, al pari di Dio.
Il processo di desacralizzazione del sogno inizia nel mondo occidentale con le riflessioni di Cartesio, quando si comincia a vedere la visione onirica come illusoria. Il sogno ha sempre avuto valore di presagio, con un ventaglio di interpretazioni che vanno dalla morbosità allucinatoria alla rivelazione divina del futuro.
Il modo in cui si organizza la vita materiale e sociale ha sempre riflessi sul modo in cui gli uomini pensano e si rappresentano la realtà.
Nel caso della civiltà medievale la struttura sociale gerarchica, statica e l’economia chiusa, che ignora lo scambio, trovano un evidente corrispettivo in una visione prettamente stabile della realtà intera. Tale visione è permeata profondamente dalla religiosità cristiana che domina la civiltà medievale. L'ordine del creato, in quanto provvidenziale e voluto da Dio, è ritenuto perfetto e immutabile. Nel Medioevo, tuttavia, essere cristiani non significa alla lettera avere la stessa fede, credere cioè alle stesse cose, ma piuttosto partecipare alla medesima atmosfera mentale, condividere la stessa visione del mondo. Dunque l'elemento che accomuna tutti gli uomini del Medio Evo è la religiosità, tanto che Marc Bloch, storico francese, li definisce un "popolo di credenti". - “Popolo di credenti, si dice volentieri, per caratterizzare l’atteggiamento religioso dell’Europa feudale. Se si intende dire così che qualsiasi concezione del mondo da cui fosse escluso il soprannaturale restava profondamente estranea agli spiriti di quell’epoca; che, più precisamente, la loro visione dei destini dell’uomo e dell’universo si inscriveva quasi unicamente nel disegno tracciato dalla teologia e dall’escatologia cristiana, nelle loro forme occidentali, nulla di più esatto.” - Certamente tipica di tutto il Medio Evo è una visione metafisica del mondo: "Tutto è permeato dalla religione", come sostiene lo storico Hauser. L'uomo del Medio Evo, quindi, avverte profondamente il rapporto col soprannaturale per cui il mondo sensibile-visibile è permeato di spirituale ed è sempre posto a confronto con quello invisibile, anzi il mondo terreno è considerato il segno e il riflesso del mondo spirituale. I confini tra il sogno e la realtà sono molto sfumati: visioni, miracoli e apparizioni sono fenomeni comuni con cui l’uomo medievale convive quotidianamente. 14. La verità ultima è solo in Dio e l'uomo su questa terra può solo avvicinarsi ad essa, coglierne un'ombra o un riflesso, mai afferrarla interamente. Come già San Paolo scrive nella 1° Lettera ai Corinzi:" Videmus nunc per speculum in aenigmate, tunc autem facie ad facies”. (Ora vediamo come in uno specchio oscuro, ma allora vedremo faccia a faccia).
Il modo in cui si organizza la vita materiale e sociale ha sempre riflessi sul modo in cui gli uomini pensano e si rappresentano la realtà.
Nel caso della civiltà medievale la struttura sociale gerarchica, statica e l’economia chiusa, che ignora lo scambio, trovano un evidente corrispettivo in una visione prettamente stabile della realtà intera. Tale visione è permeata profondamente dalla religiosità cristiana che domina la civiltà medievale. L'ordine del creato, in quanto provvidenziale e voluto da Dio, è ritenuto perfetto e immutabile. Nel Medioevo, tuttavia, essere cristiani non significa alla lettera avere la stessa fede, credere cioè alle stesse cose, ma piuttosto partecipare alla medesima atmosfera mentale, condividere la stessa visione del mondo. Dunque l'elemento che accomuna tutti gli uomini del Medio Evo è la religiosità, tanto che Marc Bloch, storico francese, li definisce un "popolo di credenti". - “Popolo di credenti, si dice volentieri, per caratterizzare l’atteggiamento religioso dell’Europa feudale. Se si intende dire così che qualsiasi concezione del mondo da cui fosse escluso il soprannaturale restava profondamente estranea agli spiriti di quell’epoca; che, più precisamente, la loro visione dei destini dell’uomo e dell’universo si inscriveva quasi unicamente nel disegno tracciato dalla teologia e dall’escatologia cristiana, nelle loro forme occidentali, nulla di più esatto.” - Certamente tipica di tutto il Medio Evo è una visione metafisica del mondo: "Tutto è permeato dalla religione", come sostiene lo storico Hauser. L'uomo del Medio Evo, quindi, avverte profondamente il rapporto col soprannaturale per cui il mondo sensibile-visibile è permeato di spirituale ed è sempre posto a confronto con quello invisibile, anzi il mondo terreno è considerato il segno e il riflesso del mondo spirituale. I confini tra il sogno e la realtà sono molto sfumati: visioni, miracoli e apparizioni sono fenomeni comuni con cui l’uomo medievale convive quotidianamente. 14. La verità ultima è solo in Dio e l'uomo su questa terra può solo avvicinarsi ad essa, coglierne un'ombra o un riflesso, mai afferrarla interamente. Come già San Paolo scrive nella 1° Lettera ai Corinzi:" Videmus nunc per speculum in aenigmate, tunc autem facie ad facies”. (Ora vediamo come in uno specchio oscuro, ma allora vedremo faccia a faccia).
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