mercoledì 25 marzo 2009

Blow Bubbles

C’era una volta Bolladisapone. Era tonda, trasparente, bionda e lieve.
Aveva la grande capacità di galleggiare sempre e ovunque.
Ogni qual volta si presentava in pubblico era lì che quasi veleggiava sempre più tronfia.
Non potete immaginare come si gonfiò quando la promossero direttrice.

Direttrice di che cosa? In giro non era ben chiaro di che cosa fosse direttrice, perché era capace solo di galleggiare.
Quante cure dedicava al suo aspetto per renderlo sempre più lieve e levigato! Era costante la sua frequenza dal bollucchiere!

Ma un giorno accadde che si sollevò un forte vento che scosse alberi, cespugli, fiori e che spazzò via tutto ciò che incontrò per strada.
Bolladisapone in quel momento usciva da uno dei tanti convegni che altri organizzavano per lei.
Il vento soffiò così forte che la trascinò via con forza.

Mentre il vento la trasportava lontano, Bolladisapone gridava così:
“Aiuto! Aiuto!! Vento, fermati, fermati! Sai, conosco persone importanti, posso fare molto per te!”
Ma il vento, sordo ad ogni richiamo, continuò a spazzare tutto e Bolladisapone si ritrovò contro un rovo di spine che la sgonfiò miseramente.
Vanitas atque imperitia imperant



martedì 17 marzo 2009

Gabriella Toritto: curriculum


E’ nata a Chieti www.comune.chieti.gov.it. Ha insegnato Lettere nelle Scuole Medie e Superiori.
Sua madre, di Tollo (CH), assieme all’intera parentela e ad altri compaesani, fu rastrellata, durante il fascismo, dai  tedeschi. 
Nella notte del 13 dicembre 1943 l’intera sua parentela fu costretta dai tedeschi allo sfollamento su  carri bestiame. 
Le piace scrivere, leggere e disegnare. 
Si è laureata a pieni voti a Roma, www.comune.roma.it, dove si è formata presso l’Istituto "Asisium" delle Suore Francescane Missionarie del S. Cuore di Gesù, a Grottarossa www.asisium.it .
Sempre a Roma negli anni 1995/98 ha conseguito i Diplomi 1°-2°-3° livello, quale applicatrice del Metodo di apprendimento mediato P.A.S.- del Professor Reuven Feuerstein, c/o l'IRFED Nazionale di Roma, autorizzato dal M.P.I. www.studiofeuerstein.it › cose-il-metodo-feuerstein 
E’ stata conduttrice di programmi culturali presso network locali.
E’ stata formatrice della Fondazione Il Battello a Vapore - Milano www.battelloavapore.it- in corsi di "Lettura ad alta voce" nell'ambito di progetti formativi per Docenti della Scuola dell’Infanzia e Primaria.
Ha ideato ed organizzato, quale Referente della Consulta Provinciale degli Studenti, dell’Educazione alla Salute e dell’Intercultura, Convegni, Seminari e Azioni, fra cui:
- il Convegno del 17 gennaio 2008 “Legalità e Dignità. La legalità a garanzia e tutela dei diritti dell’uomo e del cittadino” con la partecipazione della Senatrice,  Prof.ssa Rita Levi Montalcini, e della Professoressa Maria Falcone, www.csachieti.it 
- il Convegno del 19 marzo 2009 “Apprendistato alla vita – Etica, Intercultura e Costituzione nell’Italia che cambia”www.csachieti.it 
- il Seminario di Studio e Produzione - 16 e 17 marzo 2006
-il Convegno “Progetto Vita” - 8 maggio 2006 - special guest  il Prof. Fabio Folgheraiter - Editrice Ericksonwww.csachieti.it
-la Tavola Rotonda sulla Costituzione italiana, promossa dalla Prefettura e dalla Provincia di Chieti, Settore Politiche Sociali, 21 dicembre 2008, presso il Teatro Marrucino, www.teatromarrucino.eu, Chieti;
- il Convegno “Stop al Bullismo” per la promozione dei diritti dell’Infanzia – 20 novembre 2008, Giornata mondiale per i Diritti dell’Infanzia, promossa dal Comune di Lanciano,  www.comune.lanciano.chieti.it
E’ redattrice del mensile “Il Sorpasso” di Montesilvano:  ilsorpassomts.com
Fra le altre sue pubblicazioni:
- su "Il Monitore" - Rivista di Scuola, Cultura e Arte, Anno XXXVIII n. 2-3 settembre 2004 "La riforma e i percorsi formativi personalizzati"
- su "Il Monitore" Anno XXXVIII n. 4 dicembre 2004 "La lettura precoce. Il piacere della lettura"
-su "Il Monitore" Anno XXXIX n. 1 febbraio 2005 "La lettura dell'immagine"
- su "Il Monitore" Anno XXXX n. novembre 2003 “L’orientamento, quale prassi didattica”
- (a numero unico) "50° Anniversario della fondazione della Scuola" del Pontificio Istituto Maestre Pie Filippini di Pescara
- sul “Foro Teatino”, Chieti, ottobre 2008 – anno VII – n. 3 e sul sito www.csachieti.it  Rapporto sulle azioni relative all’organizzazione del Convegno “60° Anniversario della Costituzione Italiana” dell’ 8 ottobre 2008.
- su “Rassegna dell’Istruzione” del Ministero Istruzione, Università e Ricerca – Numero 1-2 del 2008 - “Valori, comportamenti, pratiche giovanili”, www.rassegnaistruzione.it/rivista/index.html
Ha prestato, come docente esperta, attività di libera docenza nell’ambito di diverse attività formative presso l'Università degli Studi "G. d'Annunzio" di Chieti-Pescara www.unich.it e l'Università di Teramo www.unite.it.
Dagli a.a. 2009/2010 ad oggi presta attività di libera docenza presso l'Università della Terza Età di Pescara, Associazione Cultura e Terza Etàwww.utepescara.it, e nel Circolo della Musica, della Letteratura, dell’Arte e delle Scienze Sociali di Pescara.
Ha frequentato i corsi e sostenuto esami presso l’Istituto Teologico “G. Toniolo” di Pescara negli aa.aa. 1978-83.

Si è adoperata nel Sociale, svolgendo volontariato presso la Divisione Cardiologia-UTIC dell’Ospedale Civile di Pescara e presso la Caritas Diocesana.    

mercoledì 11 marzo 2009

Scenari educativi

Intervento alla Settimana Pedagogica dell’Istituto Comprensivo Torricella Peligna (CH) Sabato, 5 luglio 2008
“Scuole A…per…Te… nessuno escluso”
Tavola Rotonda
1° Parte
Inizierò il mio intervento citando due situazioni che negli ultimi tempi mi hanno particolarmente colpita.
1. Contro la TV spazzatura gli studenti dell’Università “S. Raffaele” di Milano hanno da poco realizzato una campagna pubblicitaria “Miglioriamo la qualità della TV” a mio avviso significativa ed emblematica della condizione dell’uomo post-moderno, dunque anche dello studente di oggi. Basta consultarne il sito per apprezzare come sinteticamente, attraverso pochi script, gli universitari della Facoltà di Scienze della Comunicazione abbiano espresso l’evoluzione darwiniana dell’uomo in poche immagini, dagli ominidi, ovvero australopitechi, all’Homo neanderthalensis , all’homo habilis, all’homo erectus, al sapiens, al sapiens sapiens, o modernus con bibita e cannuccia in mano, non più troppo erectus, un po’ “ricurvus”, al post-modernus, obeso, impoltronito, passivo davanti ad una TV matrigna, ex maestra, ex artista, ex amica, con l’head line (slogan) che recita: ‘Che programmi avete per domani?’”…Dunque dall’evoluzione all’involuzione. Dall’esplosione delle grandi potenzialità all’implosione.
L’imbarbarimento della tv è speculare della società corrente. I giovani di oggi sono i figli della società da noi prodotta.
2. Due mesi fa, sfogliando un quotidiano, nelle pagine di cronaca locale, una foto, un nome, O …, e.. il ricordo di un mio alunno di una 1° media di diversi anni fa. Un tragico incidente a 18 anni. Il mio alunno, il “gigante buono”, così lo definivano nel quartiere, non c’è più. Attonita, dopo qualche istante di smarrimento, pensando anche al dolore della famiglia, mi sono chiesta “Come mi sono comportata con O.?”, “Che cosa ho fatto per lui?”
Venti giorni fa le notizie serali del TG regionale. Lo speaker informa su un inseguimento serrato delle Forze dell’Ordine contro due giovani per una rapina ai danni di una oreficeria. Due nomi, due foto segnaletiche mandate in onda. Una di esse attira la mia attenzione. Resto incredula: è L ..., mio alunno alle superiori. Anche lui ha da poco compiuto 18 anni. L., giovane capace, sensibile, ora è in carcere. Un suo elaborato scritto, testo descrittivo (scelse di descrivere una sua compagna, amica) fu valutato 7.1/2 per capacità espressiva, espositiva, per sensibilità di contenuti, per correttezza morfologica e sintattica. Letto dal Dirigente e da altri Docenti l’elaborato di Luca fu molto apprezzato.
Dov’è ora quel giovane? … Quella mente, quella sensibilità dove sono? Sono disperse. Quando ho iniziato ad insegnare a L., egli era già stigmatizzato. Nessuno lo diceva apertamente, ma si capiva che lo consideravano come irrecuperabile. Così è stato. Eppure a vederlo non si sarebbe detto. Certo aveva momenti in cui si chiudeva troppo in sé. Evidentemente nascondeva qualche segreto… Anche O. era stigmatizzato, sebbene allora fanciullo undicenne. Non nascondeva alcun segreto. E quali segreti può avere un bambino di undici anni? Forse non stava bene ed aveva bisogno di un bravo specialista. Forse era già seguito da un medico. Ricordo che era arrivato dalle scuole elementari già con lo stigma. Poi si parla di continuità …Quale?
“Faber est suae quisque fortunae”, sosteneva in una sua epistola Sallustio. Ma non è proprio così. Gli incontri incidono nella nostra esistenza. Dunque una buona scuola, dei bravi insegnanti, dei bravi compagni pesano sul nostro destino. … Non si parla forse di compagni di viaggio? Ebbene, se si hanno dei bravi compagni di viaggio ci si può ritenere superfortunati. Altrimenti la propria esistenza è segnata.
La mission della scuola, il suo compito, il suo dovere morale sono INCLUDERE, non STIGMATIZZARE. Lo stigma prelude l’esclusione, l’esclusione la dispersione, la dispersione comporta la negazione di ogni valore di civiltà, di sviluppo e di progresso... Il prezzo sociale da pagare poi è “salatissimo”. Quello morale è sotto gli occhi di tutti.
Pensando a O., pensando a L., ai miei due sfortunati alunni, mi è tornato in mente quando Papa Giovanni Paolo II, rievocando Galileo Galilei, chiese scusa alla scienza e quando, davanti al muro del pianto di Gerusalemme, chiese scusa al mondo ebraico nell’intento di esprimere un’autentica volontà di riconciliazione. Il parallelo non è poi così irriverente se si crede nella sacralità della persona.
Forse la scuola, nonostante il discredito sociale in cui versa e il mancato riconoscimento di tante eccellenti professionalità e dello spirito missionario che anima ancora molti, dovrebbe chiedere anche essa scusa ai tanti giovani che ha mortificato, giovani di cui non ha saputo riconoscere i talenti, le vocazioni, le inclinazioni, tutti carismi dispersi.
Di errori, a mio avviso, ne sono stati commessi tanti, alcuni sono risultati fatali.

Ma la scuola da sola non può farcela, così come la stessa famiglia, da sola, non ce la fa. I bambini, i giovani crescono bombardati da una molteplicità di input provenienti dalle tante informali agenzie pseudo-educative, pseudo-formative che pullulano alla ricerca del facile “arruolamento” di facili e fragili consumatori che si danno, anima e corpo, in pasto, pur di apparire. E non importa dove, come e con chi.
Ancora. Seppur unite, scuola e famiglia arrancano. Occorrono anche le Istituzioni. L’ASL. Il medico, lo specialista, lo psico-terapeuta, devono tornare a scuola.
Gli Amministratori devono assumere anch’essi, come missione, come servizio alla comunità, il ruolo cui sono preposti.
Occorre la Rete di figure valoriali adulte. Quella Rete in cui molti di noi sono cresciuti, accolti e protetti. La grande famiglia. I parenti. La solidarietà delle piccole comunità dove tutti si conoscevano, dove tutti hanno concorso, da veri tutori, alla crescita di virgulti riottosi, insubordinati, a volte troppo vivaci.
Se ciascuno di noi concepisse la propria esistenza come impegno, come servizio, e non come vissuto goliardico ed epicureo, allora, forse, il cammino dell’uomo procederebbe costruttivo. Gli stessi giovani avrebbero modelli viventi cui riferirsi, ne apprezzerebbero la fatica, l’impegno.
Si parla molto attualmente di emergenza educativa. Questa è legata proporzionalmente alla crisi che coinvolge l’adolescenza e la giovinezza. Siamo di fronte a giovani abbandonati a loro stessi, nell’indifferenza generalizzata, nella debolezza della vita affettiva, nella povertà degli scambi, delle relazioni, in solitudine, nella perdita di fiducia nelle istituzioni e nei valori tradizionali, nella precarietà della formazione che non assicura più il loro futuro. Da tali difficoltà scaturisce un sentimento individuale e collettivo d’angoscia e di insicurezza, di dipendenza economica prolungata, in contrapposizione ad una maturazione biologica e culturale precoce.
Tornando alle agenzie educative, ad esempio alla TV ex maestra, ex artista, ex amica, oggi perfida matrigna che, parafrasando G. Leopardi, “non mantiene ciò che promette allor”, possiamo considerare di espugnarla usando il “cavallo di Troia”, il quale altro non è se non la conoscenza di come essa nasce, di come viene “montata”.
Ruolo del maestro è, dunque, non tanto denunciare, quanto far conoscere i modi di produzione della cultura mediatica; dimostrare come il trattamento delle immagini, specialmente attraverso il montaggio, possa dare un’impressione arbitraria della realtà; commentare le trasmissioni seguite dagli allievi, pur curando la trasmissione dei saperi.
Si potrebbe partire dal commento di serie televisive per rimandare alle opere dei classici, poiché le prime, come le seconde, si nutrono degli amori, degli odi, delle speranze, delle aspirazioni, delle disperazioni dell’uomo; traggono spunto dalle paure, dalle ossessioni dell’esistenza umana di tutti i tempi.
Ora la narrazione di tali argomenti affascina i giovani, come gli adulti, poiché la narrazione ha affascinato dalla notte dei tempi. Ognuno di noi, attraverso la risonanza emotiva, le evocazioni delle narrazioni, vive un processo di immedesimazione. Pertanto il racconto, la narrazione non vanno disdegnate. Costituiscono un importantissimo tassello nel processo di costruzione del Sé. Nel mondo ebraico il capo famiglia spessissimo rievoca, narra il passato della propria gente, la storia della propria famiglia. Il racconto, la narrazione diventano così un vero e proprio rito, che conferisce identità, memoria, intimità che rinsalda i vincoli. Anche nelle corti medievali la narrazione veniva fatta per rinsaldare i vincoli di amicizia.
Senza la costruzione del Sé, senza l’identità di Sé ci sono i disturbi della personalità.
Vale la pena, a proposito, ricordare Peter Pan, il quale, per convincere Wandy a tornare con lui nel “Paese che non c’è”, le dice che lì potrebbe insegnare ai “bambini smarriti” a raccontare storie. Infatti se le sapessero raccontare, potrebbero crescere, imparerebbero a crescere.
L’invezione narrativa stimola fra l’altro l’immaginazione, il pensiero divergente. Morin, Bruner, Gadner danno grande importanza alla cultura umanistica, alla lettura dei classici, che sono riusciti a spiegare l’affanno umano, la fatica di vivere.
Narrare, conoscere storie, miti, strutturano e nutrono l’identità di persona.
Un sistema educativo, una teoria pedagogica, un indirizzo politico-nazionale di ampio respiro, che sottovalutano il contributo della scuola allo sviluppo dell’autostima degli alunni, falliscono in una delle funzioni primarie, falliscono come agenzia formativa a vantaggio di una miriade di agenzie “antiscuola”, dove molti giovani si rifugiano per compensare il fallimento vissuto a scuola.
Le “agenzie antiscuola” sono bande di “micro-criminalità” che rinfoltiscono le loro fila con adolescenti alla ricerca della propria identità e del rispetto dei pari. Gli esiti di tale concorrenza sono evidenti negli USA, dove vengono alienati abbastanza ragazzi neri da sbarcarne un terzo in prigione prima dei trent’anni. Da noi la situazione sociale fa presagire uguale destini se non si corre ai ripari.
Se la capacità d’azione (saper fare) e la stima (saper essere) sono essenziali per la costruzione del concetto di Sé, allora il funzionamento del sistema scolastico va esaminato anche in funzione del contributo dato a queste due componenti essenziali della personalità.
Sono da valorizzare una maggiore partecipazione e corresponsabilità nella scelta e nel raggiungimento degli obiettivi in tutti gli aspetti delle attività scolastiche.
E’ urgente allora implementare il diritto alla cittadinanza attiva. Tale concezione, cara alla tradizione progressista in campo educativo, è in linea con il principio costituzionale secondo cui, in una democrazia, diritti e responsabilità sono due facce della stessa medaglia.
Bruner sostiene che in molte culture democratiche ci si preoccupa troppo dei criteri formali del “rendimento” e degli aspetti burocratici dell’istruzione, in quanto istituzione, tanto da trascurare l’aspetto personale dell’educazione. Anche Morin, come Bruner, rivaluta l’importanza della cultura umanistica, in particolare della narrazione, del romanzo. Laddove vi è una storia insufficiente, incompleta, inadeguata su se stessi, nasce, si sviluppa una nevrosi. E’ probabile che la narrazione abbia la stessa importanza e funzione per la coesione della cultura quanto per la strutturazione di una vita individuale, personale.
Sentirsi a proprio agio nel mondo, sapendo dove collocarsi in una storia autodescrittiva, oggi è reso ancor più difficile dai flussi migratori.
Un bambino, un ragazzo, che arriva da Tunisi a Milano con la famiglia, è letteralmente sradicato, disorientato e, per quanto multiculturali siano gli intenti degli operatori scolastici, il fallimento dell’integrazione sarebbe certo se non intervenissero le associazioni del territorio in grado di aiutare l’immigrato, di sostenerlo, di riempire il vuoto venutosi a creare nella sua esistenza.
Ma perché la narrazione sia strumento della mente, capace di dare significato, bisogna leggerla, farla, analizzarla, sentirne l’utilità.
L’affabulazione, la narrazione, la lettura, la rappresentazione teatrale sono importanti tanto per il bambino, quanto per l’adolescente, per quel ragazzo che cresce, ma che non vuole crescere, che ha paura di crescere, che sospende i legami affettivi con la famiglia, con i genitori, che contesta, per costruire una sua nuova identità. Dirò di più. Proprio nella fase di crescita evolutiva in cui l’adolescente vive un “lutto”, quando “disprezza” l’infanzia, la famiglia esterna, il corpo, proprio allora, la lettura, la narrazione, l’immedesimazione teatrale possono aiutarlo a proiettare e a dissolvere le sue turbolente conflittualità. Così il libro, la narrazione, il teatro diventano luogo privilegiato all’ascolto, momento di sospensione del giudizio, momento cui aggrapparsi al risveglio al mattino.
La scuola che non tiene conto della psicologia dell’età evolutiva e del dolore inconscio provato dall’adolescente nel distacco dall’infanzia è una scuola decontestualizzata. La scuola che non tiene in conto un’ospedalizzazione infantile, una malattia infantile, un lutto è decontestualizzata. Una scuola che non tiene in debita considerazione di come e quanto siano cambiate l’infanzia e l’adolescenza di oggi, rispetto a quelle passate, è decontestualizzata.
I tempi e i ritmi dei nostri ragazzi sono notevolmente accelerati, i campi di interesse anticipati. Lo si comprende attraverso lo studio dell’editoria per l’infanzia, per l’adolescenza e dalla produzione libraria ad esse dedicate.
E’ innegabile che la TV abbia contribuito non solo ad anticipare i campi di interesse, spingendo il/al consumismo, ma ha anche accelerato la rapidità di apprendimento. Come? Oggi gli spot pubblicitari, seppur brevi, hanno già una story-board. I bambini di quattro anni sono ormai allenati, grazie ad essi, a capirne la truttura narrativa, se non ad anticiparne le sequenze. 60 anni fa la struttura narrativa veniva appresa forse in terza elementare, quando era ormai sviluppata una certa libertà nella capacità di lettura.
Ma tempi, ritmi accelerati, campi d’interesse anticipati ci ricordano l’iperattività, la superficialità, la tensione nervosa che distingue le giovani generazioni, rendendole spesso ”non-scolarizzate”. Un antidoto, una buona terapia, che consenta loro di recuperare ritmi più sostenibili, può essere costituita proprio dalla narrazione, dal teatro, dove tempi e luoghi fisici vengono annullati per divenire onirici.
Tuttavia la lettura, la narrazione, la drammatizzazione non vanno confusi con gli obiettivi didattici, essi sono, un traguardo di crescita, un dono, uno scambio, l’offerta di un’intimità. Inoltre costituiscono un’esperienza estremamente fisica, corporea, poiché protagonista non è solo la voce ma tutto il corpo. Corporea è la voce, corporeo è l’orecchio che ascolta. Con l’esperienza della narrazione, del teatro avvengono il contatto, la comunione, la relazione fra anime per partecipare di uno stesso segreto. E quale migliore esperienza per giovani e bambini così tanto soli? Nel contempo comporta anche qualche rischio poiché ci si mette in gioco, tutti, tanto chi narra, legge, recita, quanto chi ascolta.
E’ auspicabile quindi un cambiamento misurato che rinnovi un sistema come la scuola, da sempre istituzione che insegna ma che non apprende, in quanto organismo che più di ogni altro si manifesta resistente alle innovazioni, forse perché essa, la scuola, è luogo deputato alla memoria, alla tradizione. Di qui probabilmente il disagio dei giovani che avvertono di essere incompresi.
Oggi è necessario che la scuola, riscopra la vocazione per cui è nata: l’eplorazione, la ricerca, la proiezione nel futuro, forte degli strumenti trasmessi dalla tradizione.
Gardner in “Sapere per comprendere” sottolinea come negli ultimi anni i progressi della scienza e della tecnica siano stati esponenziali. A fronte di tale rivoluzione copernicana, la scuola è rimasta quasi come quella di un secolo fa: prevalenza della lezione frontale nella didattica, esercitazioni scritte, attività decontestualizzate.

Nerino e Bubo, il gufo reale

C’erano una volta tanti gatti, tutti diversi e sparsi per la campagna. Ognuno aveva la sua famigliola e viveva in grande solitudine.
La campagna era triste e silenziosa, soffriva perché i suoi abitanti si amavano poco. Si amavano poco forse perché erano tutti così diversi!
C’erano i gatti Rossini, c’erano i Nerini, c’erano anche gli Albini e gli Arancini. Si conoscevano a mala pena e se si incontravano accennavano un fioco “Miao! Miao …”, quasi da non sentirsi. I gattini invece si facevano le fusa e avrebbero volentieri giocato attraverso i prati in fiore. Era infatti primavera e le belle giornate e i ruscelli, pieni di neve sciolta, invitavano alla vita. Ma papà e mamma gatto non volevano che i loro piccoli avvicinassero quelli dei vicini. Si raccontava, infatti, che in un tempo molto lontano un gattino di nome Bluino fosse sparito nel nulla. Inutili le ricerche, di Bluino non si seppe più nulla.
Così i gatti avevano proprio un gran terrore a lasciare incustoditi i propri piccoli.
Un mattino, mentre papà e mamma gatto dei Rossini e dei Nerini facevano la spesa, i gattini iniziarono a scherzare, quindi a nascondersi per poi rincorrersi nei campi fino ad allontanarsi.

“Nerinoooooo!!!”, “Nerinaaa …!!” – gridavano papà e mamma Nerini, sperando di riabbracciare subito i loro piccoli.
“Rossinaaaa!!!”, “Rossinoo …! “– dicevano a gran voce i genitori Rossini, fiduciosi di trovare i propri cuccioli fra le bancarelle del mercato! Così non fu.
Anche i gattini avrebbero voluto tornare dai genitori ma avevano perso la strada e non sapevano più che cosa fare.
Nerino, il più grande dei quattro, studioso e diligente, sapeva tante cose e si sentì responsabile dell’accaduto. Tra sé e sé rifletté che avrebbe fatto l’impossibile per riportare i gattini sani e salvi a casa.
Intanto le due famiglie solidarizzarono e chiesero aiuto ai vicini per ritrovare i figli.
I gatti Rossini pensavano: ”I Nerini sono gatti attenti ed assai educati!” I Nerini, a loro volta, dichiaravano: “La famiglia Rossini è tanto a modo!” Anche gli Arancini e gli Albini, venuti a conoscenza del fatto, manifestarono partecipazione ed offrirono ogni tipo di collaborazione.
Papà Rossini, amareggiato, addolorato, confidò: “Dovevano sparire quattro gattini affinché noi adulti parlassimo e ci guardassimo negli occhi? Se i nostri figli avessero avuto tempi e spazi per giocare non sarebbero scomparsi!”

Cammin facendo i quattro gattini attraversarono l’aperta campagna fino ad arrivare al limite del bosco. Faceva buio e le ombre della notte ormai avvolgevano la natura. Rossina, stanca di tanto cammino ed affamata, iniziò a piangere. Lacrime tonde, tonde solcavano il paffuto musetto. “Voglio tornare a casa. Voglio la mia mamma! Ho paura del buio. Mammina, mammina!” – così diceva fra un singhiozzo e l’altro. Nerina l’abbracciò, la tenne stretta a sé e provò a consolarla, cantando filastrocche: “Mi, ma me, tutto questo tocca a me. Dillo pure alla Regina che lo dice al suo Re. Mi, ma, me, vai lì e pensa a me. Dillo pure alla mammina che lo dice alla nonnina. Se tu questo farai, grande diventerai.” Intervenne Nerino che richiamò l’attenzione di tutti: “Miei piccoli, mi spiace vedervi così rattristati. Questa notte dovremo dormire sotto le stelle. Ma state pur certi che domani torneremo nelle nostre case.” E, scorgendo un grande olmo sul limitare del bosco, lo indicò come rifugio sicuro.
Avevano già trovato un’accettabile sistemazione sulla tenera erbetta ai piedi dell’albero, quando Nerino si accorse che due grandi fari gialli erano puntati su di loro. Alzò il capo e intravide fra i rami un austero gufo che li scrutava guardingo.
“Oh, Signor Gufo, buonasera!” – disse Nerino – “Chiediamo scusa per tanto disturbo, ma abbiamo perso la strada di casa e ora è buio, né sappiamo dove andare. La prego” – continuò Nerino – “ci offra ospitalità, solo per questa notte! Domattina, di buon’ora, andremo via e non saremo più d’incomodo”. Il gufo rispose: “Mio piccolo, caro gattino, nessun fastidio arrechi tu con i tuoi compagni a me e ai miei compagni. Mi chiamo Bubo e sono il gufo reale del bosco. Si dice che io sia poco socievole, ma sono solo dicerie. Te lo dimostrerò. Voglio, tuttavia, avvertirti che non è prudente sostare ai piedi dell’olmo. Da queste parti, nel bosco, di notte fonda, girano strani bifolchi con uncini e coltelli. Sarebbe assennato se voi vi arrampicaste sui rami.” Nerino aggiunse: “Grazie, Signor Gufo, lei sì che è molto gentile! Io e mia sorella siamo capaci di saltare fra i rami, ma Rossina e Rossino sono ancora troppo piccoli, non hanno equilibrio.” Bubo, il gufo reale del bosco, per un po’ rimase perplesso e pensieroso e, prima di dare una risposta saggia e onesta, rifletté a lungo: “Ci sarebbe un modo per farvi tornare a casa prima che faccia più buio! E’ rischioso. Dovrei pertanto consultare i miei amici barbagianni, nonché un vecchio inquilino dell’olmo.” Detto fatto, iniziò a bubolare e in poco tempo una nuvola oscura di barbagianni accorse a stormo. Erano tanti, tutti richiamati da Bubo, il gufo reale.
Si appollaiarono sui rami e diedero inizio a un intenso e vivace chiacchiericcio.
Frattanto dal tronco dell’albero provenivano strani rumori. Sembravano colpi, graffi e un acceso e selvaggio miagolio. All’improvviso da una cavità saltò fuori un gatto vecchio e malandato, abbrutito da una realtà selvatica e ostile. Il suo pelo era scarduffato e ispido. Era color blu notte, reso ancor più notte dall’incuria e dall’asprezza del luogo. Inarcò la schiena, si stirò e arruffò il pelo alla vista dei gattini che indietreggiarono per il timore che incuteva. Gatto Blunotte rimase inerme come se attendesse qualcosa.
Il bubolare dei barbagianni improvvisamente cessò e Bubo, il gufo reale, volò verso i gattini. Si rivolse a Nerino e lo informò: “Mio caro, il Consiglio dei Barbagianni ha deciso per voi! Prima che faccia notte fonda vi guideremo verso casa. I nostri occhi illumineranno la radura, sicché possiate vedere come se fosse giorno. Ci scorterà Gatto Blunotte, che da tempo è nostro fidato alleato. Sfodererà i suoi temibili artigli, se non bastassero i nostri, contro chiunque volesse attaccarci!” Nerino ringraziò e immaginò la felicità dei genitori nel vederli di nuovo in famiglia.
Intrapresero il ritorno a casa. Guidava il viaggio Gatto Blunotte, il quale raccontò a Nerino la sua terribile disavventura, la solitudine provata, la sofferenza quando, un tempo lontano, ancor piccolo, si perse per la sconfinata campagna finché non incontrò il saggio Bubo.
Procedevano insieme, seguiti da Nerina, Rossina e Rossino, avvolti da un nugolo di barbagianni, cui si unirono tante lucciole leggiadre. Tutti insieme illuminarono la notte e i piccoli di gatto poterono riabbracciare mamma e papà.
Gatto Blunotte fu riconosciuto. La sua famiglia, sopraffatta dal dolore, non c’era più. Ora Gatto Blunotte aveva tante nuove famiglie: quella dei Nerini, quella dei Rossini, quella degli Albini e anche quella degli Arancini, che lo festeggiavano ogni qual volta lo incontravano.

Universos pares esse posse aiebat, dispersos testabatur perituros


Questa favola è stata recitata il 20 maggio 2009 da Irene Di Silvio, Rossella Lupi e Federica Marrone della Scuola di Recitazione del Teatro Marrucino di Chieti, diretti dall'attrice Giuliana Antenucci. La lettura recitata è avvenuta dinanzi al folto pubblico affluito in Teatro in occasione del Convegno "La voce dei bambini ..." organizzato per il Ventennale della Convenzione dei Diritti dell'Infanzia e dell'Adolescenza. Il convegno ha così concluso per l'a.s. 2008/09 il progetto di Educazione alla Legalità "Un poliziotto per amico", promosso dalla Polizia di Stato di concerto con l'UNICEF e con il Ministero della Pubblica Istruzione.

Mi piacerebbe

Mi piacerebbe essere gatto
per giocare col mio padrone,
godere del calore del suo tatto
e aggomitolarmi sulle poltrone.



Mi piacerebbe essere girasole,
schiudermi al mattino
e fare capolino
al girare del sole.

Mi piacerebbe essere fuoco,
ardere sempre e riscaldare
corpi spenti e cuori infranti,
allegramente scoppiettare.


Mi piacerebbe essere neve,
bianca, soffice e lieve,
cadere dal cielo danzando felice
e immacolare il mondo in cornice.


Mi piacerebbe essere vento,
soffiare su ciò che non mi piace,
spazzare via ogni bruttura
e spaventare l’impostura.


Mi piacerebbe essere re
per fare ciò che non piace a me,
per osservare, ascoltare, parlare
e dare al popolo ciò che è giusto dare.

Il Settecento e l'Illuminismo

Il '700 e l'ILLUMINISMO

Durante la Rivoluzione Francese i borghesi conquistano spazi di libertà e di partecipazione politica. Dopo la Restaurazione (1814) continuano a rappresentare le forze progressiste della società.

Organizzano le società segrete, lottano contro l’assolutismo, vogliono l’unità e l’indipendenza delle nazioni.
Contribuiscono alla diffusione del principio secondo cui lo Stato deve fondarsi sulla libertà individuale (libertà di pensiero, di parola, di stampa).

Gli aspetti fondamentali dell’Illuminismo sono:
 Gli Illuministi sostengono il primato della ragione e identificano in essa il principio di uguaglianza fra gli uomini.
 Sono razionali, negano Dio, ogni religione, riconoscono solo la Dea Ragione.
 Gli illuministi ritengono la storia insieme di eventi, frutto di errori casuali; condannano il Medioevo, in quanto epoca di barbarie, di oscurantismo.
 Nel ‘700 il Neoclassicismo si ispira all’arte classica, cioè all’arte degli antichi Greci e dei Romani. I suoi Artisti vogliono riprodurre nelle proprie opere l’armonia delle opere antiche, che assumono come modelli di equilibrio e di perfezione formale.

Romanticismo

L’800 e il ROMANTICISMO

Il termine “romantico” che nell’Inghilterra del Seicento era usato in modo spregiativo per indicare il contenuto fantastico dei romanzi cavallereschi e pastorali, agli inizi dell’Ottocento viene usato con un significato positivo. Infatti il termine “romantico” viene contrapposto al termine “classico” per sottolineare nelle opere letterarie le emozioni e l’irrazionalità, rifiutando gli autori romantici il razionalismo degli autori neoclassici.
La BORGHESIA si afferma come classe dirigente, toglie il potere ai nobili guidando grandi trasformazioni economiche, culturali e politiche.
La BORGHESIA con la Rivoluzione Industriale introduce nell’economia le regole del capitalismo: i borghesi diventano proprietari dei mezzi di produzione, decidono le sorti dei mercati, spingono l’Europa verso un ammodernamento tecnologico che cambia profondamente la vita delle popolazioni.
Le campagne si spopolano, si sviluppa il fenomeno dell’urbanesimo: intorno alle fabbriche sorgono agglomerati urbani in cui i lavoratori e le loro famiglie vivono in condizioni di miseria.
Contro lo sfruttamento e contro l’emarginazione gli operai costituiscono delle associazioni di tipo sindacale e molti di essi aderiscono a idee di uguaglianza tra gli uomini, diffuse dal socialismo.

Rispetto agli altri paesi europei l’Italia partecipa al grande movimento di trasformazione della società in ritardo e in posizione di debolezza, poiché la sua industria si sviluppa molti anni dopo rispetto a quella inglese, tedesca e francese.

Gli aspetti fondamentali del Romanticismo sono :
 il SENTIMENTO
che viene rivalutato assieme alla passione, all’istinto, alla fantasia, al sogno, che riescono a penetrare il mistero; vengono esaltate le differenze individuali;
 l’INQUIETUDINE
i Romantici vogliono evadere dalla realtà, che avvertono come una prigione che soffoca la potenza creativa; sono infelici ed inquieti; ricercano valori assoluti: Dio, l’amore perfetto, gli ideali più alti della patria e dell’umanità;
 la STORIA
i Romantici le attribuiscono un grande valore, essa è maestra di vita; ogni evento deriva da quelli che l’hanno preceduto. Rivalutano il Medioevo come epoca in cui riscoprire le proprie radici. Infatti in essa si sono consolidate la lingua, le tradizioni, la religione e si sono formati i primi Stati Nazionali.

Nasce una letteratura caratterizzata da forti sentimenti e da una salda coscienza morale. Il movimento letterario romantico diventa interprete degli ideali del Risorgimento e ben presto la parola romantico diventa sinonimo di patriota.

Gli autori più importanti in Italia sono:
- UGO FOSCOLO, che rappresenta il momento di passaggio dal Classicismo al Romanticismo;
- ALESSANDRO MANZONI,
- GIACOMO LEOPARDI.

Destinazione Brennero

I rastrellamenti dei Tedeschi a Tollo

Era il dicembre del ‘43 ed erano lì riparati. Erano tutti lì sotto. C’erano uomini, donne, bambini, anche neonati. Già, Renzo Brunetti era nato da poco. Erano spaventati, sì, ma anche fiduciosi dell’arrivo degli alleati.
Si diceva che sarebbero arrivati per l’8 dicembre, festa della Madonna Immacolata. Erano tutti a casa di Tito Lombardi (zio Tito), Ufficiale dello Stato Civile del Comune di Tollo. Tito ospitava i suoi parenti e compaesani. Nella cantina della sua casa, parte del palazzo della baronessa Nolli (allora adibito anche come campo di internamento di una novantina di confinati politici slavi), in prossimità del sagrato della chiesa madre di Tollo, la famiglia Lombardi aveva offerto rifugio ai parenti Brunetti, ai Toritto, ai Masciarelli, ai Polidori, al dottor Mazzoccone e alle sue figlie, al parroco, Don Giorgio Santone, alla di lui sorella, Laurina, e ad altri compaesani, in tutto circa un centinaio di persone. Vi erano anche i Caruso, Ida e Rocco Marini. Erano tutti lì, rifugiati nella grotta.
Attendevano di essere liberati. Ma la festa dell’Immacolata era ormai trascorsa ed erano ancora nascosti e sempre più dubbiosi. Fu così che la sera del 12 dicembre, temendo il peggio, Don Giorgio, ispirato e in gran segreto, con le fedelissime pie donne Fedora Ciccotelli, Rosina Brunetti e Laurina Santone, si recò nella chiesa grande della Maria Santissima Assunta, per “consumare”, insieme, tutte le “particole”, ovvero le ostie, e per evitare che queste rimanessero incustodite in preda agli ultimi tragici atti bellici che ci sarebbero stati di lì a poco.
I tedeschi erano in paese da tempo. Tollo aveva conosciuto con loro il campo di internamento. Aveva visto razzie, rastrellamenti, uccisioni. I Tedeschi irrompevano nelle case delle famiglie inermi, cercando uomini e viveri, quando andava bene.

Il vecchio Tommaso Brunetti (mio nonno materno) più volte li aveva visti entrare in casa. Tremava al solo pensiero, non per sé, ma per le due giovani figlie: Italia (chiamata Italina, mia madre) e zia Rosina. E’ stato un uomo fortunato Tommaso! E’ stato sempre rispettato. Il figlio Amelio riuscì anche a sfuggire alla “caccia all’uomo“, dovendo provvedere alla moglie, Gasperina, incinta, e agli allora piccoli quattro figli.

Amelio Brunetti (zio Amelio), grazie a nonno Tommaso, che perorò per lui, rimase accanto alla propria famiglia anche quando il giorno di Santa Lucia, il 13 dicembre del 1943, i Tedeschi entrarono nel rifugio. Già, per quelle famiglie, lì riparate, non vi fu la tanto attesa liberazione. Durante i combattimenti sul Sangro, esattamente nei pressi di Lanciano, la forte resistenza dei tedeschi rallentò l’avanzata degli alleati.

“Shnel, shnel”, intimarono i nemici con i fucili puntati. Iniziò così lo sfollamento per Tollo. Uno ad uno, uomini, donne, bambini, furono costretti ad uscire da quel rifugio al fine di evitare il peggio.
La famiglia Lombardi restò ancora per alcuni giorni in paese, obbligata a spostarsi presso la segheria Mancinelli, mentre la propria casa veniva requisita e trasformata in comando tedesco .. .
Tutte le altre famiglie furono forzate a scendere nella piazza del paese e lì indotte a salire su due camion. Era sera inoltrata. Era buio. Gli uomini furono in buona parte rastrellati. Ad Amelio Brunetti fu concesso di restare assieme ai propri cari. Il più piccolo dei suoi figli, Renzo, aveva solo 25 giorni.
La casa dei Brunetti era proprio lì in piazza e i Tedeschi concessero ad Amelio di rientrare nella propria abitazione per prendere un po’ di viveri e qualche coperta. Ma Amelio si attardava e i Tedeschi avevano fretta. Volevano allontanarsi dal paese al più presto. Temevano l’arrivo degli alleati. Amelio, uscendo di casa, era lento, camminava a fatica. Il sacco di farina e le coperte pesavano. Un tedesco, urlando minaccioso, gli andò contro per puntargli il fucile in petto. Allora Anna (mia cugina, poi divenuta suora), di nove anni, la più grande dei figli di Amelio, si scagliò contro il soldato e gli morse una mano. Il tedesco, poco prima tanto bellicoso, doveva essere anch’egli padre, poiché comprese il gesto e accarezzò il capo della fanciulla.
I camion, diretti a Chieti e carichi delle famiglie Brunetti, Toritto, Ciccotelli, Marini, Caruso, Santone e Mazzoccone, fecero appena in tempo ad allontanarsi dal centro del paese quando la piazza fu bombardata.
A Chieti Scalo gli sfollati vennero raccolti nella Manifattura di Tabacco, piena di pidocchi, dove restarono per due, tre giorni. Furono raggiunti dai Lombardi e dai Piattelli la notte del 15 dicembre.
Il 17 dicembre del ‘43 furono tutti caricati su carri bestiame alla stazione di Chieti Scalo con destinazione Brennero.
Pieni di pidocchi, affamati, annullati della loro dignità, pigiati in vagoni freddi e sporchi, spaventati per il loro destino, attraversarono l’Appennino abruzzese, diretti a Roma. Passando per Sulmona, Collarmele, Celano, Tagliacozzo, persone degne e solidali si recarono in stazione per offrire, al passaggio del treno della morte, pane, latte, acqua, olio.
Ah! L’olio! Annina Lombardi aveva visto scivolare dalla mano di uno dei suoi figli una bottiglia d’olio che finì a terra riversandosi tutta e frantumandosi.

Allora l’olio era raro, merce preziosa, così come la farina! Ci potevi campare.

Ma ciò che più affliggeva il cuore della donna era il cattivo presagio dell‘olio riverso a terra. Così si diceva in Abruzzo. E così fu.
Quella guerra, quello sfollamento, quella bottiglia d’olio finita a terra costarono ad Annina Brunetti Lombardi la perdita di un bellissimo figlio.

A Roma Gasparino Masciarelli e famiglia scesero per essere ospitati da amici. Don Giorgio Santone e la sorella Laurina scesero a Firenze , dove avevano un fratello.
Da Firenze il treno, risalendo verso nord, proseguì per Bologna, passando per ponte Lago Oscuro, sul Po, procedendo verso il Brennero.
Era notte quando attraversarono il Po. Dati i tempi, nonno Tommaso Brunetti invitò tutti ad osservare il grande fiume con attenzione, poiché allora a degli sfollati appariva “evento irripetibile!” Ma fu difficile scrutare il fiume attraverso l’oscurità della notte e le fessure del carro bestiame.

Intanto il treno proseguiva la sua corsa attraverso la pianura nebbiosa e fredda. I passeggeri erano sempre più stremati. Erano in viaggio da una settimana. Era notte fonda quando vi fu l’ennesima fermata.
Italia Brunetti, mia madre, avvertì fra le parole concitate dei soldati tedeschi… Vicenza ……. Ebbe un tuffo al cuore … Forse si era sbagliata a capire?
Si animò di tutto il coraggio possibile. Avanzò verso i soldati tedeschi e chiese in quale fermata fossero. Le confermarono di essere giunti alla stazione di Vicenza. Allora, rivolgendosi sempre ai militari, li pregò di poter parlare con il cognato Michele Ventrella, impiegato nell’Economato delle Ferrovie di Verona ma residente a Vicenza.
La sua richiesta fu accolta e a notte inoltrata Michele, dopo avere riabbracciato le cognate Costanza e Italia, riuscì a negoziare con i Tedeschi, facendo scendere non solo i suoi più stretti familiari: i Toritto, i Brunetti, i Ciccotelli, i Lombardi, ma anche la parentela più lontana.
La notizia si sparse subito di vagone in vagone e molti furono i compaesani che ottennero di scendere in quella stazione.
I Tollesi furono ospitati a Vicenza e dintorni, mentre il treno riprese la sua folle corsa: destinazione Brennero.
Era il 23 dicembre. Di lì a pochi giorni sarebbe stato Natale. Il Natale del ‘43 per la città di Vicenza fu memorabile a causa del terribile bombardamento delle fortezze volanti, i B29 degli alleati!

Alle famiglie vicentine che ospitarono gli sfollati, questi ultimi parvero senza vita. La solidarietà fu lodevole. Vicenza, Malo, Arzignano, Sandrigo, Schio misero a disposizione case, scuole per l’accoglienza; coperte, cibo per la sopravvivenza; tutto il cuore per far sentire meno soli gli sfollati.
Per anni gli sfollati hanno raccontato ai loro figli e ai loro nipoti l’orrore della guerra, nonché la grandezza di tanta generosità ed ospitalità.
Anche queste sono pagine di storia.
Si ricordano per le testimonianze rese:
Italia Brunetti, Anna Brunetti, Tommaso Brunetti, Ivonne Lombardi Ambrosini, Costanza Toritto, Ilda Ventrella Scatena, Edgardo Lombardi.

N.B.: Chi dovesse riconoscersi nel racconto è pregato di scrivere al blog e di fornire ulteriori indicazioni.

Progetto "Dalla fiaba alla Carta dei diritti dell'Infanzia e dell'Adolescenza"

PROGETTO
per la prima classe della Scuola Media
Anno scolastico 2000/2001

SETTEMBRE: avvio dell’anno scolastico.
INIZIO DELLE ATTIVITA’ con un gioco.
G I O C O :
“Partiamo…..dunque prepariamo la valigia……”…
“Nella valigia metterò le risorse che ho in me e che mi accompagneranno nel lungo viaggio .."
Sul quaderno compilo:
1. Una tabella elencando
 le risorse…..
 le carenze….
ovvero “inventariando” le abilità individuali (“so fare” - competenze) scolastiche ed extrascolastiche.
CHE COSA SO FARE
CHE COSA NON SO FARE
2. Scegliere una risorsa utilizzabile in ambito scolastico e comunicarla ai compagni.
3. Scegliere una risorsa utilizzabile in ambito extrascolastico e comunicarla ai compagni.
4. Compilare un elenco di risorse (sintesi) presenti nella classe.
5. Intervento dell’insegnante rispetto alle risorse mancanti.
Quali le risorse degli studenti?
- Leggere bene.
- Scrivere senza errori.
- Scrivere poesie.
- Dattilografare.
- Usare il computer.
- Suonare la musica.
- Disegnare.
- Ascoltare. Comunicare.
- Dialogare.
- Essere disponibili a esperienze nuove.
- Saper organizzare materiale.
6. Riportare, quindi, tali abilità su un tabellone, anche su un grande foglio bianco (ad es: quello da pacchi) e affiggerlo su una parete della classe.

…Il viaggio continua…

PROGETTO
“Dalla fiaba… alla Carta dei Diritti”
Il DIRITTO del BAMBINO, del FANCIULLO attraverso la STORIA.

MOTIVAZIONE
GIUSTIFICAZIONE:
Il progetto nasce da una ricognizione di bisogni, da cui emerge l’esigenza di richiamare l’attenzione degli studenti ai diritti ma anche ai doveri e alle responsabilità cui ciascun individuo, seppur piccolo, e’ chiamato a rispondere. E’ destinato alle classi prime della scuola media dell’anno scolastico2000/2001.
E’ realizzato nel corso del 2° quadrimestre.
Si colloca a proseguimento del progetto di ed. civica intrapreso nell’a.s. 1998/99 e ad integrazione del progetto “biblioteca”.
I suoi ambiti e limiti contenutistici riguardano la fiaba, la storia greca e romana, la costituzione italiana.
Eventuali raccordi interdisciplinari implicheranno interventi nelle discipline seguenti: italiano, storia ed. civica, inglese.
FINALITA’:
Il progetto e’ finalizzato
- alla maturazione del concetto di diritto e di dovere nei ragazzi;
- alla promozione della personalità, secondo gli obiettivi del progetto educativo d’istituto;
- alla promozione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, per l’esercizio dei diritti fondamentali, per il miglioramento della fruizione dell’ambiente scolastico, urbano e naturale, per lo sviluppo del benessere e della qualità della vita deiminori, per la valorizzazione nel rispetto delle diversità, delle caratteristiche di genere, di cultura e di etnie.
OBIETTIVI:
Il progetto si propone di far conseguire:
 CONOSCENZE:
una adeguata conoscenza
- del linguaggio storico
- delle civiltà
- delle culture
- delle tradizioni
- degli usi e costumi dei popoli antichi e contemporanei.
- conoscenza riflessa delle regole e delle norme dellavita associata, in particolare di quelle che consentono processi democratici di decisione
- acquisizione della consapevolezza del significato del codice, della legge, anche in funzione della comprensione dei fondamenti del sistema giuridico propri di uno stato di diritto.
 COMPETENZE:
- la padronanza della terminologia specifica della disciplina
- la capacità di trasferire i concetti da un’epoca all'altra.
 CAPACITA’:
- l’autonomia di giudizio
- la capacità critica
- l’accettazione dell’altro
- la solidarietà e l’etica del lavoro
- l’etica dell’impegno civile
CONTENUTI:
- La Fiaba – “Pinocchio” – “Hansel e Gretel” – “Fiabe Italiane”
- Storia Greca – Storia Contemporanea
– Costituzione Italiana
- Attualità
MEZZI E STRUMENTI:
- libro di testo - attrezzature di laboratorio e/o di officina
– videoregistratore – videocassetta – documenti storici
– leggi- fotocopie – fogli bianchi grandi da imballaggio
– fogli di quaderno – pennarelli colorati - colla.
SPAZI:
L’aula di classe e/o gli eventuali altri spazi nella scuola o fuori di essa.
Per le visite didattiche guidate si rimanda alle indicazioni del progetto “BIBLIOTECA”.
TEMPI:
FEBBRAIO-MARZO-APRILE
Giorno settimanale: venerdì
Orario: 15,30 % 17,30.
METODI:
- il brain-storming- la lezione frontale- la lezione dialogica-
- il cooperative-learning - gruppi di lavoro con tutoring-
VALUTAZIONE:
Considererà non solo l’acquisizione dei contenutie il possesso delle varie abilità
ma anche il conseguimento degli obiettivi trasversali
- per controllare i processi
- misurare prove e prestazioni
- attribuire giudizi di valutazione
- valutare il processo e il prodotto conseguito
Si considererà
- la frequenza
- l’impegno,
- la partecipazione,
- l’interesse in relazione alla situazione di partenza.
PREREQUISITI:
- possedere le abilità di base.
- comprendere il significato di CODICE, LEGGE, DEMOCRAZIA, COMUNITA’, STATO, NAZIONE, COSTITUZIONE.
FONTI:
- Progetto Educativo d’Istituto
- Regolamento Interno d’Istituto
- Decalogo dello Studente
- Atti dello Stato Civile (Archivio Di Stato)
- Convenzione Internazionale dei Diritti del Bambino
- Costituzione Italiana
- Dichiarazione Internazionale dei Diritti dell’Uomo
- Magna Charta Libertatum.
VERIFICA:
- osservazione - autosservazione - discussione - verifica dei prodotti intermedi -
- revisione continua e conseguente correzione delle azioni, dei comportamenti e dei
risultati operativi allo scopo di allargare le esperienze comunicative e di
promuovere il dialogo e la riflessione su di esse.

NELL’AMBITO DELLA PREVENZIONE DEL FENOMENO DELLA DISPERSIONE SCOLASTICA PROGETTI DI ATTIVITA’ FINALIZZATI ALLA QUALIFICAZIONE COMPLESSIVA DEL SERVIZIO SCOLASTICO CON PARTICOLARE RIGUARDO ALLA PIENA ATTUAZIONE DEL DIRITTO ALLO STUDIO;
ALL’EDUCAZIONE ALLA SALUTE; ALL’EDUCAZIONE ALL’AMBIENTE; ALL’EDUCAZIONE ALLA LEGALITA’; ALL’EDUCAZIONE ALLA SOLIDARIETA’; ALL’EDUCAZIONE ALL’INTERCULTURALITA’ E ALLE MULTIETNIE; ALL’EDUCAZIONE ALLA PACE.

D.L. 297/94 ART.278 D.L. 297/94 ART.456
PRONUNCIA C.N.P.I. 23.02.95
C.M. 302/93 EDUCAZIONE ALLA LEGALITA’
L. 285/97 DISPOSIZIONE PER LA PROMOZIONE DI DIRITTI E DI OPPORTUNITA’ PER L’INFANZIA E L’ADOLESCENZA
L. 40/98 DISCIPLINA SULL’IMMIGRAZIONE
DIRETTIVA M.P.I. 133/96
DIRETTIVA M.P.I. 600/96 EDUCAZIONE ALLA SALUTE
CARTA DI IMPEGNI PER PROMUOVERE I DIRITTI DELL’INFANZIA E DELL’ADOLESCENZA 16.04.98 C.M. 257 9.08.94
DIRETTIVA U.E. 33/94 SULLA PROTEZIONE DEI GIOVANI

Il Progetto prevede anche un intervento degli Alunni presso la Sala di Registrazione di un’emittente locale per la diretta di una drammatizzazione.

Buongiorno a tutti i radio Ascoltatori,
siamo gli alunni della classe I° di una scuola Media Statale.
Oggi siamo qui con voi per socializzare una nostra esperienza scolastica.
All’inizio dell’anno scolastico noi alunni eravamo consapevoli di iniziare una nuova avventura: l’avventura del triennio della scuola media.
Così abbiamo iniziato le nostre attività con un gioco: “Partiamo, dunque prepariamo la valigia”.
“Nella valigia metterò le risorse che ho in me e che mi “accompagneranno nel lungo viaggio”.

Il nostro viaggio ha avuto molte soste :
“Il mito, la leggenda e la fiaba”; il tutto finalizzato alla realizzazione di un progetto lettura che parte dal mito e dalla fiaba per arrivare alla carta dei diritti del bambino e del fanciullo attraverso la storia.
Ma noi non vogliamo solo soffermarci su quelli che sono i nostri diritti: vogliamo anche considerare e prendere consapevolezza dei nostri doveri.

Il MITO, la LEGGENDA, la FIABA sono racconti che affondano le loro radici in storie molto antiche, dapprima tramandate oralmente (tradizione orale – tradizione popolare) poi trascritte. Costituiscono parte del patrimonio culturale di tutti i popoli. Mescolano il reale al divino, al meraviglioso, al magico. Ma tutti narrano, attraverso l’uso di simbologie e di metafore, le vicende umane, ovvero quell'avventura umana, quel "viaggio" meraviglioso che è la VITA di ogni uomo.

Viaggio è quello di Gilgamesh nel regno dei morti (mito dei Babilonesi ”L’epopea di Gilgamesh”). Viaggio è quello di Abramo verso la “terra promessa” (racconto biblico “Bibbia”).
Viaggio è quello dell’eroe di una qualsiasi fiaba (Berto in “Sette in un colpo”).
Viaggio è quello di Ulisse (poema epico “Odissea”).
Viaggio è quello di Enea (poema “Eneide”).
Viaggio è quello di Dante Alighieri (poema didascalico-allegorico “Divina Commedia”).
Viaggio è quello dell’uomo moderno nello spazio.
Viaggio è quello che ciascun uomo compie nella ricerca della felicità, di migliori condizioni di vita, superando molte prove, combattendo contro molti antagonisti.

Fra tutte le fiabe da noi lette ed analizzate durante l’anno, abbiamo scelto di rappresentarne una tratta da “Fiabe italiane”, raccolte da Italo CALVINO.
Si tratta di una fiaba di origine popolare abruzzese. Pertanto la reciteremo “colorando”, di tanto in tanto, l’esposizione con espressioni dialettali.

Ringraziamo tutti, anticipatamente, per il cortese ascolto.
CIACH!… SI VA IN ONDA…..

Durante il nostro viaggio abbiamo letto molte fiabe e racconti e abbiamo voluto soffermarci a sognare … Sognare di divenire scrittori, di dedicare un libro tutto nostro a qualcuno che ci è caro.

IDEATRICE E COORDINATRICE DEL PROGETTO
Prof.ssa G. TORITTO

Bullismo

Convegno Comune di Lanciano, lì 20 novembre 2008

BULLISMO e SCENARI EDUCATIVI
La situazione in Abruzzo

In data 9 luglio 2008, a L’Aquila, presso Palazzo Centi, si è insediato l’Osservatorio regionale sul bullismo, voluto e ricostituito dal Direttore Generale dell’U.S.R. per l’Abruzzo, Prof. Carlo Petracca, al fine di contrastare il disagio, raccordare le proposte degli Uffici Scolastici Provinciali, sensibilizzare le famiglie, valorizzare le buone pratiche, monitorare la situazione.
L’Osservatorio regionale sul bullismo consta di una pluralità di componenti, ovvero di Soggetti Istituzionali: l’Ufficio Territoriale del Governo, la Questura della città capoluogo di regione, il Comando dei Carabinieri, l’Ufficio Qualità dei Servizi Sociali della Regione, l’A.N.C.I. Abruzzo, l’U.P.I. Abruzzo, la C.E.I. Abruzzo, il Dipartimento di Prevenzione della Sanità Regione Abruzzo, il Dipartimento di Giustizia minorile, il Tribunale dei minori, 3 Dirigenti Scolastici, i Docenti comandati presso gli Uffici Scolastici delle 4 province d’Abruzzo, un Dirigente Tecnico, in qualità di coordinatore dell’Osservatorio, il Presidente della Consulta degli Studenti di L’Aquila, le Associazioni dei Genitori in Abruzzo, il Centro Servizio Volontariato, l’Ordine dei Giornalisti, il Comitato regionale Abruzzo per l’UNICEF, il Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università degli Studi di L’Aquila, la Facoltà di Scienze Sociali dell’Università degli Studi di Chieti, l’Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell’Autonomia scolastica – ex IRRE Abruzzo.
La realizzazione di tale organismo, le sue procedure, i lavori prodotti sono un esempio di condivisione di valori e strategie fra adulti, fra Istituzioni, pur nella diversità dei loro ruoli, in merito al fenomeno bullismo, non solo, in merito all’educazione delle nuove generazioni. Costituiscono prova che la rete fra Soggetti Istituzionali può funzionare, anzi funziona, soprattutto quando, attraverso l’apertura e la disposizione al dialogo, si concorre tutti, in modo paritario, all’accompagnamento, all’orientamento rispettoso e competente dei giovani nel loro difficile e spesso tortuoso cammino verso la vita.
Gli uomini senza le Istituzioni, che legittimano le loro azioni, non hanno gambe. A loro volta le Istituzioni non hanno vita senza la testa, senza il cuore, senza la passione di quelle donne, di quegli uomini che in esse, e per esse, profondono energia ed impegno.

Attualmente in Italia, da più parti, si intensificano virtuosismi proprio mentre le Istituzioni sembrano in un generale, forse voluto, tracollo, come a suggellare un estremo atto eroico di sopravvivenza, un ultimo grido a “noi possiamo”, “noi dobbiamo”, “noi vogliamo”.
Tutti insieme dobbiamo lavorare per indicare un’unica rotta, una proposta educativa salda e chiara, condivisa nei suoi valori fondanti, quali il rispetto della persona, della vita, della natura e dell’ambiente in senso lato, l’impegno, serio e costante, la responsabilità verso se stessi, verso tutti e tutto. In tale condivisione diviene di fondamentale importanza un recupero di reciproco consenso fra scuola, famiglia, società.
Dopo anni in cui si è assistito ad uno iato, ad una frattura, ad una perdita di credibilità, “gli uni contro gli altri armati”, causa dello sfacelo cui assistiamo in questi giorni, oggi si sta verificando un processo, fortunatamente inverso, in cui si rinsaldano i vincoli di amicizia, di considerazione e di rispetto.
Sulla famiglia si sono abbattute tante infamie. Ma è sotto gli occhi di tutti che la famiglia soffre di solitudine affettiva, così come l’infanzia e l’adolescenza. Non c’è più la rete parentale, la rete delle piccole comunità di un tempo, la rete che accoglie, che ascolta, che protegge. Occorre una nuova rete di figure valoriali adulte, quella rete in cui molti di noi sono cresciuti. Occorrono la grande famiglia, i parenti, la solidarietà delle piccole comunità dove si conoscevano tutti, dove tutti hanno concorso, da veri tutori, alla crescita di virgulti riottosi, insubordinati, a volte troppo vivaci.
La famiglia da sola non ce la può fare. La scuola, anch’essa, da sola non ce la può fare.
Allora occorre stipulare un patto di nuova alleanza, così come i passi biblici insegnano. Un patto di nuova alleanza educativa che deve vedere fra i suoi protagonisti sottoscrittori non solo gli adulti, ma anche i giovani chiamati a condividere corresponsabilmente gli intenti e i processi del patto educativo. E’ questo un evidente riferimento al “patto di corresponsabilità” che il M.I.U.R. cita relativamente alla revisione del Regolamento Interno d’Istituto. Solo così essi, i giovani, si addestrano ad una partecipazione attiva e responsabile all’interno della comunità scolastica, alla cittadinanza attiva che li forgia e li prepara alla vita e a contesti sociali allargati, nazionali, europei, globali.

Sono diversi anni che nella provincia di Chieti ci stiamo adoperando per lavorare in modo sinergico, concorrendo Istituzioni ed Enti del territorio ad implementare buone prassi di cittadinanza attiva, in cui gli Studenti, dalla primaria alle superiori, a più riprese, sono stati protagonisti consapevoli di eventi e di iniziative sul tema della Legalità.
Scuola e violenza sono termini antitetici, che non devono, non possono essere affiancati: la prima é un’Istituzione, rappresentativa di una comunità, di una comunità educante, di una Res Pubblica, dello Stato; la seconda costituisce illegalità e coincide con essa.
Derisioni, vessazioni, umiliazioni, minacce, rabbia ….. violano la sacralità della persona. Pertanto occorre dire basta al bullo, al bullismo, al mobbing, allo stolking e pronunciare un forte sì al rispetto, alla legalità.
Inevitabilmente, essendo manifestazione evidente e chiara di illegalità, il fenomeno si lega spesso alla criminalità giovanile, al teppismo e al vandalismo.
Dal 2007 è stata intrapresa dal M.P.I. una campagna ad hoc “Smonta il bullo”, anche con l’attivazione di un numero verde cui potersi rivolgere. A circa due anni di distanza, in una miscellanea di recente pubblicazione, “Book della Solidarietà”, è stata pubblicata un’analisi del fenomeno che in Italia risulta essere molto più incisivo rispetto ad altri paesi del nord Europa. Proviamo a riflettere perché?
Non vive forse oggi il nostro Paese una grave crisi, che non è solo di ordine economico, ma è soprattutto morale. In un paese dove la TV insegna scherzi anche violenti, oltre che maldestri, dove in Parlamento l’insulto è gratuito, dove cariche istituzionali costituiscono esempio di impunità e si esprimono con un lessico discutibile, ne conseguono “esempi” poco edificanti per i giovani, per i più piccoli, che “scimmiottano” gli stili degli adulti, non necessariamente dei familiari, ma degli adulti testimonial della società imperante.
Ancora, la società imperante non è forse divenuta troppo pagana e profana, negli slogan, nella babele delle immagini oltre che dei linguaggi? Non ha forse la società del post moderno svuotato di significato spirituale la vita e le sue manifestazioni, perdendo i sentieri della speranza, di un credo, di ogni forma di carità, soffocata da egoismi e da un inaridimento dell’anima?
Come prevenire il bullismo?
Si può prevenire il bullismo, come ogni altra forma di esclusione o di emarginazione di piccoli e di giovani, attraverso la prevenzione, la cittadinanza attiva, la peer education, la peer comunication, che coincidono con il nostro comportamento, la narrazione, la Costituzione.

Certamente è poco utile agire sui disturbi e sulle psicopatologie quando essi sono ormai già conclamati.
E’ auspicabile invece la specificità di un intervento preventivo rivolto a tutti gli alunni, prescindendo dai "bulli" e dalle loro vittime, perché, al fine di un cambiamento stabile e duraturo, risulta maggiormente efficace agire sulla comunità degli spettatori, o meglio sulle dinamiche relazionali/sociali di un intero gruppo.
La prevenzione deve interessare tutti gli alunni, gli insegnanti e i genitori. In particolare gli adulti possono farsi carico dei problemi attivando una programmazione contro le prepotenze e promuovendo interventi tesi a costruire una cultura del rispetto e della solidarietà tra gli alunni e tra alunni ed insegnanti.
L'intervento di prevenzione va avviato ancor prima che appaiano segnali più o meno sommersi del disagio.
L’intervento preventivo, peraltro, rappresenta un'occasione di crescita per l’intero gruppo classe, in quanto, attraverso un maggiore dialogo ed una maggiore consapevolezza di pensieri, emozioni ed azioni, diventa risorsa e sostegno per ciascun membro.
La prevenzione risulta efficace e duratura, se insegnanti, educatori e famiglie collaborano come modelli e come soggetti promotori di modalità adeguate di interazione. In tal modo l'esempio cooperativo può essere acquisito e divenire uno stile di vita per gli stessi ragazzi.
Inoltre compito degli insegnanti è quello di intervenire precocemente al fine di modificare in tempo utile gli atteggiamenti inadeguati.
La prevenzione è particolarmente significativa nel 1° ciclo dell’istruzione, poiché tale segmento formativo è fondamentale per il processo di alfabetizzazione e per la crescita dei bambini nelle relazioni sociali. Il 1° ciclo coincide con una tappa determinante per lo sviluppo complessivo del potenziale umano. Dunque durante l’infanzia la prevenzione deve assumere un carattere di sistematicità e globalità, concorrendo tutti (non solo le figure genitoriali o gli insegnanti) all’insorgenza dei fenomeni critici, che possono dividere una comunità, arrecare dispiaceri, scuotere le coscienze, quando le conseguenze di certi atti assumono aspetti penali.
Va anche sottolineato che l’azione bullica accertata può costituire un momento critico risolutivo ed evolutivo per lo stesso bullo, che va orientato a prendere consapevolezza delle proprie azioni ostili, del proprio percorso di vita che necessita di un nuovo indirizzo, di una nuova direzione.
Anche il gruppo, a sua volta, deve riacquisire una propria capacità di rendersi responsabile del proprio benessere. Ciò significa che le criticità possono costituire fattore di crescita e di evoluzione sia personale, sia comunitaria, se si mettono in campo risorse, potenzialità, competenze, spesso sconosciute o non giustamente valorizzate.
La scuola così diviene terreno su cui cimentarsi, microcosmo con cui interagire, superando ostacoli, impiegando ogni risorsa, imparando a sperimentare la capacità di trovare un proprio spazio, una propria personale espressione nel mondo.
Stando a quanto finora esposto, l’educazione alla cittadinanza attiva concorre a creare una serie di best pratices (buone prassi) in cui lo studente si identifica e in cui consolida e rinforza la propria identità che, a tal punto, non può essere tradita, costituendo essa una testimonianza nella comunità.
Il gruppo va utilizzato come strategia, come metodologia per prevenire e contrastare il bullismo ed altre criticità, in quanto all’interno del gruppo i singoli, interlocutori attivi e partecipi, vanno formati alla promozione e al consolidamento del benessere collettivo.

La peer education e la peer comunication costituiscono un intervento promozionale dello sviluppo personale dei giovani. La comunicazione tra pari aiuta gli individui ad interiorizzare tutti quei processi cognitivi impliciti che orientano le relazioni; rappresenta occasione per l’apertura al nuovo, per avere informazioni e quindi per sviluppare strategie cognitive efficaci a partire dalla condivisione di pensieri, dalle responsabilità per gli impegni presi, dalla negoziazione di conflitti.
In virtù del ruolo ricoperto il peer educator acquisisce e stabilizza una serie di competenze interpersonali, a cui tende, adeguando il proprio comportamento, proprio in relazione alle aspettative del ruolo. Tale processo di acquisizione, di stabilizzazione delle proprie competenze e di fedeltà al ruolo ricoperto immunizza il giovane peer educator dai comportamenti a rischio. L’ immunità di cui egli gode ha poi una sorta di riverbero sul gruppo, per cui il peer educator diviene un modello positivo di riferimento.

Anche la narrazione contribuisce a migliorare il clima delle relazioni interpersonali all’interno di una comunità, poiché essa concorre alla costruzione del processo identitario.
Durante la narrazione i bambini, i giovani, ma gli stessi adulti (si pensi alla lettura di un buon libro o alla proiezione di un bel film) attraverso la risonanza emotiva, le evocazioni vivono un processo di immedesimazione. Pertanto il racconto, la narrazione non vanno disdegnate né a scuola, né altrove. A scuola si potrebbe partire dal commento di alcune serie televisive per rimandare alle opere dei classici, poiché le prime, come le seconde, si nutrono di odi, di amori, di speranze, di aspirazioni, di disperazioni dell’uomo; traggono spunto dalle paure, dalle ossessioni dell’esistenza umana di tutti i tempi: fraintendimenti, incomprensioni, incontri, separazioni, fortune, sfortune, malattie, imbrogli, droghe, denari, divertimenti.
Il racconto, la narrazione costituiscono un importantissimo tassello nel processo di costruzione del Sé.
Nel mondo ebraico il capo famiglia spessissimo rievoca, narra il passato della propria gente, la storia della propria famiglia.
Il racconto, la narrazione diventano così un vero e proprio rito, che conferisce identità, memoria, intimità che rinsalda i vincoli. Anche nelle corti medievali la narrazione serviva per rinsaldare i vincoli di amicizia.
Senza la costruzione del Sé, senza l’identità di Sé ci sono i disturbi della personalità.
Non mi stancherò mai di ricordare Peter Pan, il quale, per convincere Wandy a tornare con lui nel “Paese che non c’è”, le dice che lì potrebbe insegnare ai “bambini smarriti” a raccontare storie. Infatti se le sapessero raccontare, potrebbero crescere, imparerebbero a crescere.
L’invenzione narrativa stimola fra l’altro l’immaginazione, il pensiero divergente. Essa è determinante per l’infanzia, ma anche per l’adolescenza.
Morin, Bruner, Gadner danno grande importanza alla cultura umanistica, alla lettura dei classici, che sono riusciti a spiegare l’affanno umano, la fatica di vivere.
Narrare, conoscere storie, miti, strutturano e nutrono l’identità di persona. Laddove vi è una storia insufficiente, incompleta, inadeguata su se stessi, nasce, si sviluppa una nevrosi. E’ probabile che la narrazione abbia la stessa importanza e funzione per la coesione della cultura quanto per la strutturazione di una vita individuale, personale..
Un sistema educativo, una teoria pedagogica, un indirizzo politico-nazionale di ampio respiro, che sottovalutano il contributo della scuola allo sviluppo dell’autostima degli alunni, falliscono in una delle funzioni primarie, falliscono come agenzia formativa a vantaggio di una miriade di agenzie “antiscuola”, dove molti giovani si rifugiano per compensare il fallimento vissuto a scuola.
Se la capacità d’azione (saper fare) e la stima (saper essere) sono essenziali per la costruzione del concetto di Sé, allora il funzionamento del sistema scolastico va esaminato anche in funzione del contributo dato a queste due componenti essenziali della personalità. Sono da valorizzare una maggiore partecipazione e corresponsabilità nella
scelta e nel raggiungimento degli obiettivi in tutti gli aspetti delle attività scolastiche.

La mission della scuola, il suo dovere morale è includere, non stigmatizzare. Lo stigma prelude l’esclusione; l’esclusione anticipa la dispersione. La dispersione comporta la negazione di ogni valore di civiltà, di sviluppo e di progresso. Il prezzo da pagare poi è altissimo. Quello morale è sotto gli occhi di tutti.

L’insegnamento inoltre ha il dovere di andare oltre la funzione, la professione, la specializzazione. Deve ridiventare compito di salute pubblica: missione. Una missione di trasmissione. Ma la trasmissione richiede competenza, anche arte, amore,
“eros”, come affermava Platone. Amore per la conoscenza e per l’allievo. La missione, a sua volta, presuppone la fede: fede nella cultura e nella mente umana. Se non c’è amore, passione, non c’è trasmissione di saperi. Si assiste, di contro, al disorientamento dei giovani, alla loro dispersione.

Concludo con un accenno al nuovo insegnamento: “Cittadinanza e Costituzione” che prevede 33 ore all’anno di educazione e che il MIUR introdurrà dal prossimo anno scolastico nel 1° e nel 2° ciclo d’istruzione.
L’art. 1 di “Cittadinanza e Costituzione” così recita: Nel primo e nel secondo ciclo di istruzione le conoscenze e le competenze relative alla convivenza civile e alla cittadinanza sono acquisite attraverso la disciplina denominata “Cittadinanza e Costituzione”, individuata nelle aree storico-geografica e storico-sociale ed oggetto di specifica valutazione. Nella scuola dell’infanzia tale dimensione si realizza prevalentemente nel campo d’esperienza “il sé e l’altro”.
Tornando al “bullismo” e alla maleducazione, considerato che a livello sociale l’indebolimento del controllo e dell’inibizione delle condotte negative favorisce la riduzione della responsabilità personale, individuale, il MIUR ha deciso che: il comportamento degli studenti, valutato dal consiglio di classe, concorrerà alla valutazione complessiva dello studente e – a differenza di quanto accadeva fino ad ora - potrà determinare, se insufficiente, la non ammissione al successivo anno di corso. Inoltre, ai fini dell’ammissione all’esame di Stato, è prevista la riduzione fino a un massimo di 5 punti del credito scolastico.
Il provvedimento riguarderà tutti gli studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado.

Lo stesso Ministro Mariastella Gelmini ha ribadito che “il comportamento deve concorrere alla valutazione complessiva dello studente. Valutare il comportamento significa rafforzare nella comunità scolastica l’importanza del rispetto delle regole e, dunque, la capacità dello studente, cittadino di domani, di saper stare con gli altri, di esercitare correttamente i propri diritti, di adempiere ai propri doveri e di rispettare le regole poste a fondamento della comunità di cui fa parte. Questo provvedimento – prosegue il Ministro - vuole essere uno strumento ulteriore per responsabilizzare gli studenti e i docenti”.
La scuola delle 3 C (C. Corradini), Costituzione, Cittadinanza, Comportamento, coincide con la scuola della legalità, poiché essa, la scuola, è l’agenzia educativa più importante preposta alla formazione dei bambini e dei giovani.

Valori giovanili

Valori, comportamenti, pratiche giovanili nella società odierna.

Nella società dell’informatica, dell’informazione, della globalizzazione e dell’immagine occorrerà formare una conoscenza capace di affrontare la complessità dell’esistenza umana attuale e futura. L’apprendistato alla vita si potrebbe fare seguendo due vie: una interiore, l’altra esteriore.
La via interiore passa attraverso l’autoanalisi, l’autocritica e anche attraverso la metacognizione (Bruner, Vigosky, Feuerstein). L’autoanalisi deve essere insegnata a partire dalla scuola primaria e durante tutto il suo corso. Bisognerebbe insegnare come la visione delle cose dipenda non tanto dalle informazioni ricevute quanto dal modo in cui è strutturato il nostro modo di pensare. Ai giovani bisognerebbe insegnare gli errori e le deformazioni che si verificano anche nelle testimonianze più sincere e convinte. La via esteriore sarebbe l’introduzione alla conoscenza dei media. I nostri studenti si trovano oggi precocemente immersi nella cultura mediatica (televisione, giochi, video,annunci pubblicitari). Ruolo del maestro non è quello di denunciare, ma di far conoscere i modi di produzione di tali culture. Si dovrebbe mostrare come il trattamento delle immagini filmiche, televisive, specialmente attraverso il montaggio, possa dare un’impressione arbitraria della realtà. Il maestro potrebbe anche commentare, ambientare le trasmissioni seguite e i giochi praticati dagli allievi fuori dalla classe. Fermo restando che verranno seguiti e trasmessi gli altri saperi. Nella scuola secondaria missione capitale dell’insegnamento è la salvaguardia della cultura umanistica. Ma oltre l’insegnamento delle varie discipline, gli insegnanti, i dirigenti scolastici, soprattutto quelli della scuola secondaria, dovrebbero educarsi rispetto al mondo adolescenziale e alla sua cultura. Al di sotto di quella che viene definita “collaborazione di classe” vi è sempre stata una lotta di quartiere fra insegnanti, che detengono il potere e la maggior parte degli studenti. Questi ultimi si creano il proprio underground clandestino, che realizza le sue piccole trasgressioni (copiature, sistemi per non fare scena muta ecc.). Se poi si pensa alle disagiate condizioni di certe periferie, “la lotta di quartiere” raggiunge livelli allarmanti. La scuola dovrebbe istruirsi sull’autonomia acquisita dal mondo adolescente, a partire dagli anni ’60, ’70, in rapporto alla cultura familiare, alla cultura scolastica, sulle forme di aggregazione e sulle regole specifiche dei gruppi adolescenti (clan) fino ad arrivare, là dove c’è disgregazione del mondo familiare e del tessuto sociale (periferie) alla formazione di clan che costituiscono vere e proprie micro-società, con i loro territori sacralizzati, con la loro legge di vendetta, con il loro codice d’onore. Si tratta di progredire nella reciproca conoscenza, nel mutuo riconoscimento di due universi imbricati l’uno nell’altro, ma che non si conoscono. La scuola ha il compito di avvicinarsi all’irruzione della cultura mediatica ad essa esterna, ignorata e disdegnata da certo mondo intellettuale. La conoscenza della cultura mediatica è necessaria per comprendere non solo i processi multiformi di industrializzazione e di sovracommercializzazione culturale, ma anche ciò che i media traducono e traggono, come temi, dalle aspirazioni e dalle ossessioni proprie dello “spirito del nostro tempo”. In pratica la scuola può impegnarsi affinché gli studenti comprendano che le serie televisive, di cui gli allievi si nutrono, con le loro convenzioni e visioni stereotipate, situazioni enfatizzate, trattano, come il romanzo e la tragedia, delle aspirazioni, delle paure e delle ossessioni delle nostre vite: di amori, odii, incomprensioni, fraintendimenti, incontri, separazioni, fortuna, sfortuna, malattia, morte, speranza, disperazioni, astuzia, ambizione, imbrogli, denaro, divertimenti, droghe. Non è possibile continuare ad insegnare gli stessi contenuti attraverso le stesse modalità, gli stessi tempi di 50 – 100 anni fa. L’infanzia, l’adolescenza di oggi sono profondamente cambiate rispetto a quelle di qualche generazione fa. I loro tempi sono notevolmente accelerati. I campi d’interesse anticipati. Lo si individua bene attraverso lo studio dell’editoria dell’infanzia e dell’adolescenza e attraverso la produzione libraria ad esse dedicata. Fino agli anni ’50-’60 era ancora possibile leggere, narrare la letteratura dell’800 o anche del ‘700. Ma dagli anni ’60, ’70 in poi vi è stata una vera rivoluzione copernicana, cui ha resistito solo Pinocchio di Lorenzini. Del resto il ritmo narrativo del capolavoro di Collodi è incalzante ed il tema della ribellione e della trasgressione è ben compreso dal bambino e dal ragazzo di oggi. Negli ultimi anni, poi, si è assistito al più grande cambiamento avvenuto mai nell’universo giovanile. Come già affermato, la trasformazione, in rapporto alle generazioni precedenti, può definirsi rivoluzionaria. Né potrebbe essere altrimenti dato il consumismo, di cui la televisione è soltanto la punta più evidente, la velocità nel viaggiare, nell’avere informazioni. Oggi Roma - NewYork si raggiunge in meno di sei ore di viaggio. Negli anni 50 del XX sec. occorrevano trenta giorni e più di navigazione atlantica. L’informazione scorre on-line 24 ore su 24. E’ certo ormai che la televisione ha contribuito non solo ad anticipare i campi di interesse giovanili, favorendo il consumismo, ma ha anche accelerato la rapidità di apprendimento. Le generazioni che hanno preceduto le attuali hanno appreso la struttura della narrazione attraverso il libro e non all’età di sei anni, quando frequentavano la prima classe elementare, oggi primaria, ma a otto anni, quando erano già in terza classe ed avevano sviluppato una certa libertà nella capacità di lettura. Ora, invece, anche grazie agli spot pubblicitari, brevi sì, ma che già contengono una story-board, i bambini di quattro anni riescono a capire la struttura narrativa se non addirittura ad anticiparne le sequenze. Dunque tempi e campi d’interesse anticipati; ritmi e gusti che risentono delle influenze ed esigenze contemporanee. I libri di Salgari e di Verne, quantunque a loro tempo avvincenti e capolavori, oggi sono superati dagli speciali di Super-Quark- L’horror, il giallo affascinano l’infanzia poiché essi esorcizzano la paura dell’ignoto, della realtà incombente e complessa. Un sistema educativo, una teoria pedagogica, un indirizzo politico-nazionale di ampio respiro che sottovaluta il contributo della scuola allo sviluppo dell’autostima degli alunni fallisce in una delle sue funzioni primarie, fallisce come agenzia formativa a vantaggio di una miriade di agenzie “antiscuola”, dove molti giovani si rifugiano per compensare il fallimento vissuto a scuola. Le “agenzie antiscuola” sono bande di “micro-criminalità” che rinfoltiscono le loro fila con adolescenti alla ricerca della propria identità e del rispetto dei pari. Gli esiti di tale concorrenza sono evidenti negli USA, dove vengono alienati abbastanza ragazzi neri per sbarcarne un terzo in prigione prima dei trent’anni. Da noi la situazione sociale fa presagire uguale destini se non si corre ai ripari. Se la capacità d’azione (saper fare) e la stima (saper essere) sono essenziali per la costruzione del concetto di sé, allora il funzionamento del sistema scolastico va esaminato anche in funzione del contributo dato a queste due componenti essenziali della personalità. Bisogna dunque ricorrere all’assegnazione di maggiore partecipazione e responsabilità nella scelta e nel raggiungimento degli obiettivi in tutti gli aspetti delle attività scolastiche. E’ urgente implementare il diritto alla cittadinanza attiva. Tale concezione, cara alla tradizione progressista in campo educativo, è in linea con il principio costituzionale secondo cui in una democrazia diritti e responsabilità sono due facce della stessa medaglia. Bruner sostiene che in molte culture democratiche ci si preoccupa troppo dei criteri formali del “rendimento” e degli aspetti burocratici dell’istruzione, in quanto istituzione, tanto da trascurare l’aspetto personale dell’educazione. Anche Morin, come Bruner, rivaluta l’importanza della cultura umanistica, in particolare della narrazione, del romanzo. Laddove vi è una storia insufficiente, incompleta, inadeguata su se stessi, nasce, si sviluppa una nevrosi. La narrazione è probabile abbia la stessa importanza e funzione per la coesione della cultura quanto per la strutturazione di una vita individuale. A proposito vale la pena di ricordare che Peter Pan chiede a Wendy di tornare con lui nel “Paese che non c’è”, per convincerla, così le spiega, che potrebbe insegnare ai “bambini smarriti” a raccontare storie. Infatti se le sapessero raccontare, potrebbero crescere, imparerebbero a crescere. L’invenzione narrativa stimola l’immaginazione. Morin e Buner, ma anche Gadner danno grande importanza alla cultura umanistica che è riuscita a spiegare l’affanno umano, la fatica di vivere, molto più di quanto abbia fatto finora la scienza con i suoi sterili, aridi calcoli ed esplorazioni. Si pensi a Shakespeare, Cervantes, Montagne, Balzac, Dostojeskij, Proust o al grande teatro greco. E’ importante saper narrare, conoscere storie. Queste, assieme ai miti, strutturano e nutrono l’identità di persona. Sentirsi a proprio agio nel mondo, sapendo dove collocarsi in una storia autodescrittiva, oggi è reso ancor più difficile dai flussi migratori. Un bambino, un ragazzo, che arriva da Tunisi a Milano con la famiglia, è letteralmente sradicato, disorientato e per quanto multiculturali siano gli intenti degli operatori scolastici il fallimento dell’integrazione sarebbe certo se non intervenissero gruppi culturali alternativi in grado di aiutare l’immigrato, di sostenerlo, di riempire il vuoto venutosi a creare nella sua esistenza. E perché la narrazione sia strumento della mente, capace di dare significato, bisogna leggerla, farla, analizzarla, sentirne l’utilità. Bruner ritiene che l’educazione dei giovani sia un’attività complessa che cerca di adattare i suoi membri e i loro modi di conoscere alle esigenze della cultura; né può limitarsi all’impiego dei risultati di un “test delle prestazioni” centrato sul soggetto o all’applicazione delle “teorie dell’apprendimento”. La pedagogia moderna è sempre più dell’idea che il bambino, il ragazzo, debba essere consapevole dei propri processi di pensiero e che sia essenziale che il teorico di pedagogia e l’insegnante lo aiutino a diventare metacognitivo, ossia a essere consapevole non solo dell’argomento-materia che sta studiando, ma anche del suo stesso modo di procedere nell’apprendere e nel pensare. Ma acquisire competenze e accumulare conoscenze non basta. Lo studente va aiutato a raggiungere la piena padronanza riflettendo anche sul modo di affrontare il lavoro e su come intervenire per migliorare il suo approccio. Un aiuto può essere la costruzione di una buona teoria per la mente, o una teoria per il funzionamento mentale. Lo studente, in quanto ed innanzi tutto persona, è un essere attivo ed intenzionale, non è un recipiente vuoto che va riempito. Egli già è. Va solo “ex-ductum”. Si ricordi la scuola e la maieutica socratica. La conoscenza è “creata dall’uomo”, non è lì a nostra disposizione. La conoscenza del mondo e degli altri viene continuamente costruita e negoziata con gli altri, sia quelli a noi contemporanei, sia coloro che ci hanno lasciato da tempo. Le culture non sono statiche, stabili, irreversibili. Esse sono in continua evoluzione e la velocità del cambiamento aumenta quanto più i nostri destini umani si intrecciano attraverso le migrazioni dei popoli, il commercio, il rapido scambio di informazioni.
K. Lorenz, studiando le nuove generazioni, sostiene che queste, così come avviene nel mondo animale, sono guidate da una neofilia fisiologica, da un desiderio istintivo di staccarsi dalle tradizioni delle generazioni precedenti per ricercare nuovi ideali con cui identificarsi e per cui battersi. Lorenz ritiene tali comportamenti molto vantaggiosi per la conservazione della specie, in quanto la rende libera, autonoma, creativa, innovativa. Ma per fortuna al periodo della neofilia fisiologica segue quello dell’ubbidienza ritardata e dell’amore per ciò che rappresenta la tradizione. Entrambe le fasi, che contraddistinguono sia la storia e la vita dei singoli, sia quella della collettività, costituiscono la dialettica tra il nuovo e l’antico che non si annullano, ma si compensano. Infatti spinte troppo tradizionali e conservatrici soffocherebbero un sistema, lo condannerebbero all’autoestinzione, così come spinte troppo dinamiche e audacemente innovative lo condurrebbero all’autodistruzione. Ecco dunque la necessità di un equilibrio dialettico fra le due fasi, fra le parti, al fine di garantire quella che Durcheim definisce nel discorso fra la solidarietà organica e la solidarietà meccanica. Ossia puntare sulla solidarietà organica garantisce che ciascuna persona prenda il lievito che gli viene dal sistema precedente in uno scambio collaborativo da una competenza all’altra che consente la neofilia fisiologica, ma soprattutto favorisce l’equilibrio che permette di vivere e di progredire.
Dunque un cambiamento misurato, equilibrato, che coinvolge un sistema, la scuola, da sempre istituzione che insegna, ma che non apprende, non vuole apprendere; organismo che più di ogni altro è resistente alle innovazioni. Forse perché è luogo deputato alla memoria, alla tradizione. Di qui probabilmente il disagio dei giovani che avvertono di essere incompresi. Oggi è necessario che la scuola, riscopra la vocazione per cui è nata: l’eplorazione, la ricerca, la proiezione nel futuro, forte degli strumenti trasmessi dalla tradizione. Gardner in “Sapere per comprendere” sottolinea come negli ultimi anni esponenziali siano stati i progressi della scienza e della tecnica che hanno inevitabilmente influito sugli stili, sui ritmi di apprendimento, ma anche anticipato i campi d’interesse delle nuove generazioni. A fronte di tale rivoluzione copernicana la scuola è rimasta quella di un secolo fa tanto che se un essere umano degli inizi del novecento venisse collocato all’interno di un’aula scolastica attuale sarebbe a suo agio, si orienterebbe perfettamente, poiché i rituali comportamentali sono identici a quelli del suo tempo: prevalenza nella didattica della lezione frontale, esercitazioni scritte, attività decontestualizzate.

La scuola, ambiente decontestualizzato.
Ora mentre nella scuola vige una cultura reale, fatta di programmi, di contenuti di materiale specifico, di libri di testo, al suo interno, fra gli studenti, si consuma una cultura virtuale volutamente ed erroneamente ignorata. Quella dei giovani è detta virtuale nel duplice senso di cultura massmediale e di cultura potenziale; è quella che alcuni definiscono cultura giovanile, quella del muretto o dell’ombrellone. Dentro questo modo di vivere e comunicare dei giovani ci sono principi etici, civici perché la cultura giovanile interpreta le cose, elabora degli orientamenti. Il problema è che la cultura formale, quella degli adulti, della scuola, non dialoga con quella virtuale. E’ bene trovare maggior aggancio tra ciò che appartiene alla cultura formale e che proponiamo da studiare e quanto è tipico della cultura virtuale che gli studenti si portano dentro al fine di far emergere e valorizzare i valori e i contenuti della cultura giovanile, che poco o per nulla viene presa in considerazione dalla scuola e sulla quale poco o per nulla incide la cultura reale della scuola.. Investire sulla negoziazione significa in questo caso dare più spazio alla cultura virtuale dei giovani. Esiste poi una terza tipologia di cultura: la cultura possibile, quella presente nell’ambiente extrascolastico, che non entra ugualmente dentro le mura scolastiche. Il giovane è a contatto quotidiano con la cultura possibile disseminata nel contesto familiare, geografico, nel contesto di vita; è una cultura presente, muta, silente fino a quando non la si interroga. Di essa lo stesso giovane spesso non si accorge. E’ la cultura del territorio, che non comprende solo quello artistico, ma anche il tessuto produttivo così ricco di formazione. La cultura formale della scuola, molto forte, impedisce di riconoscere la cultura possibile che è nell’ordine della coscienza collettiva. La scuola, quindi, è un ambiente decontestualizzato che non riesce a stabilire contatti né con il vissuto culturale dei ragazzi né con il tessuto culturale del territorio. In questo modo finisce con l’essere lontana razionalmente ed emotivamente dall’uno e dall’altro. Accoglie su di sé le insoddisfazioni delle attese e le accuse di inefficienza e di inefficacia. Il rimedio a tale situazione è stato ovviato oltre che nell’invito generico ad una maggiore apertura della scuola al territorio, nelle forme di flessibilità organizzativa e didattica, riconosciute alle scuole proprio con l’autonomia. Oggi le scuole, chiamate a nutrire la “quota di curricolo loro riservata” con insegnamenti ed attività autonomamente scelti, possono rispondere all’esigenza di una maggiore aderenza alla cultura possibile, presente ed espressa nel territorio, e possono trarne maggiore soddisfazione.

Il predominio della cultura umanistica.
La cultura nel nostro tempo è stata contraddistinta dalla dualità della cultura umanistica e scientifica. C.P. Snow, nel suo fortunato saggio del 1959 , già denunciava la pericolosa frattura tra le due culture e non a caso preannunciava un “conflitto fra esse”. Oggi in più sedi si denuncia l’endemica ipotrofia della cultura scientifica nelle nostre scuole a vantaggio della cultura umanistica. Il Libro bianco sulla scuola di E. Cresson ha messo in risalto che i giovani potranno andare incontro a degli shocks nel futuro, se non avranno una preparazione adeguata. Uno di questi shocks è proprio quello causato dal celere Know-how della società scientifica e tecnologica. L’ uomo di oggi avverte contemporaneamente i benefici e le minacce derivanti dal progresso scientifico e tecnologico. Ai nostri tempi si sta verificando lo stesso sfasamento tra progresso da una parte e coscienza collettiva dall’altra, che ha contraddistinto la transizione dal Medio Evo al Rinascimento. Il progresso scientifico e tecnologico ha ritmi sostenuti di evoluzione, mentre la coscienza collettiva non è capace di tenere dietro a tale andamento. Solo una maggiore preparazione e formazione scientifica di tutti può aiutare ad evitare lo shocks. Non basta. Nelle nostre scuole si registra anche la sottovalutazione di quella che viene definita la terza cultura: le scienze sociali, che hanno la stessa dignità epistemologica delle altre due culture. Il supporto scientifico a tale affermazione è dato da W. Lepenies “Le tre culture”, da M.Talamo “Oltre le due culture”, ma anche da E. Morin “La testa ben fatta” e Gardner “Sapere per comprendere”. Già la Commissione dei Saggi, invitata ad indicare “i saperi essenziali per la scuola del futuro”, a suo tempo, aveva rimarcato il maggiore peso da assegnare ad alcuni saperi nell’impianto curricolare. E’ il caso dell’arte, della musica, del cinema, della filosofia, del diritto ed economia, di cui si chiede una maggiore considerazione e, quindi, estensione a tutti i segmenti scolastici ed ai diversi indirizzi. L’impianto curricolare attuale del nostro sistema scolastico non assicura, quindi, l’equilibrio tra i diversi saperi finendo con il non essere rispondente alle esigenze del tempo e con il produrre una formazione culturale incompleta e disorganica nei giovani. Con la riforma come si può rispondere a questa carenza? Si risponde con la ridefinizione dell’impianto curricolare di ciascun segmento scolastico. Si ipotizza una riorganizzazione del curricolo che preveda l’equilibrio tra le tre culture: quella umanistica, quella scientifica e quella sociale, prima che lo studente acceda ai diversi indirizzi della scuola secondaria in cui specifiche caratterizzazioni sono necessarie. Maggiore equilibrio, dunque, tra cultura umanistica, cultura scientifica e cultura sociale e nuovi saperi emergenti nel nostro tempo: è un cambiamento necessario. E’ bene che un giovane conosca non diciamo la sociologia, ma alcuni fenomeni sociali rilevanti; che abbia la conoscenza di alcuni elementi di psicologia; che esca dalla scuola dell’obbligo e sappia riguardo al concetto di responsabilità civile e responsabilità penale (guida il motorino!); che conosca l’apparato giudiziario, gli organi dello Stato, i partiti politici, elementi di economia ( Pil, Euro, Bilancio dello Stato); che sappia perché si pagano le tasse e perché i paesi poveri sono sempre più poveri ( circolo vizioso della povertà). Etc. Si deve tendere all’organicità curricolare. Se non dovessero riuscirci con i curricoli nazionali si può sempre intervenire con gli insegnamenti e le attività autonomamente definiti dalle scuole, cha vanno ad arricchire l’offerta formativa.

Il fascino ed il mito dell’esaustività.
Attualmente il percorso scolastico che si offre all’alunno è frammentato in senso verticale in quattro segmenti: scuola dell’infanzia, scuola primaria, scuola media, scuola superiore. Lo è anche a livello orizzontale: ci sono ben 200 indirizzi. In senso verticale assistiamo a una riproposizione di contenuti e di conoscenze che, anche se fatta in nome di un approfondimento, risulta spesso una diseconomia e nasconde il convincimento che l’alunno debba accumulare conoscenze, secondo il concetto di alunno “cisterna”. Gardner in “Sapere per comprendere” scrive: “Nel tempo la maggior parte delle scuole ha enfatizzato l’importanza di accumulare una notevole quantità di conoscenze apprezzate dalla società. L’insegnante fa lezione e lo studente legge il manuale; in tal modo le conoscenze vengono assorbite, assimilate e poi esibite”. Questo può essere definito automatismo cognitivo che è una disfunzione del nostro sistema scolastico. Vandevelde (“Il mestiere della scuola oggi”), interrogandosi sul fine dell’interrogazione per i docenti, sosteneva che l’unico fine era la restituzione dell’appreso.
Il nozionismo e l’automatismo cognitivo si fondano sulla memorizzazione e sull’apprendere e non sul comprendere dice Gardner, il quale prosegue ricordando che fin dall’antichità c’era un modo alternativo di educare; per i maestri educare significava proporre questioni, stimolare l’analisi delle soluzioni alternative e impegnare il discepolo a costruire la propria conclusione personale ( i dialoghi socratici ). La disfunzione esistente ne porta dietro un’altra, che è quella dell’esaustività dei contenuti proposti: trattare il maggior numero possibile di argomenti. Il bravo insegnante è stato considerato per anni colui che “finiva” il programma, magari già alla fine di aprile, per poi fare il ripasso. L’esaustività non ha più senso. E. Cresson sostiene che un giovane non ha bisogno solo del bagaglio culturale, ma del potenziale cognitivo. Il potenziale cognitivo è la capacità di procurarsi le conoscenze, di apprendere a conoscere di imparare ad imparare (Bruner, Feuerstein, Vigoskj).
Già Seneca, rispondendo a Lucilio che riferiva al suo maestro, e forse con orgoglio, delle sue numerose letture, lo ammoniva e lo invitava a selezionare alcune cose e ad approfondirle perché: nusquam est qui ubique est. Come ovviare a tale situazione? La risposta è già implicita nell’analisi in cui Gardner fa riferimento al mondo classico: essenzializzare i contenuti dell’insegnamento. Ricercare cioè i contenuti irrinunciabili e concentrarsi su di essi evitando l’assillo di accumulare conoscenze nella mente degli alunni. Occorre un’organizzazione dei curricoli improntati al criterio della progressività: si pensa ad un curricolo unico dai 3 ai 18 anni, in modo da evitare sovrapposizioni di contenuti. E’ necessario in modo particolare una organizzazione dei curricoli improntata principalmente sui saperi procedurali, sui “nuclei fondanti”, sui “concetti-chiave”.
La scuola ha, così, la duplice funzione di fornire a tutti un nucleo di conoscenze essenziali riorganizzate intorno a concetti-chiave e di indirizzare il soggetto a comportamenti intellettuali nell’azione di formazione. A questo si vuole tendere con i nuovi curricoli o almeno con un modo nuovo di fare scuola. Una scuola dunque rispondente alle esigenze del tempo, alle incertezze, al crollo del progresso garantito, agli innumerevoli scacchi delle previsioni economiche. Una scuola che trasmette la conoscenza storica che a sua volta serve non solo a riconoscere i caratteri, nello stesso tempo determinati ed aleatori, del destino umano, ma anche ad aprirci all’incertezza del futuro. Prepararsi all’incertezza vuol dire sforzarsi di pensare bene, rendersi capaci di elaborare ed usare strategie, fare,infine, con tutta coscienza le nostre scommesse. Pensare bene vuol dire praticare un pensiero che si sforzi senza sosta di contestualizzare e globalizzare le sue informazioni e le sue conoscenze, che lotti contro l’errore e la menzogna, ma significa anche essere coscienti dell’ecologia dell’azione. Importante a proposito è la strategia che, come il programma, si stabilisce in vista di un obiettivo, ma che differentemente dal programma, che ha bisogno di condizioni esterne stabili, riunisce le informazioni, le verifica, modifica le sue azioni in funzione di informazioni raccolte e dei casi strada facendo. Fino ad oggi tutto il nostro insegnamento ha puntato e teso al programma, mentre la vita ci richiede strategie e, se possibile, anche serendipità ed arte. La strategia porta con sé la consapevolezza dell’incertezza che dovrà affrontare e comporta quindi una scommessa. La scommessa dovrà essere fatta con coscienza piena, altrimenti porta alla rovina. La scommessa è l’integrazione dell’incertezza nella fede e nella speranza. Ma la fede e la speranza non è di tutti. K. Marx in una delle sue tesi su Feuerbach si chiedeva ”Chi educherà gli educatori?” Saranno pochi coloro che animati dalla fede nella necessità di riformare il pensiero avvieranno la rigenerazione dell’insegnamento. Saranno coloro che hanno già in sé il senso della loro missione. Freud sosteneva che ci sono tre funzioni impossibili per definizione: educare, governare, psicanalizzare. Morin ritiene che queste siano molto più che funzioni o professioni. Il carattere funzionale dell’insegnamento lo riduce ad impiego, quello professionale porta a ridurre l’insegnante ad esperto. L’insegnamento invece ha il dovere di andare oltre la funzione, la professione, la specializzazione. Deve ridiventare compito di salute pubblica: missione. Una missione di trasmissione. La trasmissione richiede competenza, ma anche arte, amore, “eros”, come affermava Platone. Amore per la conoscenza e l’allievo. La missione presuppone la fede, la fede nella cultura e nella mente umana. Se non c’è amore, passione, non c’è trasmissione di saperi. Si assiste, di contro, al disorientamento dei giovani, alla loro dispersione.

Elevato tasso di dispersione scolastica.
La dispersione scolastica già a livello quantitativo ci preoccupa. Rispetto agli altri paesi europei, in percentuale, sono pochi i ragazzi che arrivano al diploma. Noi abbiamo un dato certo: il 35% di giovani si disperde ed esce dal sistema scolastico senza conseguire il titolo finale di istruzione secondaria di secondo grado. La dispersione quantitativa è palese, evidente, oggettiva ed inconfutabile. Ma preoccupante è anche la dispersione qualitativa. Ad eccezione della scuola primaria, le indagini sulla qualità degli apprendimenti degli alunni nel segmento secondario ci pongono in una posizione fortemente penalizzante. Siamo di fronte alla dispersione latente dello studente che quando esce dal sistema scolastico si disperde, non trova realizzazione perché non ha gli strumenti per potersi orientare e realizzare. Oggi corriamo il rischio di conoscere un nuovo analfabetismo, non quello strumentale ( non saper leggere e scrivere) e neppure quello funzionale ( non comprendere ciò che si legge), ma quello conoscitivo: l’individuo sa leggere e scrivere, comprende ciò che legge e scrive, ma non possiede gli strumenti cognitivi per procurarsi di volta in volta le conoscenze di cui ha bisogno. Può diventare un disperso sociale anche l’alunno scolasticamente positivo perché non conosce le modalità di inserirsi nel tessuto sociale. Questa è una dispersione nascosta di cui la scuola non si è mai occupata. Alla cura di questa malattia, in verità molto grave, sono finalizzate tutte le innovazioni proposte ed in modo particolare l’innalzamento dell’obbligo di istruzione fino a 18 anni. Con la legge 30/2000 (Riordino dei cicli) l’obbligo rimarrà per sempre per nove anni e cioè fino al termine del biennio della scuola secondaria, ma se dopo gli anni obbligatori, il giovane decide di non proseguire gli studi è tenuto, fino a 18 anni, a frequentare corsi di formazione professionale e/o di apprendistato. L’accorciamento di un anno di scolarità (diciotto anni complessivi rispetto agli attuali diciannove), viene compensato dall’obbligo formativo, previsto comunque fino al diciottesimo anno attraverso un percorso formativo integrato. Il sistema formativo integrato prevede che una scuola possa offrire agli allievi di frequentare contemporaneamente la formazione professionale e di conseguire anche due qualifiche: il titolo della maturità e la qualifica professionale anche in tempi diversi attraverso il riconoscimento dei crediti accumulati nel corso degli anni. L’innalzamento dell’obbligo di istruzione e dell’obbligo formativo fino a 18 anni e soprattutto l’integrazione tra i due sistemi rappresentano le iniziative finalizzate al contenimento della dispersione scolastica.Queste sono le principali disfunzioni che vengono addebitate al sistema scolastico. L’innovazione ha ragione di esistere nel momento in cui vuole eliminare le disfunzioni dell’attuale sistema che sono verificabili sia a livello empirico sia a livello scientifico.

I cambiamenti necessari.
La società della conoscenza, del navigare a vista, come recita il “Libro Bianco” di E. Cresson, richiede una scuola autonoma, libera, flessibile, innovativa. Se è luogo deputato alla trasmissione del sapere, dunque all’apprendimento, la scuola non può disconoscere che apprendimento, inteso come modificazione del comportamento, significa inevitabilmente cambiamento.

L’uniformità della proposta di educazione e di istruzione.
A proposito Gardner sostiene che le scuole di tutto il mondo sono state da sempre caratterizzate dall’uniformità dell’educazione proposta, sia dal punto contenutistico, che organizzativo, che metodologico, che delle terminalità (obiettivi-traguardi) da raggiungere. Una scuola sì fatta, che richiede a tutti lo stesso standard, altrimenti scatta la sanzione della bocciatura, è stata caratterizzata dal principio egalitario dell’istruzione e dell’educazione, che rappresenta uno strumento di giustizia sociale. Tale scuola ha consentito a tutti le stesse opportunità, discriminando poi nei risultati. L’uguaglianza delle opportunità, rivendicata dalla riforma degli anni 70, invero si è limitata all’uguaglianza del diritto di accesso a scuola. Il timore di perpetrare discriminazioni sociali in quello che è riconosciuto come diritto inscritto nell’uomo, il diritto all’istruzione, ha comportato in effetti disuguaglianza di risultati, poiché gli studenti sono stati considerati come se fossero tutti uguali, caratterizzati dagli stessi ritmi, dagli stessi stili, dagli stessi interessi etc. G. Allport, grande teorico della personalità, afferma, invece, che nessun uomo è sosia. La persona umana è contraddistinta da tratti di universalità, presenti in tutte le razze, da tratti di singolarità, di similarità e di distinzione. Per dirla con Don Milani “l’ingiustizia più grande consiste nel far parti uguali fra disuguali”. L’uniformità delle proposte educative è una grande disfunzione sia a livello socio-pedagogico, sia cognitivo. Gardner parla di intelligenze multiple, ognuna delle quali si esprime in un modo particolare. L’uniformità risulta poi essere una disfunzione anche a livello pedagogico e psicologico. Erikson in Gioventù e crisi di identità sostiene che l’identità si costruisce attraverso due processi: 1) l’integrazione con l’altro cercando di assumere i comportamenti, le caratteristiche, le peculiarità dell’altro (la personalità si forma attraverso l’identificazione con l’altro); 2) la distinzione dall’altro acquistando la coscienza di avere l’identità di se stessi, altrimenti si è gregge (si ha l’identità collettiva, ma si possiede la percezione di sé nel momento in cui si individuano caratteristiche proprie).
Un’educazione uniforme, troppo omogenea, non risponde dunque al bisogno psicologico di identità personale.

Portfolio e percorso formativo personalizzato.
E’ necessario dunque cambiare. E’una responsabilità storica troppo grande lasciare le cose così come sono. La necessità al cambiamento è stato ravvisato ancora nell’ autonomia conferita alle scuole, che prevista dall’art. 21 della legge 59/97, dopo tre anni di sperimentazione, con il D.P.R. 275/99 è entrato a regime. E allora in che modo l’autonomia vuole combattere l’uniformità della proposta educativa? Come si può rispondere alla singolarità di ciascuno studente, in quanto persona? Con un curricolo d’Istituto che trovi spazio sia nella quota del 15, 20, 30%, riservata al curricolo locale, sia nell’ampliamento dell’offerta formativa (art.9 del regolamento L 275/99). Il curricolo costituisce lo strumento per rispondere alla singolarità della persona umana, alla pluralità delle intelligenze multiple. La risposta all’uniformità è la pedagogia della diversità. L’autonomia organizzativa e didattica è funzionale alla pedagogia della diversità. Oltre a rispondere a livello di assetto disciplinare ed organizzativo, si può dare una risposta uniforme anche a livello personale attraverso la personalizzazione dei percorsi formativi e l’introduzione di quel prezioso strumento quale è il porfolio o libretto formativo del cittadino. La scuola dell’autonomia deve muoversi all’insegna della centralità del soggetto che apprende con la sua individualità, con i suoi ritmi, con le sue peculiarità, con la rete di relazioni che legano la sua famiglia ai diversi ambienti socio-culturali di provenienza. Ne scaturisce la necessità di avviare strategie di flessibilità didattica e organizzativa e momenti e modelli di personalizzazione dei percorsi formativi che devono essere certificati. La capitalizzazione delle varie esperienze d’istruzione e di formazione da parte di ogni individuo, nell’arco della propria scolarizzazione ed attività lavorativa, costituisce uno dei capisaldi del nuovo sistema di personalizzazione e di integrazione dei percorsi formativi, così come va profilandosi nei paesi più avanzati. Pertanto il portfolio o libretto formativo del cittadino costituisce un modo personalizzato di documentare il curriculum di ciascun soggetto, le competenze acquisite, i crediti formativi riconosciuti sia per l’inserimento nel mondo del lavoro, sia per il conseguimento di altri titoli di studio. La sua valenza sta essenzialmente in un nuovo modo di concepire il rapporto insegnamento/apprendimento, che deve essere basato su un impianto autenticamente orientativo, capace di individuare e coltivare vocazioni, carismi, potenzialità dei giovani, tanto da condurli gradualmente verso il successo formativo. Così la certificazione costituirà l’apice di un complesso percorso formativo e procedimento di valutazione e di autovalutazione. Il portfolio prevede: 1) una sezione dedicata alla valutazione, che registra analiticamente e per aree disciplinari le conoscenze, le competenze, i crediti, i debiti maturati, le azioni di sostegno e/o recupero individuate attraverso l’elaborazione di un curriculum personalizzato da monitorare frequentemente con l’alunno stesso; 2) una sezione dedicata all’orientamento, relativa alla conoscenza che l’alunno ha di se stesso, soprattutto in merito al suo modo di affrontare lo studio, di imparare a riflettere sulle motivazioni e sugli atteggiamenti con cui affronta gli impegni scolastici, alle difficoltà di apprendimento che supererà con il docente tutor; 3)una terza sezione contenente una raccolta di materiali, significativi e realizzati dal discente, scelti con criteri di selezione individuati da lui e concordati con gli insegnanti. Nell’elaborazione del portfolio il docente e il discente devono: 1) chiarire le ragioni per la compilazione del fascicolo; 2)ipotizzare e concordare le modalità per impostarlo e gestirlo e il luogo in cui conservarlo. Il docente deve anche informare sulle attese che nutre nei riguardi del lavoro e dell’impegno dei suoi discenti. Il portfolio, che documenta la personalizzazione del percorso formativo dello studente, è compilato dal docente-tutor in collaborazione con il team-docenti che si fa carico dell’educazione e degli apprendimenti dell’allievo, sentendo i genitori e gli alunni stessi, chiamati ad essere consapevoli e protagonisti della loro crescita.
La personalizzazione dei percorsi formativi è una problematica forte, anche se Bruner sostiene che con metodi e strumenti adatti si può insegnare qualunque cosa a qualsiasi età. Dice ancora Gardner: “Un’ educazione individualizzata è forse più giusta: essa non privilegia un certo tipo di intelligenza, ma si adegua alla fisionomia intellettuale di ogni studente, né persegue l’obiettivo di far assomigliare l’individuo agli altri membri della comunità. Diversamente dalla prospettiva lokiana di plasmare la persona secondo i disegni della comunità, la visione rousseauiana mira a sviluppare e a consolidare le inclinazioni naturali dell’individuo”. Quindi l’uniformità può riguardare le finalità, ma i percorsi devono essere differenziati.

Creazione 7/02/2006