mercoledì 11 marzo 2009

Il Viceré

Papero era un promettente costruttore di pollai. In breve tempo, aiutato da soci ed amici, era divenuto ricco e potente.

I suoi poderi si estendevano per tutto il contado e i suoi affari crescevano di giorno in giorno finché tutti lo chiamarono Zio Papero per ingraziarsi le sue simpatie e la sua benevolenza.
Papero, oltre che i soldi, amava le giovani papere. Ce n’era una molto carina, una ballerina del Pip Pap, che finì per sposare. Il suo nome era Papavera. Aveva soffici piume bionde e deliziosi occhi cerulei. Lo fece proprio innamorare e gli diede dei paperotti.

La famiglia cresceva felice e zio Papero veniva applaudito da tutti. Aveva molti fans e tutto procedeva a suo favore.
Trascorsero alcuni anni e zio Papero non era più costruttore. Lui sì che aveva avuto successo! Ora era un gran papavero, blasonato e rispettato, che sedeva nel Gran Consiglio di Paperopoli. Divenne in breve Viceré.

Anche i suoi soci ed amici erano ben sistemati! Ognuno di loro aveva un incarico importante.
Frattanto nel contado si addensavano nubi oscure. I tempi erano divenuti duri. Si rimpiangevano quelli in cui circolava tanta ricchezza!!!
Vi era stata una grave epidemia che aveva mietuto vittime. Anche i contadini stavano soffrendo. Il raccolto era scarso. Un’ondata di gelo aveva danneggiato le colture.
I paperi non ne potevano più, mentre il Gran Consiglio restava indifferente alle loro istanze.

Accadde che un giorno i paperi del contado organizzassero una manifestazione:
“Qua, qua, qua … Vogliamo condizioni di vita migliori!”. “Qua, qua, qua … Vogliamo tutelare i nostri figli!”. “Qua, qua, qua ….Vogliamo lavorare …”. E sfilarono tutti sotto le finestre del Gran Consiglio di Paperopoli.
I Consiglieri, di tutta risposta, ordinarono ai poliziaperi di disperdere con forza i manifestanti. Fu così che i poliziaperi caricarono contro i paperi del contado. Vi furono contusi, feriti e ci scappò anche il morto.

Il dolore fu grande. Il silenzio piombò sul contado e su Paperopoli. Ma la rabbia covava negli animi e non passò molto tempo prima che i paperi organizzassero una rivolta.
Sfilarono ancora sotto le finestre del Gran Consiglio: “Vogliamo mangiare! Qua, qua, qua …” “Vogliamo vivere! Qua, qua, qua …” “Vogliamo un futuro migliore! Qua, qua, qua …” E ancora una volta i poliziaperi caricarono contro di loro.

Questa volta però i paperi erano pronti e preparati a tutto. Si difesero e resistettero alla carica. Circondarono il Palazzo del Gran Consiglio e lo espugnarono. Chiesero quindi di parlare con il Viceré, quell’ardito papero che un tempo lontano razzolava con loro nel contado.

Questi ricevette una delegazione nell’intento di negoziare la resa: “Dunque a che cosa si deve questa rivolta?” – chiese minaccioso ed arrogante – “Forse che non avete di che vivere? Qua …qua!” Un giovane papero, disperato, rispose: “Le nostre famiglie sono stremate. I nostri figli sono senza pane e senza futuro. Non possiamo più tollerare tutto ciò! Vogliamo vivere! E’ giusto che la vostra sconfinata ricchezza sia ridistribuita, poiché costruita sull’inganno e con le frodi!” Il papero Viceré, infuriato: “Come osi, tu, qua, qua, qua, parlarmi così! …Qua, qua, qua … Guardie, prendetelo e uccidetelo!” Ma era tardi. Il Viceré non esercitava più alcuna autorità. Era ormai spodestato, le sue guardie inermi. Fu invece lui ad essere catturato dai paperi insorti, che, occupato il Palazzo, issarono una nuova bandiera, quella della libertà e della dignità dei paperi.

Libertatem afferunt

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