mercoledì 11 marzo 2009

Il piacere della lettura.2

(continua)
Samuel Johnson (1700) sosteneva che l’uomo deve leggere solo ciò che più gli aggrada e che è nelle sue inclinazioni, poiché a nulla giova ciò che non piace.
Victor Hugo nei “Miserabili”, dissertando sulla “cultura” della Signora Thénardier e descrivendola come “una donnaccia satura di romanzi sciocchi”, ebbe a scrivere che “non si leggono impunemente delle sciocchezze”.
Oggi, per i tempi che corrono e per l’influenza che hanno i messaggi subliminali di certi spot e di certa televisione o altri mass media, oso affermare , parafrasando V. Hugo, che non si possono vedere, ascoltare e leggere impunemente certe sciocchezze.

La lettura dell’infanzia è stata da sempre la lettura delle fiabe; fiabe intrise di paura, di magia. Nella più recente ed attuale editoria dell’infanzia chi ha indicato un cambiamento di rotta nella magia è stata la scrittrice inglese J.K. Rowling che con Harry Potter e tutta la sua serie ha affrontato la magia in modo nuovo. Harry Potter è, come molti bimbi delle più antiche fiabe, orfano, solo al mondo, senza famiglia. La sua è una vita in cui si intrecciano paura e magia. Ma questa volta la magia non è esterna al protagonista, il mago è proprio lui, Harry. E non a caso! Infatti la magia sta in ciascuno di noi, poiché infinite sono le potenzialità di ognuno, peraltro né conosciute, né pienamente sfruttate. Se noi crediamo fortemente in qualcosa , siamo in grado di realizzarla, di operare magie. Ovvero in ciascuno di noi vi è quella capacità magica/emotiva di trasmettere ciò che ci interessa.
Tornando alla lettura, per leggere ad alta voce non occorre frequentare un corso di dizione o di recitazione. Basta ricordare le sere in cui i nostri figli stavano poco bene e noi abbiamo letto loro una fiaba. Essi l’hanno gradita. Li abbiamo resi felici; abbiano loro donato un momento di sospensione del tempo, un attimo di magia. I nostri figli non si sono chiesti se la nostra pronuncia fosse giusta o quale scuola di alta recitazione avessimo mai frequentato. Ne sono rimasti semplicemente affascinati. Affascinati dal racconto che prendeva corpo attraverso la nostra voce, le nostre parole.
La lettura va amata. L’amore per essa viene trasmessa per “contagio”, come sostiene Federico Starnone, in “effe” Ed. Feltrinelli. La sua forza sta nella capacità e possibilità di immedesimazione che i lettori hanno. Anche di fronte ad un film ci si immedesima. Ma il film e il libro sono entità diversi. I tempi del film sono veloci, non consentono riflessioni, volano via subito. Una sequenza scalza l’altra. Il libro, invece, è sospensione del tempo; è immedesimazione profonda; è sedimentazione. Se c’è qualcosa che mi colpisce, mi soffermo; impiego più tempo nella lettura. Rifletto.

Il libro vive, esiste, in quanto noi lo leggiamo.

Finora nella scuola, fatta eccezione della scuola dell’infanzia e primaria, si è realizzata una didattica della lettura e non si è perseguito il piacere della lettura, intendendo per piacere: l’amore della lettura. E’ stato imposto un unico testo di narrativa valido per tutti gli alunni di una classe. Ma non a tutti può piacere lo stesso libro. Il libro non può essere un’imposizione, deve essere una libera scelta! E se un libro non piace, può essere restituito. L’importante è che la lettura non diventi indigesta!
Quale lettura e quali libri per i bambini, per i ragazzi?
Sicuramente quella/lli che si confanno maggiormente alla fascia di età evolutiva. E se è vero che si possono leggere le fiabe ai liceali, è pur anche vero che possono essere letti gli antichi classici greci ai bambini delle scuole primarie e/o dell’infanzia.
Tuttavia, secondo alcuni, un libro bellissimo ed importantissimo nel panorama dei capolavori della letteratura mondiale dell’infanzia, un libro peraltro scritto per gli adulti, “Il piccolo principe” di A. de Exaspery, è difficile che sia capito dai bambini della scuola primaria. Forse risulta di difficile comprensione anche per i ragazzi delle scuole medie: troppo pieno di metafore, di simbologie, di passaggi incomprensibili. Così sostengono!
Mentre “Tom Sawyer”, come “Pinocchio”, desta nei ragazzi/bambini la capacità di immedesimazione. Tom, come Pinocchio, come Harry, è senza famiglia e deve superare diverse prove, affrontando molte avventure… La differenza fra i tre capolavori sta nel ritmo narrativo, che nell’opera di Mark Twain è lento, come lento è lo scorrere delle acque del Mississipi, inadeguato ai ritmi sostenuti e veloci dei lettori di oggi. Lento è anche il ritmo narrativo di “Pippi Calzelunghe”, pur essendo questa un’opera della metà del novecento.
Di certo ancora attuale e moderno è il ritmo narrativo incalzante di Pinocchio, pubblicato nel 1883, che sarebbe piaciuto anche al pedagogista Rosseau. In fondo l’”Emilio” di Rosseau è colui che “deve fare le sue esperienze”, che non può mutuare le esperienze dagli adulti.
Il contraltare di Pinocchio, burattino che preferisce il piacere al dovere (come tutti i bambini/adolescenti), è Enrico Bottini, protagonista di “Cuore” di E. De Amicis, che pensa solo ciò che fa piacere ai genitori e al maestro. Insomma Enrico, diversamente da Pinocchio e da Tom è un bambino che non ha un’idea sua. Ancora “La gabbianella e il gatto...” di Sepùlveda è scritto bene, ma è farcito di intenti moralistici, di contro vi è “Il gatto tigrato e la rondinella” di J. Amado che tratta dell’infelice amore fra diversi.
Uno scrittore che ha riscosso da subito grande successo e che ha rotto gli schemi della letteratura per l’infanzia è Roal Dahl, i cui libri di horror e paura, che alcuni anni fa venivano letti nella scuola media, oggi sono scelti dai bambini della primaria. Ciò conferma che le nuove generazioni di lettori hanno anticipato i tempi e i campi di interesse.
Ma perché la paura piace tanto ai piccoli?
La fiaba nasce dai tempi più remoti. Vladimir Propp sostiene che le fiabe risalgano a 20.000 anni fa. Nel mondo greco e latino non abbiamo testimonianza di fiabe. Probabilmente esse sono state importate dai popoli barbari. Infatti appaiono in Europa nel Medioevo.
La prima raccolta di fiabe è italiana, l’affascinante “Lo cunto de li cunti” di V. Basile (1620). Da essa sono tratte tutte le altre fiabe, come testimonia Perrault. Nelle fiabe viene presentato un mondo con incredibili, dure prove da superare, ma sempre a lieto fine. La fiaba, differentemente dalla favola, non ha una morale esplicitata. In essa la donna diviene spesso la protagonista, quando nella realtà occupa un ruolo sociale subalterno e passivo nei confronti dell’uomo.
Veniva raccontata di notte, quando il tempo era sospeso e con esso le convenzioni e le situazioni sociali. Forse “Il femminile nella fiaba” (M.Luise Von Franz) vuole mettere in evidenza “l’assenza del principio femminile proprio dell’archetipo” narrativo della fiaba, mentre il “principio maschile” è scontato. Tranne che nelle corti, a raccontare era proprio la donna, generalmente la più anziana, depositaria delle verità ancestrali tramandate oralmente, detentrice di saggezza.
Le fiabe affondano le loro radici nella notte dei tempi e con esse l’uomo ha voluto svelare il mistero e la magia che permea da sempre l’esistenza dell’umanità e ha inteso narrare la paura di vivere, di confrontarsi con l’ignoto. Dunque le fiabe hanno avuto, un tempo per l’umanità adulta, ed oggi hanno per l’infanzia, il compito di esorcizzare la paura.
Bruno Bettelheim sostiene che la paura vissuta attraverso la narrazione della fiaba risulta catartica per l’infanzia.
La fortuna delle fiabe va ricercata nel medioevo, periodo in cui si diffondono per l’Europa. Il medioevo è stato il tempo del cristianesimo, ma anche il tempo del sacro e del profano, delle superstizioni, della magia. Bisognava esorcizzare la paura dell’incertezza; bisognava rassicurare le folle diseredate che dopo le pene e le sofferenze di questa vita ci sarebbe stato un lieto fine.

Se parliamo di educazione alla lettura, non possiamo tacere sull’educazione all’immagine.
Ora il bambino, quello piccolo di due o tre anni, non legge le fiabe; il bambino ascolta colui che legge per lui.
Il bambino quando legge, legge solo le immagini. Le illustrazioni lo aiutano ad immagazzinare tutto ciò che la fiaba racconta. Quella delle immagini, dunque, è la prima lettura del bimbo, lettura propedeutica a quella della parola scritta.

Ma se la lettura delle immagini è la prima forma di lettura di un bambino, allora diventa importantissima un’attenta educazione alle immagini, che verterà essenzialmente in un’offerta molteplice di immagini, sebbene riferite ad uno stesso soggetto, affinché l’iconografia stereotipata non blocchi l’immaginazione, affinché si aiuti il bimbo ad avere una visione differenziata della realtà, affinché egli impari che alle parole possiamo dare significati diversi.


*Federico STARNONE, in “effe” Ed. Feltrinelli, parla di “contagio”.
Robero DENTI “Lasciamoli leggere” Ed. B. Mondadori
BERNARDINI DE MAURO “Contare e Raccontare” Ed. GLF Laterza
Monstserrat SARTO “Voglia di leggere” Ed. Piemme


Creazione 29/09/2004
Pubblicazione su “Il Monitore” N. 4 - Dicembre 2004

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