martedì 17 marzo 2009

Gabriella Toritto: curriculum


E’ nata a Chieti www.comune.chieti.gov.it. Ha insegnato Lettere nelle Scuole Medie e Superiori.
Sua madre, di Tollo (CH), assieme all’intera parentela e ad altri compaesani, fu rastrellata, durante il fascismo, dai  tedeschi. 
Nella notte del 13 dicembre 1943 l’intera sua parentela fu costretta dai tedeschi allo sfollamento su  carri bestiame. 
Le piace scrivere, leggere e disegnare. 
Si è laureata a pieni voti a Roma, www.comune.roma.it, dove si è formata presso l’Istituto "Asisium" delle Suore Francescane Missionarie del S. Cuore di Gesù, a Grottarossa www.asisium.it .
Sempre a Roma negli anni 1995/98 ha conseguito i Diplomi 1°-2°-3° livello, quale applicatrice del Metodo di apprendimento mediato P.A.S.- del Professor Reuven Feuerstein, c/o l'IRFED Nazionale di Roma, autorizzato dal M.P.I. www.studiofeuerstein.it › cose-il-metodo-feuerstein 
E’ stata conduttrice di programmi culturali presso network locali.
E’ stata formatrice della Fondazione Il Battello a Vapore - Milano www.battelloavapore.it- in corsi di "Lettura ad alta voce" nell'ambito di progetti formativi per Docenti della Scuola dell’Infanzia e Primaria.
Ha ideato ed organizzato, quale Referente della Consulta Provinciale degli Studenti, dell’Educazione alla Salute e dell’Intercultura, Convegni, Seminari e Azioni, fra cui:
- il Convegno del 17 gennaio 2008 “Legalità e Dignità. La legalità a garanzia e tutela dei diritti dell’uomo e del cittadino” con la partecipazione della Senatrice,  Prof.ssa Rita Levi Montalcini, e della Professoressa Maria Falcone, www.csachieti.it 
- il Convegno del 19 marzo 2009 “Apprendistato alla vita – Etica, Intercultura e Costituzione nell’Italia che cambia”www.csachieti.it 
- il Seminario di Studio e Produzione - 16 e 17 marzo 2006
-il Convegno “Progetto Vita” - 8 maggio 2006 - special guest  il Prof. Fabio Folgheraiter - Editrice Ericksonwww.csachieti.it
-la Tavola Rotonda sulla Costituzione italiana, promossa dalla Prefettura e dalla Provincia di Chieti, Settore Politiche Sociali, 21 dicembre 2008, presso il Teatro Marrucino, www.teatromarrucino.eu, Chieti;
- il Convegno “Stop al Bullismo” per la promozione dei diritti dell’Infanzia – 20 novembre 2008, Giornata mondiale per i Diritti dell’Infanzia, promossa dal Comune di Lanciano,  www.comune.lanciano.chieti.it
E’ redattrice del mensile “Il Sorpasso” di Montesilvano:  ilsorpassomts.com
Fra le altre sue pubblicazioni:
- su "Il Monitore" - Rivista di Scuola, Cultura e Arte, Anno XXXVIII n. 2-3 settembre 2004 "La riforma e i percorsi formativi personalizzati"
- su "Il Monitore" Anno XXXVIII n. 4 dicembre 2004 "La lettura precoce. Il piacere della lettura"
-su "Il Monitore" Anno XXXIX n. 1 febbraio 2005 "La lettura dell'immagine"
- su "Il Monitore" Anno XXXX n. novembre 2003 “L’orientamento, quale prassi didattica”
- (a numero unico) "50° Anniversario della fondazione della Scuola" del Pontificio Istituto Maestre Pie Filippini di Pescara
- sul “Foro Teatino”, Chieti, ottobre 2008 – anno VII – n. 3 e sul sito www.csachieti.it  Rapporto sulle azioni relative all’organizzazione del Convegno “60° Anniversario della Costituzione Italiana” dell’ 8 ottobre 2008.
- su “Rassegna dell’Istruzione” del Ministero Istruzione, Università e Ricerca – Numero 1-2 del 2008 - “Valori, comportamenti, pratiche giovanili”, www.rassegnaistruzione.it/rivista/index.html
Ha prestato, come docente esperta, attività di libera docenza nell’ambito di diverse attività formative presso l'Università degli Studi "G. d'Annunzio" di Chieti-Pescara www.unich.it e l'Università di Teramo www.unite.it.
Dagli a.a. 2009/2010 ad oggi presta attività di libera docenza presso l'Università della Terza Età di Pescara, Associazione Cultura e Terza Etàwww.utepescara.it, e nel Circolo della Musica, della Letteratura, dell’Arte e delle Scienze Sociali di Pescara.
Ha frequentato i corsi e sostenuto esami presso l’Istituto Teologico “G. Toniolo” di Pescara negli aa.aa. 1978-83.

Si è adoperata nel Sociale, svolgendo volontariato presso la Divisione Cardiologia-UTIC dell’Ospedale Civile di Pescara e presso la Caritas Diocesana.    

mercoledì 11 marzo 2009

Scenari educativi

Intervento alla Settimana Pedagogica dell’Istituto Comprensivo Torricella Peligna (CH) Sabato, 5 luglio 2008
“Scuole A…per…Te… nessuno escluso”
Tavola Rotonda
1° Parte
Inizierò il mio intervento citando due situazioni che negli ultimi tempi mi hanno particolarmente colpita.
1. Contro la TV spazzatura gli studenti dell’Università “S. Raffaele” di Milano hanno da poco realizzato una campagna pubblicitaria “Miglioriamo la qualità della TV” a mio avviso significativa ed emblematica della condizione dell’uomo post-moderno, dunque anche dello studente di oggi. Basta consultarne il sito per apprezzare come sinteticamente, attraverso pochi script, gli universitari della Facoltà di Scienze della Comunicazione abbiano espresso l’evoluzione darwiniana dell’uomo in poche immagini, dagli ominidi, ovvero australopitechi, all’Homo neanderthalensis , all’homo habilis, all’homo erectus, al sapiens, al sapiens sapiens, o modernus con bibita e cannuccia in mano, non più troppo erectus, un po’ “ricurvus”, al post-modernus, obeso, impoltronito, passivo davanti ad una TV matrigna, ex maestra, ex artista, ex amica, con l’head line (slogan) che recita: ‘Che programmi avete per domani?’”…Dunque dall’evoluzione all’involuzione. Dall’esplosione delle grandi potenzialità all’implosione.
L’imbarbarimento della tv è speculare della società corrente. I giovani di oggi sono i figli della società da noi prodotta.
2. Due mesi fa, sfogliando un quotidiano, nelle pagine di cronaca locale, una foto, un nome, O …, e.. il ricordo di un mio alunno di una 1° media di diversi anni fa. Un tragico incidente a 18 anni. Il mio alunno, il “gigante buono”, così lo definivano nel quartiere, non c’è più. Attonita, dopo qualche istante di smarrimento, pensando anche al dolore della famiglia, mi sono chiesta “Come mi sono comportata con O.?”, “Che cosa ho fatto per lui?”
Venti giorni fa le notizie serali del TG regionale. Lo speaker informa su un inseguimento serrato delle Forze dell’Ordine contro due giovani per una rapina ai danni di una oreficeria. Due nomi, due foto segnaletiche mandate in onda. Una di esse attira la mia attenzione. Resto incredula: è L ..., mio alunno alle superiori. Anche lui ha da poco compiuto 18 anni. L., giovane capace, sensibile, ora è in carcere. Un suo elaborato scritto, testo descrittivo (scelse di descrivere una sua compagna, amica) fu valutato 7.1/2 per capacità espressiva, espositiva, per sensibilità di contenuti, per correttezza morfologica e sintattica. Letto dal Dirigente e da altri Docenti l’elaborato di Luca fu molto apprezzato.
Dov’è ora quel giovane? … Quella mente, quella sensibilità dove sono? Sono disperse. Quando ho iniziato ad insegnare a L., egli era già stigmatizzato. Nessuno lo diceva apertamente, ma si capiva che lo consideravano come irrecuperabile. Così è stato. Eppure a vederlo non si sarebbe detto. Certo aveva momenti in cui si chiudeva troppo in sé. Evidentemente nascondeva qualche segreto… Anche O. era stigmatizzato, sebbene allora fanciullo undicenne. Non nascondeva alcun segreto. E quali segreti può avere un bambino di undici anni? Forse non stava bene ed aveva bisogno di un bravo specialista. Forse era già seguito da un medico. Ricordo che era arrivato dalle scuole elementari già con lo stigma. Poi si parla di continuità …Quale?
“Faber est suae quisque fortunae”, sosteneva in una sua epistola Sallustio. Ma non è proprio così. Gli incontri incidono nella nostra esistenza. Dunque una buona scuola, dei bravi insegnanti, dei bravi compagni pesano sul nostro destino. … Non si parla forse di compagni di viaggio? Ebbene, se si hanno dei bravi compagni di viaggio ci si può ritenere superfortunati. Altrimenti la propria esistenza è segnata.
La mission della scuola, il suo compito, il suo dovere morale sono INCLUDERE, non STIGMATIZZARE. Lo stigma prelude l’esclusione, l’esclusione la dispersione, la dispersione comporta la negazione di ogni valore di civiltà, di sviluppo e di progresso... Il prezzo sociale da pagare poi è “salatissimo”. Quello morale è sotto gli occhi di tutti.
Pensando a O., pensando a L., ai miei due sfortunati alunni, mi è tornato in mente quando Papa Giovanni Paolo II, rievocando Galileo Galilei, chiese scusa alla scienza e quando, davanti al muro del pianto di Gerusalemme, chiese scusa al mondo ebraico nell’intento di esprimere un’autentica volontà di riconciliazione. Il parallelo non è poi così irriverente se si crede nella sacralità della persona.
Forse la scuola, nonostante il discredito sociale in cui versa e il mancato riconoscimento di tante eccellenti professionalità e dello spirito missionario che anima ancora molti, dovrebbe chiedere anche essa scusa ai tanti giovani che ha mortificato, giovani di cui non ha saputo riconoscere i talenti, le vocazioni, le inclinazioni, tutti carismi dispersi.
Di errori, a mio avviso, ne sono stati commessi tanti, alcuni sono risultati fatali.

Ma la scuola da sola non può farcela, così come la stessa famiglia, da sola, non ce la fa. I bambini, i giovani crescono bombardati da una molteplicità di input provenienti dalle tante informali agenzie pseudo-educative, pseudo-formative che pullulano alla ricerca del facile “arruolamento” di facili e fragili consumatori che si danno, anima e corpo, in pasto, pur di apparire. E non importa dove, come e con chi.
Ancora. Seppur unite, scuola e famiglia arrancano. Occorrono anche le Istituzioni. L’ASL. Il medico, lo specialista, lo psico-terapeuta, devono tornare a scuola.
Gli Amministratori devono assumere anch’essi, come missione, come servizio alla comunità, il ruolo cui sono preposti.
Occorre la Rete di figure valoriali adulte. Quella Rete in cui molti di noi sono cresciuti, accolti e protetti. La grande famiglia. I parenti. La solidarietà delle piccole comunità dove tutti si conoscevano, dove tutti hanno concorso, da veri tutori, alla crescita di virgulti riottosi, insubordinati, a volte troppo vivaci.
Se ciascuno di noi concepisse la propria esistenza come impegno, come servizio, e non come vissuto goliardico ed epicureo, allora, forse, il cammino dell’uomo procederebbe costruttivo. Gli stessi giovani avrebbero modelli viventi cui riferirsi, ne apprezzerebbero la fatica, l’impegno.
Si parla molto attualmente di emergenza educativa. Questa è legata proporzionalmente alla crisi che coinvolge l’adolescenza e la giovinezza. Siamo di fronte a giovani abbandonati a loro stessi, nell’indifferenza generalizzata, nella debolezza della vita affettiva, nella povertà degli scambi, delle relazioni, in solitudine, nella perdita di fiducia nelle istituzioni e nei valori tradizionali, nella precarietà della formazione che non assicura più il loro futuro. Da tali difficoltà scaturisce un sentimento individuale e collettivo d’angoscia e di insicurezza, di dipendenza economica prolungata, in contrapposizione ad una maturazione biologica e culturale precoce.
Tornando alle agenzie educative, ad esempio alla TV ex maestra, ex artista, ex amica, oggi perfida matrigna che, parafrasando G. Leopardi, “non mantiene ciò che promette allor”, possiamo considerare di espugnarla usando il “cavallo di Troia”, il quale altro non è se non la conoscenza di come essa nasce, di come viene “montata”.
Ruolo del maestro è, dunque, non tanto denunciare, quanto far conoscere i modi di produzione della cultura mediatica; dimostrare come il trattamento delle immagini, specialmente attraverso il montaggio, possa dare un’impressione arbitraria della realtà; commentare le trasmissioni seguite dagli allievi, pur curando la trasmissione dei saperi.
Si potrebbe partire dal commento di serie televisive per rimandare alle opere dei classici, poiché le prime, come le seconde, si nutrono degli amori, degli odi, delle speranze, delle aspirazioni, delle disperazioni dell’uomo; traggono spunto dalle paure, dalle ossessioni dell’esistenza umana di tutti i tempi.
Ora la narrazione di tali argomenti affascina i giovani, come gli adulti, poiché la narrazione ha affascinato dalla notte dei tempi. Ognuno di noi, attraverso la risonanza emotiva, le evocazioni delle narrazioni, vive un processo di immedesimazione. Pertanto il racconto, la narrazione non vanno disdegnate. Costituiscono un importantissimo tassello nel processo di costruzione del Sé. Nel mondo ebraico il capo famiglia spessissimo rievoca, narra il passato della propria gente, la storia della propria famiglia. Il racconto, la narrazione diventano così un vero e proprio rito, che conferisce identità, memoria, intimità che rinsalda i vincoli. Anche nelle corti medievali la narrazione veniva fatta per rinsaldare i vincoli di amicizia.
Senza la costruzione del Sé, senza l’identità di Sé ci sono i disturbi della personalità.
Vale la pena, a proposito, ricordare Peter Pan, il quale, per convincere Wandy a tornare con lui nel “Paese che non c’è”, le dice che lì potrebbe insegnare ai “bambini smarriti” a raccontare storie. Infatti se le sapessero raccontare, potrebbero crescere, imparerebbero a crescere.
L’invezione narrativa stimola fra l’altro l’immaginazione, il pensiero divergente. Morin, Bruner, Gadner danno grande importanza alla cultura umanistica, alla lettura dei classici, che sono riusciti a spiegare l’affanno umano, la fatica di vivere.
Narrare, conoscere storie, miti, strutturano e nutrono l’identità di persona.
Un sistema educativo, una teoria pedagogica, un indirizzo politico-nazionale di ampio respiro, che sottovalutano il contributo della scuola allo sviluppo dell’autostima degli alunni, falliscono in una delle funzioni primarie, falliscono come agenzia formativa a vantaggio di una miriade di agenzie “antiscuola”, dove molti giovani si rifugiano per compensare il fallimento vissuto a scuola.
Le “agenzie antiscuola” sono bande di “micro-criminalità” che rinfoltiscono le loro fila con adolescenti alla ricerca della propria identità e del rispetto dei pari. Gli esiti di tale concorrenza sono evidenti negli USA, dove vengono alienati abbastanza ragazzi neri da sbarcarne un terzo in prigione prima dei trent’anni. Da noi la situazione sociale fa presagire uguale destini se non si corre ai ripari.
Se la capacità d’azione (saper fare) e la stima (saper essere) sono essenziali per la costruzione del concetto di Sé, allora il funzionamento del sistema scolastico va esaminato anche in funzione del contributo dato a queste due componenti essenziali della personalità.
Sono da valorizzare una maggiore partecipazione e corresponsabilità nella scelta e nel raggiungimento degli obiettivi in tutti gli aspetti delle attività scolastiche.
E’ urgente allora implementare il diritto alla cittadinanza attiva. Tale concezione, cara alla tradizione progressista in campo educativo, è in linea con il principio costituzionale secondo cui, in una democrazia, diritti e responsabilità sono due facce della stessa medaglia.
Bruner sostiene che in molte culture democratiche ci si preoccupa troppo dei criteri formali del “rendimento” e degli aspetti burocratici dell’istruzione, in quanto istituzione, tanto da trascurare l’aspetto personale dell’educazione. Anche Morin, come Bruner, rivaluta l’importanza della cultura umanistica, in particolare della narrazione, del romanzo. Laddove vi è una storia insufficiente, incompleta, inadeguata su se stessi, nasce, si sviluppa una nevrosi. E’ probabile che la narrazione abbia la stessa importanza e funzione per la coesione della cultura quanto per la strutturazione di una vita individuale, personale.
Sentirsi a proprio agio nel mondo, sapendo dove collocarsi in una storia autodescrittiva, oggi è reso ancor più difficile dai flussi migratori.
Un bambino, un ragazzo, che arriva da Tunisi a Milano con la famiglia, è letteralmente sradicato, disorientato e, per quanto multiculturali siano gli intenti degli operatori scolastici, il fallimento dell’integrazione sarebbe certo se non intervenissero le associazioni del territorio in grado di aiutare l’immigrato, di sostenerlo, di riempire il vuoto venutosi a creare nella sua esistenza.
Ma perché la narrazione sia strumento della mente, capace di dare significato, bisogna leggerla, farla, analizzarla, sentirne l’utilità.
L’affabulazione, la narrazione, la lettura, la rappresentazione teatrale sono importanti tanto per il bambino, quanto per l’adolescente, per quel ragazzo che cresce, ma che non vuole crescere, che ha paura di crescere, che sospende i legami affettivi con la famiglia, con i genitori, che contesta, per costruire una sua nuova identità. Dirò di più. Proprio nella fase di crescita evolutiva in cui l’adolescente vive un “lutto”, quando “disprezza” l’infanzia, la famiglia esterna, il corpo, proprio allora, la lettura, la narrazione, l’immedesimazione teatrale possono aiutarlo a proiettare e a dissolvere le sue turbolente conflittualità. Così il libro, la narrazione, il teatro diventano luogo privilegiato all’ascolto, momento di sospensione del giudizio, momento cui aggrapparsi al risveglio al mattino.
La scuola che non tiene conto della psicologia dell’età evolutiva e del dolore inconscio provato dall’adolescente nel distacco dall’infanzia è una scuola decontestualizzata. La scuola che non tiene in conto un’ospedalizzazione infantile, una malattia infantile, un lutto è decontestualizzata. Una scuola che non tiene in debita considerazione di come e quanto siano cambiate l’infanzia e l’adolescenza di oggi, rispetto a quelle passate, è decontestualizzata.
I tempi e i ritmi dei nostri ragazzi sono notevolmente accelerati, i campi di interesse anticipati. Lo si comprende attraverso lo studio dell’editoria per l’infanzia, per l’adolescenza e dalla produzione libraria ad esse dedicate.
E’ innegabile che la TV abbia contribuito non solo ad anticipare i campi di interesse, spingendo il/al consumismo, ma ha anche accelerato la rapidità di apprendimento. Come? Oggi gli spot pubblicitari, seppur brevi, hanno già una story-board. I bambini di quattro anni sono ormai allenati, grazie ad essi, a capirne la truttura narrativa, se non ad anticiparne le sequenze. 60 anni fa la struttura narrativa veniva appresa forse in terza elementare, quando era ormai sviluppata una certa libertà nella capacità di lettura.
Ma tempi, ritmi accelerati, campi d’interesse anticipati ci ricordano l’iperattività, la superficialità, la tensione nervosa che distingue le giovani generazioni, rendendole spesso ”non-scolarizzate”. Un antidoto, una buona terapia, che consenta loro di recuperare ritmi più sostenibili, può essere costituita proprio dalla narrazione, dal teatro, dove tempi e luoghi fisici vengono annullati per divenire onirici.
Tuttavia la lettura, la narrazione, la drammatizzazione non vanno confusi con gli obiettivi didattici, essi sono, un traguardo di crescita, un dono, uno scambio, l’offerta di un’intimità. Inoltre costituiscono un’esperienza estremamente fisica, corporea, poiché protagonista non è solo la voce ma tutto il corpo. Corporea è la voce, corporeo è l’orecchio che ascolta. Con l’esperienza della narrazione, del teatro avvengono il contatto, la comunione, la relazione fra anime per partecipare di uno stesso segreto. E quale migliore esperienza per giovani e bambini così tanto soli? Nel contempo comporta anche qualche rischio poiché ci si mette in gioco, tutti, tanto chi narra, legge, recita, quanto chi ascolta.
E’ auspicabile quindi un cambiamento misurato che rinnovi un sistema come la scuola, da sempre istituzione che insegna ma che non apprende, in quanto organismo che più di ogni altro si manifesta resistente alle innovazioni, forse perché essa, la scuola, è luogo deputato alla memoria, alla tradizione. Di qui probabilmente il disagio dei giovani che avvertono di essere incompresi.
Oggi è necessario che la scuola, riscopra la vocazione per cui è nata: l’eplorazione, la ricerca, la proiezione nel futuro, forte degli strumenti trasmessi dalla tradizione.
Gardner in “Sapere per comprendere” sottolinea come negli ultimi anni i progressi della scienza e della tecnica siano stati esponenziali. A fronte di tale rivoluzione copernicana, la scuola è rimasta quasi come quella di un secolo fa: prevalenza della lezione frontale nella didattica, esercitazioni scritte, attività decontestualizzate.

Nerino e Bubo, il gufo reale

C’erano una volta tanti gatti, tutti diversi e sparsi per la campagna. Ognuno aveva la sua famigliola e viveva in grande solitudine.
La campagna era triste e silenziosa, soffriva perché i suoi abitanti si amavano poco. Si amavano poco forse perché erano tutti così diversi!
C’erano i gatti Rossini, c’erano i Nerini, c’erano anche gli Albini e gli Arancini. Si conoscevano a mala pena e se si incontravano accennavano un fioco “Miao! Miao …”, quasi da non sentirsi. I gattini invece si facevano le fusa e avrebbero volentieri giocato attraverso i prati in fiore. Era infatti primavera e le belle giornate e i ruscelli, pieni di neve sciolta, invitavano alla vita. Ma papà e mamma gatto non volevano che i loro piccoli avvicinassero quelli dei vicini. Si raccontava, infatti, che in un tempo molto lontano un gattino di nome Bluino fosse sparito nel nulla. Inutili le ricerche, di Bluino non si seppe più nulla.
Così i gatti avevano proprio un gran terrore a lasciare incustoditi i propri piccoli.
Un mattino, mentre papà e mamma gatto dei Rossini e dei Nerini facevano la spesa, i gattini iniziarono a scherzare, quindi a nascondersi per poi rincorrersi nei campi fino ad allontanarsi.

“Nerinoooooo!!!”, “Nerinaaa …!!” – gridavano papà e mamma Nerini, sperando di riabbracciare subito i loro piccoli.
“Rossinaaaa!!!”, “Rossinoo …! “– dicevano a gran voce i genitori Rossini, fiduciosi di trovare i propri cuccioli fra le bancarelle del mercato! Così non fu.
Anche i gattini avrebbero voluto tornare dai genitori ma avevano perso la strada e non sapevano più che cosa fare.
Nerino, il più grande dei quattro, studioso e diligente, sapeva tante cose e si sentì responsabile dell’accaduto. Tra sé e sé rifletté che avrebbe fatto l’impossibile per riportare i gattini sani e salvi a casa.
Intanto le due famiglie solidarizzarono e chiesero aiuto ai vicini per ritrovare i figli.
I gatti Rossini pensavano: ”I Nerini sono gatti attenti ed assai educati!” I Nerini, a loro volta, dichiaravano: “La famiglia Rossini è tanto a modo!” Anche gli Arancini e gli Albini, venuti a conoscenza del fatto, manifestarono partecipazione ed offrirono ogni tipo di collaborazione.
Papà Rossini, amareggiato, addolorato, confidò: “Dovevano sparire quattro gattini affinché noi adulti parlassimo e ci guardassimo negli occhi? Se i nostri figli avessero avuto tempi e spazi per giocare non sarebbero scomparsi!”

Cammin facendo i quattro gattini attraversarono l’aperta campagna fino ad arrivare al limite del bosco. Faceva buio e le ombre della notte ormai avvolgevano la natura. Rossina, stanca di tanto cammino ed affamata, iniziò a piangere. Lacrime tonde, tonde solcavano il paffuto musetto. “Voglio tornare a casa. Voglio la mia mamma! Ho paura del buio. Mammina, mammina!” – così diceva fra un singhiozzo e l’altro. Nerina l’abbracciò, la tenne stretta a sé e provò a consolarla, cantando filastrocche: “Mi, ma me, tutto questo tocca a me. Dillo pure alla Regina che lo dice al suo Re. Mi, ma, me, vai lì e pensa a me. Dillo pure alla mammina che lo dice alla nonnina. Se tu questo farai, grande diventerai.” Intervenne Nerino che richiamò l’attenzione di tutti: “Miei piccoli, mi spiace vedervi così rattristati. Questa notte dovremo dormire sotto le stelle. Ma state pur certi che domani torneremo nelle nostre case.” E, scorgendo un grande olmo sul limitare del bosco, lo indicò come rifugio sicuro.
Avevano già trovato un’accettabile sistemazione sulla tenera erbetta ai piedi dell’albero, quando Nerino si accorse che due grandi fari gialli erano puntati su di loro. Alzò il capo e intravide fra i rami un austero gufo che li scrutava guardingo.
“Oh, Signor Gufo, buonasera!” – disse Nerino – “Chiediamo scusa per tanto disturbo, ma abbiamo perso la strada di casa e ora è buio, né sappiamo dove andare. La prego” – continuò Nerino – “ci offra ospitalità, solo per questa notte! Domattina, di buon’ora, andremo via e non saremo più d’incomodo”. Il gufo rispose: “Mio piccolo, caro gattino, nessun fastidio arrechi tu con i tuoi compagni a me e ai miei compagni. Mi chiamo Bubo e sono il gufo reale del bosco. Si dice che io sia poco socievole, ma sono solo dicerie. Te lo dimostrerò. Voglio, tuttavia, avvertirti che non è prudente sostare ai piedi dell’olmo. Da queste parti, nel bosco, di notte fonda, girano strani bifolchi con uncini e coltelli. Sarebbe assennato se voi vi arrampicaste sui rami.” Nerino aggiunse: “Grazie, Signor Gufo, lei sì che è molto gentile! Io e mia sorella siamo capaci di saltare fra i rami, ma Rossina e Rossino sono ancora troppo piccoli, non hanno equilibrio.” Bubo, il gufo reale del bosco, per un po’ rimase perplesso e pensieroso e, prima di dare una risposta saggia e onesta, rifletté a lungo: “Ci sarebbe un modo per farvi tornare a casa prima che faccia più buio! E’ rischioso. Dovrei pertanto consultare i miei amici barbagianni, nonché un vecchio inquilino dell’olmo.” Detto fatto, iniziò a bubolare e in poco tempo una nuvola oscura di barbagianni accorse a stormo. Erano tanti, tutti richiamati da Bubo, il gufo reale.
Si appollaiarono sui rami e diedero inizio a un intenso e vivace chiacchiericcio.
Frattanto dal tronco dell’albero provenivano strani rumori. Sembravano colpi, graffi e un acceso e selvaggio miagolio. All’improvviso da una cavità saltò fuori un gatto vecchio e malandato, abbrutito da una realtà selvatica e ostile. Il suo pelo era scarduffato e ispido. Era color blu notte, reso ancor più notte dall’incuria e dall’asprezza del luogo. Inarcò la schiena, si stirò e arruffò il pelo alla vista dei gattini che indietreggiarono per il timore che incuteva. Gatto Blunotte rimase inerme come se attendesse qualcosa.
Il bubolare dei barbagianni improvvisamente cessò e Bubo, il gufo reale, volò verso i gattini. Si rivolse a Nerino e lo informò: “Mio caro, il Consiglio dei Barbagianni ha deciso per voi! Prima che faccia notte fonda vi guideremo verso casa. I nostri occhi illumineranno la radura, sicché possiate vedere come se fosse giorno. Ci scorterà Gatto Blunotte, che da tempo è nostro fidato alleato. Sfodererà i suoi temibili artigli, se non bastassero i nostri, contro chiunque volesse attaccarci!” Nerino ringraziò e immaginò la felicità dei genitori nel vederli di nuovo in famiglia.
Intrapresero il ritorno a casa. Guidava il viaggio Gatto Blunotte, il quale raccontò a Nerino la sua terribile disavventura, la solitudine provata, la sofferenza quando, un tempo lontano, ancor piccolo, si perse per la sconfinata campagna finché non incontrò il saggio Bubo.
Procedevano insieme, seguiti da Nerina, Rossina e Rossino, avvolti da un nugolo di barbagianni, cui si unirono tante lucciole leggiadre. Tutti insieme illuminarono la notte e i piccoli di gatto poterono riabbracciare mamma e papà.
Gatto Blunotte fu riconosciuto. La sua famiglia, sopraffatta dal dolore, non c’era più. Ora Gatto Blunotte aveva tante nuove famiglie: quella dei Nerini, quella dei Rossini, quella degli Albini e anche quella degli Arancini, che lo festeggiavano ogni qual volta lo incontravano.

Universos pares esse posse aiebat, dispersos testabatur perituros


Questa favola è stata recitata il 20 maggio 2009 da Irene Di Silvio, Rossella Lupi e Federica Marrone della Scuola di Recitazione del Teatro Marrucino di Chieti, diretti dall'attrice Giuliana Antenucci. La lettura recitata è avvenuta dinanzi al folto pubblico affluito in Teatro in occasione del Convegno "La voce dei bambini ..." organizzato per il Ventennale della Convenzione dei Diritti dell'Infanzia e dell'Adolescenza. Il convegno ha così concluso per l'a.s. 2008/09 il progetto di Educazione alla Legalità "Un poliziotto per amico", promosso dalla Polizia di Stato di concerto con l'UNICEF e con il Ministero della Pubblica Istruzione.

Mi piacerebbe

Mi piacerebbe essere gatto
per giocare col mio padrone,
godere del calore del suo tatto
e aggomitolarmi sulle poltrone.



Mi piacerebbe essere girasole,
schiudermi al mattino
e fare capolino
al girare del sole.

Mi piacerebbe essere fuoco,
ardere sempre e riscaldare
corpi spenti e cuori infranti,
allegramente scoppiettare.


Mi piacerebbe essere neve,
bianca, soffice e lieve,
cadere dal cielo danzando felice
e immacolare il mondo in cornice.


Mi piacerebbe essere vento,
soffiare su ciò che non mi piace,
spazzare via ogni bruttura
e spaventare l’impostura.


Mi piacerebbe essere re
per fare ciò che non piace a me,
per osservare, ascoltare, parlare
e dare al popolo ciò che è giusto dare.

Il Settecento e l'Illuminismo

Il '700 e l'ILLUMINISMO

Durante la Rivoluzione Francese i borghesi conquistano spazi di libertà e di partecipazione politica. Dopo la Restaurazione (1814) continuano a rappresentare le forze progressiste della società.

Organizzano le società segrete, lottano contro l’assolutismo, vogliono l’unità e l’indipendenza delle nazioni.
Contribuiscono alla diffusione del principio secondo cui lo Stato deve fondarsi sulla libertà individuale (libertà di pensiero, di parola, di stampa).

Gli aspetti fondamentali dell’Illuminismo sono:
 Gli Illuministi sostengono il primato della ragione e identificano in essa il principio di uguaglianza fra gli uomini.
 Sono razionali, negano Dio, ogni religione, riconoscono solo la Dea Ragione.
 Gli illuministi ritengono la storia insieme di eventi, frutto di errori casuali; condannano il Medioevo, in quanto epoca di barbarie, di oscurantismo.
 Nel ‘700 il Neoclassicismo si ispira all’arte classica, cioè all’arte degli antichi Greci e dei Romani. I suoi Artisti vogliono riprodurre nelle proprie opere l’armonia delle opere antiche, che assumono come modelli di equilibrio e di perfezione formale.

Romanticismo

L’800 e il ROMANTICISMO

Il termine “romantico” che nell’Inghilterra del Seicento era usato in modo spregiativo per indicare il contenuto fantastico dei romanzi cavallereschi e pastorali, agli inizi dell’Ottocento viene usato con un significato positivo. Infatti il termine “romantico” viene contrapposto al termine “classico” per sottolineare nelle opere letterarie le emozioni e l’irrazionalità, rifiutando gli autori romantici il razionalismo degli autori neoclassici.
La BORGHESIA si afferma come classe dirigente, toglie il potere ai nobili guidando grandi trasformazioni economiche, culturali e politiche.
La BORGHESIA con la Rivoluzione Industriale introduce nell’economia le regole del capitalismo: i borghesi diventano proprietari dei mezzi di produzione, decidono le sorti dei mercati, spingono l’Europa verso un ammodernamento tecnologico che cambia profondamente la vita delle popolazioni.
Le campagne si spopolano, si sviluppa il fenomeno dell’urbanesimo: intorno alle fabbriche sorgono agglomerati urbani in cui i lavoratori e le loro famiglie vivono in condizioni di miseria.
Contro lo sfruttamento e contro l’emarginazione gli operai costituiscono delle associazioni di tipo sindacale e molti di essi aderiscono a idee di uguaglianza tra gli uomini, diffuse dal socialismo.

Rispetto agli altri paesi europei l’Italia partecipa al grande movimento di trasformazione della società in ritardo e in posizione di debolezza, poiché la sua industria si sviluppa molti anni dopo rispetto a quella inglese, tedesca e francese.

Gli aspetti fondamentali del Romanticismo sono :
 il SENTIMENTO
che viene rivalutato assieme alla passione, all’istinto, alla fantasia, al sogno, che riescono a penetrare il mistero; vengono esaltate le differenze individuali;
 l’INQUIETUDINE
i Romantici vogliono evadere dalla realtà, che avvertono come una prigione che soffoca la potenza creativa; sono infelici ed inquieti; ricercano valori assoluti: Dio, l’amore perfetto, gli ideali più alti della patria e dell’umanità;
 la STORIA
i Romantici le attribuiscono un grande valore, essa è maestra di vita; ogni evento deriva da quelli che l’hanno preceduto. Rivalutano il Medioevo come epoca in cui riscoprire le proprie radici. Infatti in essa si sono consolidate la lingua, le tradizioni, la religione e si sono formati i primi Stati Nazionali.

Nasce una letteratura caratterizzata da forti sentimenti e da una salda coscienza morale. Il movimento letterario romantico diventa interprete degli ideali del Risorgimento e ben presto la parola romantico diventa sinonimo di patriota.

Gli autori più importanti in Italia sono:
- UGO FOSCOLO, che rappresenta il momento di passaggio dal Classicismo al Romanticismo;
- ALESSANDRO MANZONI,
- GIACOMO LEOPARDI.

Destinazione Brennero

I rastrellamenti dei Tedeschi a Tollo

Era il dicembre del ‘43 ed erano lì riparati. Erano tutti lì sotto. C’erano uomini, donne, bambini, anche neonati. Già, Renzo Brunetti era nato da poco. Erano spaventati, sì, ma anche fiduciosi dell’arrivo degli alleati.
Si diceva che sarebbero arrivati per l’8 dicembre, festa della Madonna Immacolata. Erano tutti a casa di Tito Lombardi (zio Tito), Ufficiale dello Stato Civile del Comune di Tollo. Tito ospitava i suoi parenti e compaesani. Nella cantina della sua casa, parte del palazzo della baronessa Nolli (allora adibito anche come campo di internamento di una novantina di confinati politici slavi), in prossimità del sagrato della chiesa madre di Tollo, la famiglia Lombardi aveva offerto rifugio ai parenti Brunetti, ai Toritto, ai Masciarelli, ai Polidori, al dottor Mazzoccone e alle sue figlie, al parroco, Don Giorgio Santone, alla di lui sorella, Laurina, e ad altri compaesani, in tutto circa un centinaio di persone. Vi erano anche i Caruso, Ida e Rocco Marini. Erano tutti lì, rifugiati nella grotta.
Attendevano di essere liberati. Ma la festa dell’Immacolata era ormai trascorsa ed erano ancora nascosti e sempre più dubbiosi. Fu così che la sera del 12 dicembre, temendo il peggio, Don Giorgio, ispirato e in gran segreto, con le fedelissime pie donne Fedora Ciccotelli, Rosina Brunetti e Laurina Santone, si recò nella chiesa grande della Maria Santissima Assunta, per “consumare”, insieme, tutte le “particole”, ovvero le ostie, e per evitare che queste rimanessero incustodite in preda agli ultimi tragici atti bellici che ci sarebbero stati di lì a poco.
I tedeschi erano in paese da tempo. Tollo aveva conosciuto con loro il campo di internamento. Aveva visto razzie, rastrellamenti, uccisioni. I Tedeschi irrompevano nelle case delle famiglie inermi, cercando uomini e viveri, quando andava bene.

Il vecchio Tommaso Brunetti (mio nonno materno) più volte li aveva visti entrare in casa. Tremava al solo pensiero, non per sé, ma per le due giovani figlie: Italia (chiamata Italina, mia madre) e zia Rosina. E’ stato un uomo fortunato Tommaso! E’ stato sempre rispettato. Il figlio Amelio riuscì anche a sfuggire alla “caccia all’uomo“, dovendo provvedere alla moglie, Gasperina, incinta, e agli allora piccoli quattro figli.

Amelio Brunetti (zio Amelio), grazie a nonno Tommaso, che perorò per lui, rimase accanto alla propria famiglia anche quando il giorno di Santa Lucia, il 13 dicembre del 1943, i Tedeschi entrarono nel rifugio. Già, per quelle famiglie, lì riparate, non vi fu la tanto attesa liberazione. Durante i combattimenti sul Sangro, esattamente nei pressi di Lanciano, la forte resistenza dei tedeschi rallentò l’avanzata degli alleati.

“Shnel, shnel”, intimarono i nemici con i fucili puntati. Iniziò così lo sfollamento per Tollo. Uno ad uno, uomini, donne, bambini, furono costretti ad uscire da quel rifugio al fine di evitare il peggio.
La famiglia Lombardi restò ancora per alcuni giorni in paese, obbligata a spostarsi presso la segheria Mancinelli, mentre la propria casa veniva requisita e trasformata in comando tedesco .. .
Tutte le altre famiglie furono forzate a scendere nella piazza del paese e lì indotte a salire su due camion. Era sera inoltrata. Era buio. Gli uomini furono in buona parte rastrellati. Ad Amelio Brunetti fu concesso di restare assieme ai propri cari. Il più piccolo dei suoi figli, Renzo, aveva solo 25 giorni.
La casa dei Brunetti era proprio lì in piazza e i Tedeschi concessero ad Amelio di rientrare nella propria abitazione per prendere un po’ di viveri e qualche coperta. Ma Amelio si attardava e i Tedeschi avevano fretta. Volevano allontanarsi dal paese al più presto. Temevano l’arrivo degli alleati. Amelio, uscendo di casa, era lento, camminava a fatica. Il sacco di farina e le coperte pesavano. Un tedesco, urlando minaccioso, gli andò contro per puntargli il fucile in petto. Allora Anna (mia cugina, poi divenuta suora), di nove anni, la più grande dei figli di Amelio, si scagliò contro il soldato e gli morse una mano. Il tedesco, poco prima tanto bellicoso, doveva essere anch’egli padre, poiché comprese il gesto e accarezzò il capo della fanciulla.
I camion, diretti a Chieti e carichi delle famiglie Brunetti, Toritto, Ciccotelli, Marini, Caruso, Santone e Mazzoccone, fecero appena in tempo ad allontanarsi dal centro del paese quando la piazza fu bombardata.
A Chieti Scalo gli sfollati vennero raccolti nella Manifattura di Tabacco, piena di pidocchi, dove restarono per due, tre giorni. Furono raggiunti dai Lombardi e dai Piattelli la notte del 15 dicembre.
Il 17 dicembre del ‘43 furono tutti caricati su carri bestiame alla stazione di Chieti Scalo con destinazione Brennero.
Pieni di pidocchi, affamati, annullati della loro dignità, pigiati in vagoni freddi e sporchi, spaventati per il loro destino, attraversarono l’Appennino abruzzese, diretti a Roma. Passando per Sulmona, Collarmele, Celano, Tagliacozzo, persone degne e solidali si recarono in stazione per offrire, al passaggio del treno della morte, pane, latte, acqua, olio.
Ah! L’olio! Annina Lombardi aveva visto scivolare dalla mano di uno dei suoi figli una bottiglia d’olio che finì a terra riversandosi tutta e frantumandosi.

Allora l’olio era raro, merce preziosa, così come la farina! Ci potevi campare.

Ma ciò che più affliggeva il cuore della donna era il cattivo presagio dell‘olio riverso a terra. Così si diceva in Abruzzo. E così fu.
Quella guerra, quello sfollamento, quella bottiglia d’olio finita a terra costarono ad Annina Brunetti Lombardi la perdita di un bellissimo figlio.

A Roma Gasparino Masciarelli e famiglia scesero per essere ospitati da amici. Don Giorgio Santone e la sorella Laurina scesero a Firenze , dove avevano un fratello.
Da Firenze il treno, risalendo verso nord, proseguì per Bologna, passando per ponte Lago Oscuro, sul Po, procedendo verso il Brennero.
Era notte quando attraversarono il Po. Dati i tempi, nonno Tommaso Brunetti invitò tutti ad osservare il grande fiume con attenzione, poiché allora a degli sfollati appariva “evento irripetibile!” Ma fu difficile scrutare il fiume attraverso l’oscurità della notte e le fessure del carro bestiame.

Intanto il treno proseguiva la sua corsa attraverso la pianura nebbiosa e fredda. I passeggeri erano sempre più stremati. Erano in viaggio da una settimana. Era notte fonda quando vi fu l’ennesima fermata.
Italia Brunetti, mia madre, avvertì fra le parole concitate dei soldati tedeschi… Vicenza ……. Ebbe un tuffo al cuore … Forse si era sbagliata a capire?
Si animò di tutto il coraggio possibile. Avanzò verso i soldati tedeschi e chiese in quale fermata fossero. Le confermarono di essere giunti alla stazione di Vicenza. Allora, rivolgendosi sempre ai militari, li pregò di poter parlare con il cognato Michele Ventrella, impiegato nell’Economato delle Ferrovie di Verona ma residente a Vicenza.
La sua richiesta fu accolta e a notte inoltrata Michele, dopo avere riabbracciato le cognate Costanza e Italia, riuscì a negoziare con i Tedeschi, facendo scendere non solo i suoi più stretti familiari: i Toritto, i Brunetti, i Ciccotelli, i Lombardi, ma anche la parentela più lontana.
La notizia si sparse subito di vagone in vagone e molti furono i compaesani che ottennero di scendere in quella stazione.
I Tollesi furono ospitati a Vicenza e dintorni, mentre il treno riprese la sua folle corsa: destinazione Brennero.
Era il 23 dicembre. Di lì a pochi giorni sarebbe stato Natale. Il Natale del ‘43 per la città di Vicenza fu memorabile a causa del terribile bombardamento delle fortezze volanti, i B29 degli alleati!

Alle famiglie vicentine che ospitarono gli sfollati, questi ultimi parvero senza vita. La solidarietà fu lodevole. Vicenza, Malo, Arzignano, Sandrigo, Schio misero a disposizione case, scuole per l’accoglienza; coperte, cibo per la sopravvivenza; tutto il cuore per far sentire meno soli gli sfollati.
Per anni gli sfollati hanno raccontato ai loro figli e ai loro nipoti l’orrore della guerra, nonché la grandezza di tanta generosità ed ospitalità.
Anche queste sono pagine di storia.
Si ricordano per le testimonianze rese:
Italia Brunetti, Anna Brunetti, Tommaso Brunetti, Ivonne Lombardi Ambrosini, Costanza Toritto, Ilda Ventrella Scatena, Edgardo Lombardi.

N.B.: Chi dovesse riconoscersi nel racconto è pregato di scrivere al blog e di fornire ulteriori indicazioni.