mercoledì 11 marzo 2009

Progetto "Dalla fiaba alla Carta dei diritti dell'Infanzia e dell'Adolescenza"

PROGETTO
per la prima classe della Scuola Media
Anno scolastico 2000/2001

SETTEMBRE: avvio dell’anno scolastico.
INIZIO DELLE ATTIVITA’ con un gioco.
G I O C O :
“Partiamo…..dunque prepariamo la valigia……”…
“Nella valigia metterò le risorse che ho in me e che mi accompagneranno nel lungo viaggio .."
Sul quaderno compilo:
1. Una tabella elencando
 le risorse…..
 le carenze….
ovvero “inventariando” le abilità individuali (“so fare” - competenze) scolastiche ed extrascolastiche.
CHE COSA SO FARE
CHE COSA NON SO FARE
2. Scegliere una risorsa utilizzabile in ambito scolastico e comunicarla ai compagni.
3. Scegliere una risorsa utilizzabile in ambito extrascolastico e comunicarla ai compagni.
4. Compilare un elenco di risorse (sintesi) presenti nella classe.
5. Intervento dell’insegnante rispetto alle risorse mancanti.
Quali le risorse degli studenti?
- Leggere bene.
- Scrivere senza errori.
- Scrivere poesie.
- Dattilografare.
- Usare il computer.
- Suonare la musica.
- Disegnare.
- Ascoltare. Comunicare.
- Dialogare.
- Essere disponibili a esperienze nuove.
- Saper organizzare materiale.
6. Riportare, quindi, tali abilità su un tabellone, anche su un grande foglio bianco (ad es: quello da pacchi) e affiggerlo su una parete della classe.

…Il viaggio continua…

PROGETTO
“Dalla fiaba… alla Carta dei Diritti”
Il DIRITTO del BAMBINO, del FANCIULLO attraverso la STORIA.

MOTIVAZIONE
GIUSTIFICAZIONE:
Il progetto nasce da una ricognizione di bisogni, da cui emerge l’esigenza di richiamare l’attenzione degli studenti ai diritti ma anche ai doveri e alle responsabilità cui ciascun individuo, seppur piccolo, e’ chiamato a rispondere. E’ destinato alle classi prime della scuola media dell’anno scolastico2000/2001.
E’ realizzato nel corso del 2° quadrimestre.
Si colloca a proseguimento del progetto di ed. civica intrapreso nell’a.s. 1998/99 e ad integrazione del progetto “biblioteca”.
I suoi ambiti e limiti contenutistici riguardano la fiaba, la storia greca e romana, la costituzione italiana.
Eventuali raccordi interdisciplinari implicheranno interventi nelle discipline seguenti: italiano, storia ed. civica, inglese.
FINALITA’:
Il progetto e’ finalizzato
- alla maturazione del concetto di diritto e di dovere nei ragazzi;
- alla promozione della personalità, secondo gli obiettivi del progetto educativo d’istituto;
- alla promozione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, per l’esercizio dei diritti fondamentali, per il miglioramento della fruizione dell’ambiente scolastico, urbano e naturale, per lo sviluppo del benessere e della qualità della vita deiminori, per la valorizzazione nel rispetto delle diversità, delle caratteristiche di genere, di cultura e di etnie.
OBIETTIVI:
Il progetto si propone di far conseguire:
 CONOSCENZE:
una adeguata conoscenza
- del linguaggio storico
- delle civiltà
- delle culture
- delle tradizioni
- degli usi e costumi dei popoli antichi e contemporanei.
- conoscenza riflessa delle regole e delle norme dellavita associata, in particolare di quelle che consentono processi democratici di decisione
- acquisizione della consapevolezza del significato del codice, della legge, anche in funzione della comprensione dei fondamenti del sistema giuridico propri di uno stato di diritto.
 COMPETENZE:
- la padronanza della terminologia specifica della disciplina
- la capacità di trasferire i concetti da un’epoca all'altra.
 CAPACITA’:
- l’autonomia di giudizio
- la capacità critica
- l’accettazione dell’altro
- la solidarietà e l’etica del lavoro
- l’etica dell’impegno civile
CONTENUTI:
- La Fiaba – “Pinocchio” – “Hansel e Gretel” – “Fiabe Italiane”
- Storia Greca – Storia Contemporanea
– Costituzione Italiana
- Attualità
MEZZI E STRUMENTI:
- libro di testo - attrezzature di laboratorio e/o di officina
– videoregistratore – videocassetta – documenti storici
– leggi- fotocopie – fogli bianchi grandi da imballaggio
– fogli di quaderno – pennarelli colorati - colla.
SPAZI:
L’aula di classe e/o gli eventuali altri spazi nella scuola o fuori di essa.
Per le visite didattiche guidate si rimanda alle indicazioni del progetto “BIBLIOTECA”.
TEMPI:
FEBBRAIO-MARZO-APRILE
Giorno settimanale: venerdì
Orario: 15,30 % 17,30.
METODI:
- il brain-storming- la lezione frontale- la lezione dialogica-
- il cooperative-learning - gruppi di lavoro con tutoring-
VALUTAZIONE:
Considererà non solo l’acquisizione dei contenutie il possesso delle varie abilità
ma anche il conseguimento degli obiettivi trasversali
- per controllare i processi
- misurare prove e prestazioni
- attribuire giudizi di valutazione
- valutare il processo e il prodotto conseguito
Si considererà
- la frequenza
- l’impegno,
- la partecipazione,
- l’interesse in relazione alla situazione di partenza.
PREREQUISITI:
- possedere le abilità di base.
- comprendere il significato di CODICE, LEGGE, DEMOCRAZIA, COMUNITA’, STATO, NAZIONE, COSTITUZIONE.
FONTI:
- Progetto Educativo d’Istituto
- Regolamento Interno d’Istituto
- Decalogo dello Studente
- Atti dello Stato Civile (Archivio Di Stato)
- Convenzione Internazionale dei Diritti del Bambino
- Costituzione Italiana
- Dichiarazione Internazionale dei Diritti dell’Uomo
- Magna Charta Libertatum.
VERIFICA:
- osservazione - autosservazione - discussione - verifica dei prodotti intermedi -
- revisione continua e conseguente correzione delle azioni, dei comportamenti e dei
risultati operativi allo scopo di allargare le esperienze comunicative e di
promuovere il dialogo e la riflessione su di esse.

NELL’AMBITO DELLA PREVENZIONE DEL FENOMENO DELLA DISPERSIONE SCOLASTICA PROGETTI DI ATTIVITA’ FINALIZZATI ALLA QUALIFICAZIONE COMPLESSIVA DEL SERVIZIO SCOLASTICO CON PARTICOLARE RIGUARDO ALLA PIENA ATTUAZIONE DEL DIRITTO ALLO STUDIO;
ALL’EDUCAZIONE ALLA SALUTE; ALL’EDUCAZIONE ALL’AMBIENTE; ALL’EDUCAZIONE ALLA LEGALITA’; ALL’EDUCAZIONE ALLA SOLIDARIETA’; ALL’EDUCAZIONE ALL’INTERCULTURALITA’ E ALLE MULTIETNIE; ALL’EDUCAZIONE ALLA PACE.

D.L. 297/94 ART.278 D.L. 297/94 ART.456
PRONUNCIA C.N.P.I. 23.02.95
C.M. 302/93 EDUCAZIONE ALLA LEGALITA’
L. 285/97 DISPOSIZIONE PER LA PROMOZIONE DI DIRITTI E DI OPPORTUNITA’ PER L’INFANZIA E L’ADOLESCENZA
L. 40/98 DISCIPLINA SULL’IMMIGRAZIONE
DIRETTIVA M.P.I. 133/96
DIRETTIVA M.P.I. 600/96 EDUCAZIONE ALLA SALUTE
CARTA DI IMPEGNI PER PROMUOVERE I DIRITTI DELL’INFANZIA E DELL’ADOLESCENZA 16.04.98 C.M. 257 9.08.94
DIRETTIVA U.E. 33/94 SULLA PROTEZIONE DEI GIOVANI

Il Progetto prevede anche un intervento degli Alunni presso la Sala di Registrazione di un’emittente locale per la diretta di una drammatizzazione.

Buongiorno a tutti i radio Ascoltatori,
siamo gli alunni della classe I° di una scuola Media Statale.
Oggi siamo qui con voi per socializzare una nostra esperienza scolastica.
All’inizio dell’anno scolastico noi alunni eravamo consapevoli di iniziare una nuova avventura: l’avventura del triennio della scuola media.
Così abbiamo iniziato le nostre attività con un gioco: “Partiamo, dunque prepariamo la valigia”.
“Nella valigia metterò le risorse che ho in me e che mi “accompagneranno nel lungo viaggio”.

Il nostro viaggio ha avuto molte soste :
“Il mito, la leggenda e la fiaba”; il tutto finalizzato alla realizzazione di un progetto lettura che parte dal mito e dalla fiaba per arrivare alla carta dei diritti del bambino e del fanciullo attraverso la storia.
Ma noi non vogliamo solo soffermarci su quelli che sono i nostri diritti: vogliamo anche considerare e prendere consapevolezza dei nostri doveri.

Il MITO, la LEGGENDA, la FIABA sono racconti che affondano le loro radici in storie molto antiche, dapprima tramandate oralmente (tradizione orale – tradizione popolare) poi trascritte. Costituiscono parte del patrimonio culturale di tutti i popoli. Mescolano il reale al divino, al meraviglioso, al magico. Ma tutti narrano, attraverso l’uso di simbologie e di metafore, le vicende umane, ovvero quell'avventura umana, quel "viaggio" meraviglioso che è la VITA di ogni uomo.

Viaggio è quello di Gilgamesh nel regno dei morti (mito dei Babilonesi ”L’epopea di Gilgamesh”). Viaggio è quello di Abramo verso la “terra promessa” (racconto biblico “Bibbia”).
Viaggio è quello dell’eroe di una qualsiasi fiaba (Berto in “Sette in un colpo”).
Viaggio è quello di Ulisse (poema epico “Odissea”).
Viaggio è quello di Enea (poema “Eneide”).
Viaggio è quello di Dante Alighieri (poema didascalico-allegorico “Divina Commedia”).
Viaggio è quello dell’uomo moderno nello spazio.
Viaggio è quello che ciascun uomo compie nella ricerca della felicità, di migliori condizioni di vita, superando molte prove, combattendo contro molti antagonisti.

Fra tutte le fiabe da noi lette ed analizzate durante l’anno, abbiamo scelto di rappresentarne una tratta da “Fiabe italiane”, raccolte da Italo CALVINO.
Si tratta di una fiaba di origine popolare abruzzese. Pertanto la reciteremo “colorando”, di tanto in tanto, l’esposizione con espressioni dialettali.

Ringraziamo tutti, anticipatamente, per il cortese ascolto.
CIACH!… SI VA IN ONDA…..

Durante il nostro viaggio abbiamo letto molte fiabe e racconti e abbiamo voluto soffermarci a sognare … Sognare di divenire scrittori, di dedicare un libro tutto nostro a qualcuno che ci è caro.

IDEATRICE E COORDINATRICE DEL PROGETTO
Prof.ssa G. TORITTO

Bullismo

Convegno Comune di Lanciano, lì 20 novembre 2008

BULLISMO e SCENARI EDUCATIVI
La situazione in Abruzzo

In data 9 luglio 2008, a L’Aquila, presso Palazzo Centi, si è insediato l’Osservatorio regionale sul bullismo, voluto e ricostituito dal Direttore Generale dell’U.S.R. per l’Abruzzo, Prof. Carlo Petracca, al fine di contrastare il disagio, raccordare le proposte degli Uffici Scolastici Provinciali, sensibilizzare le famiglie, valorizzare le buone pratiche, monitorare la situazione.
L’Osservatorio regionale sul bullismo consta di una pluralità di componenti, ovvero di Soggetti Istituzionali: l’Ufficio Territoriale del Governo, la Questura della città capoluogo di regione, il Comando dei Carabinieri, l’Ufficio Qualità dei Servizi Sociali della Regione, l’A.N.C.I. Abruzzo, l’U.P.I. Abruzzo, la C.E.I. Abruzzo, il Dipartimento di Prevenzione della Sanità Regione Abruzzo, il Dipartimento di Giustizia minorile, il Tribunale dei minori, 3 Dirigenti Scolastici, i Docenti comandati presso gli Uffici Scolastici delle 4 province d’Abruzzo, un Dirigente Tecnico, in qualità di coordinatore dell’Osservatorio, il Presidente della Consulta degli Studenti di L’Aquila, le Associazioni dei Genitori in Abruzzo, il Centro Servizio Volontariato, l’Ordine dei Giornalisti, il Comitato regionale Abruzzo per l’UNICEF, il Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università degli Studi di L’Aquila, la Facoltà di Scienze Sociali dell’Università degli Studi di Chieti, l’Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell’Autonomia scolastica – ex IRRE Abruzzo.
La realizzazione di tale organismo, le sue procedure, i lavori prodotti sono un esempio di condivisione di valori e strategie fra adulti, fra Istituzioni, pur nella diversità dei loro ruoli, in merito al fenomeno bullismo, non solo, in merito all’educazione delle nuove generazioni. Costituiscono prova che la rete fra Soggetti Istituzionali può funzionare, anzi funziona, soprattutto quando, attraverso l’apertura e la disposizione al dialogo, si concorre tutti, in modo paritario, all’accompagnamento, all’orientamento rispettoso e competente dei giovani nel loro difficile e spesso tortuoso cammino verso la vita.
Gli uomini senza le Istituzioni, che legittimano le loro azioni, non hanno gambe. A loro volta le Istituzioni non hanno vita senza la testa, senza il cuore, senza la passione di quelle donne, di quegli uomini che in esse, e per esse, profondono energia ed impegno.

Attualmente in Italia, da più parti, si intensificano virtuosismi proprio mentre le Istituzioni sembrano in un generale, forse voluto, tracollo, come a suggellare un estremo atto eroico di sopravvivenza, un ultimo grido a “noi possiamo”, “noi dobbiamo”, “noi vogliamo”.
Tutti insieme dobbiamo lavorare per indicare un’unica rotta, una proposta educativa salda e chiara, condivisa nei suoi valori fondanti, quali il rispetto della persona, della vita, della natura e dell’ambiente in senso lato, l’impegno, serio e costante, la responsabilità verso se stessi, verso tutti e tutto. In tale condivisione diviene di fondamentale importanza un recupero di reciproco consenso fra scuola, famiglia, società.
Dopo anni in cui si è assistito ad uno iato, ad una frattura, ad una perdita di credibilità, “gli uni contro gli altri armati”, causa dello sfacelo cui assistiamo in questi giorni, oggi si sta verificando un processo, fortunatamente inverso, in cui si rinsaldano i vincoli di amicizia, di considerazione e di rispetto.
Sulla famiglia si sono abbattute tante infamie. Ma è sotto gli occhi di tutti che la famiglia soffre di solitudine affettiva, così come l’infanzia e l’adolescenza. Non c’è più la rete parentale, la rete delle piccole comunità di un tempo, la rete che accoglie, che ascolta, che protegge. Occorre una nuova rete di figure valoriali adulte, quella rete in cui molti di noi sono cresciuti. Occorrono la grande famiglia, i parenti, la solidarietà delle piccole comunità dove si conoscevano tutti, dove tutti hanno concorso, da veri tutori, alla crescita di virgulti riottosi, insubordinati, a volte troppo vivaci.
La famiglia da sola non ce la può fare. La scuola, anch’essa, da sola non ce la può fare.
Allora occorre stipulare un patto di nuova alleanza, così come i passi biblici insegnano. Un patto di nuova alleanza educativa che deve vedere fra i suoi protagonisti sottoscrittori non solo gli adulti, ma anche i giovani chiamati a condividere corresponsabilmente gli intenti e i processi del patto educativo. E’ questo un evidente riferimento al “patto di corresponsabilità” che il M.I.U.R. cita relativamente alla revisione del Regolamento Interno d’Istituto. Solo così essi, i giovani, si addestrano ad una partecipazione attiva e responsabile all’interno della comunità scolastica, alla cittadinanza attiva che li forgia e li prepara alla vita e a contesti sociali allargati, nazionali, europei, globali.

Sono diversi anni che nella provincia di Chieti ci stiamo adoperando per lavorare in modo sinergico, concorrendo Istituzioni ed Enti del territorio ad implementare buone prassi di cittadinanza attiva, in cui gli Studenti, dalla primaria alle superiori, a più riprese, sono stati protagonisti consapevoli di eventi e di iniziative sul tema della Legalità.
Scuola e violenza sono termini antitetici, che non devono, non possono essere affiancati: la prima é un’Istituzione, rappresentativa di una comunità, di una comunità educante, di una Res Pubblica, dello Stato; la seconda costituisce illegalità e coincide con essa.
Derisioni, vessazioni, umiliazioni, minacce, rabbia ….. violano la sacralità della persona. Pertanto occorre dire basta al bullo, al bullismo, al mobbing, allo stolking e pronunciare un forte sì al rispetto, alla legalità.
Inevitabilmente, essendo manifestazione evidente e chiara di illegalità, il fenomeno si lega spesso alla criminalità giovanile, al teppismo e al vandalismo.
Dal 2007 è stata intrapresa dal M.P.I. una campagna ad hoc “Smonta il bullo”, anche con l’attivazione di un numero verde cui potersi rivolgere. A circa due anni di distanza, in una miscellanea di recente pubblicazione, “Book della Solidarietà”, è stata pubblicata un’analisi del fenomeno che in Italia risulta essere molto più incisivo rispetto ad altri paesi del nord Europa. Proviamo a riflettere perché?
Non vive forse oggi il nostro Paese una grave crisi, che non è solo di ordine economico, ma è soprattutto morale. In un paese dove la TV insegna scherzi anche violenti, oltre che maldestri, dove in Parlamento l’insulto è gratuito, dove cariche istituzionali costituiscono esempio di impunità e si esprimono con un lessico discutibile, ne conseguono “esempi” poco edificanti per i giovani, per i più piccoli, che “scimmiottano” gli stili degli adulti, non necessariamente dei familiari, ma degli adulti testimonial della società imperante.
Ancora, la società imperante non è forse divenuta troppo pagana e profana, negli slogan, nella babele delle immagini oltre che dei linguaggi? Non ha forse la società del post moderno svuotato di significato spirituale la vita e le sue manifestazioni, perdendo i sentieri della speranza, di un credo, di ogni forma di carità, soffocata da egoismi e da un inaridimento dell’anima?
Come prevenire il bullismo?
Si può prevenire il bullismo, come ogni altra forma di esclusione o di emarginazione di piccoli e di giovani, attraverso la prevenzione, la cittadinanza attiva, la peer education, la peer comunication, che coincidono con il nostro comportamento, la narrazione, la Costituzione.

Certamente è poco utile agire sui disturbi e sulle psicopatologie quando essi sono ormai già conclamati.
E’ auspicabile invece la specificità di un intervento preventivo rivolto a tutti gli alunni, prescindendo dai "bulli" e dalle loro vittime, perché, al fine di un cambiamento stabile e duraturo, risulta maggiormente efficace agire sulla comunità degli spettatori, o meglio sulle dinamiche relazionali/sociali di un intero gruppo.
La prevenzione deve interessare tutti gli alunni, gli insegnanti e i genitori. In particolare gli adulti possono farsi carico dei problemi attivando una programmazione contro le prepotenze e promuovendo interventi tesi a costruire una cultura del rispetto e della solidarietà tra gli alunni e tra alunni ed insegnanti.
L'intervento di prevenzione va avviato ancor prima che appaiano segnali più o meno sommersi del disagio.
L’intervento preventivo, peraltro, rappresenta un'occasione di crescita per l’intero gruppo classe, in quanto, attraverso un maggiore dialogo ed una maggiore consapevolezza di pensieri, emozioni ed azioni, diventa risorsa e sostegno per ciascun membro.
La prevenzione risulta efficace e duratura, se insegnanti, educatori e famiglie collaborano come modelli e come soggetti promotori di modalità adeguate di interazione. In tal modo l'esempio cooperativo può essere acquisito e divenire uno stile di vita per gli stessi ragazzi.
Inoltre compito degli insegnanti è quello di intervenire precocemente al fine di modificare in tempo utile gli atteggiamenti inadeguati.
La prevenzione è particolarmente significativa nel 1° ciclo dell’istruzione, poiché tale segmento formativo è fondamentale per il processo di alfabetizzazione e per la crescita dei bambini nelle relazioni sociali. Il 1° ciclo coincide con una tappa determinante per lo sviluppo complessivo del potenziale umano. Dunque durante l’infanzia la prevenzione deve assumere un carattere di sistematicità e globalità, concorrendo tutti (non solo le figure genitoriali o gli insegnanti) all’insorgenza dei fenomeni critici, che possono dividere una comunità, arrecare dispiaceri, scuotere le coscienze, quando le conseguenze di certi atti assumono aspetti penali.
Va anche sottolineato che l’azione bullica accertata può costituire un momento critico risolutivo ed evolutivo per lo stesso bullo, che va orientato a prendere consapevolezza delle proprie azioni ostili, del proprio percorso di vita che necessita di un nuovo indirizzo, di una nuova direzione.
Anche il gruppo, a sua volta, deve riacquisire una propria capacità di rendersi responsabile del proprio benessere. Ciò significa che le criticità possono costituire fattore di crescita e di evoluzione sia personale, sia comunitaria, se si mettono in campo risorse, potenzialità, competenze, spesso sconosciute o non giustamente valorizzate.
La scuola così diviene terreno su cui cimentarsi, microcosmo con cui interagire, superando ostacoli, impiegando ogni risorsa, imparando a sperimentare la capacità di trovare un proprio spazio, una propria personale espressione nel mondo.
Stando a quanto finora esposto, l’educazione alla cittadinanza attiva concorre a creare una serie di best pratices (buone prassi) in cui lo studente si identifica e in cui consolida e rinforza la propria identità che, a tal punto, non può essere tradita, costituendo essa una testimonianza nella comunità.
Il gruppo va utilizzato come strategia, come metodologia per prevenire e contrastare il bullismo ed altre criticità, in quanto all’interno del gruppo i singoli, interlocutori attivi e partecipi, vanno formati alla promozione e al consolidamento del benessere collettivo.

La peer education e la peer comunication costituiscono un intervento promozionale dello sviluppo personale dei giovani. La comunicazione tra pari aiuta gli individui ad interiorizzare tutti quei processi cognitivi impliciti che orientano le relazioni; rappresenta occasione per l’apertura al nuovo, per avere informazioni e quindi per sviluppare strategie cognitive efficaci a partire dalla condivisione di pensieri, dalle responsabilità per gli impegni presi, dalla negoziazione di conflitti.
In virtù del ruolo ricoperto il peer educator acquisisce e stabilizza una serie di competenze interpersonali, a cui tende, adeguando il proprio comportamento, proprio in relazione alle aspettative del ruolo. Tale processo di acquisizione, di stabilizzazione delle proprie competenze e di fedeltà al ruolo ricoperto immunizza il giovane peer educator dai comportamenti a rischio. L’ immunità di cui egli gode ha poi una sorta di riverbero sul gruppo, per cui il peer educator diviene un modello positivo di riferimento.

Anche la narrazione contribuisce a migliorare il clima delle relazioni interpersonali all’interno di una comunità, poiché essa concorre alla costruzione del processo identitario.
Durante la narrazione i bambini, i giovani, ma gli stessi adulti (si pensi alla lettura di un buon libro o alla proiezione di un bel film) attraverso la risonanza emotiva, le evocazioni vivono un processo di immedesimazione. Pertanto il racconto, la narrazione non vanno disdegnate né a scuola, né altrove. A scuola si potrebbe partire dal commento di alcune serie televisive per rimandare alle opere dei classici, poiché le prime, come le seconde, si nutrono di odi, di amori, di speranze, di aspirazioni, di disperazioni dell’uomo; traggono spunto dalle paure, dalle ossessioni dell’esistenza umana di tutti i tempi: fraintendimenti, incomprensioni, incontri, separazioni, fortune, sfortune, malattie, imbrogli, droghe, denari, divertimenti.
Il racconto, la narrazione costituiscono un importantissimo tassello nel processo di costruzione del Sé.
Nel mondo ebraico il capo famiglia spessissimo rievoca, narra il passato della propria gente, la storia della propria famiglia.
Il racconto, la narrazione diventano così un vero e proprio rito, che conferisce identità, memoria, intimità che rinsalda i vincoli. Anche nelle corti medievali la narrazione serviva per rinsaldare i vincoli di amicizia.
Senza la costruzione del Sé, senza l’identità di Sé ci sono i disturbi della personalità.
Non mi stancherò mai di ricordare Peter Pan, il quale, per convincere Wandy a tornare con lui nel “Paese che non c’è”, le dice che lì potrebbe insegnare ai “bambini smarriti” a raccontare storie. Infatti se le sapessero raccontare, potrebbero crescere, imparerebbero a crescere.
L’invenzione narrativa stimola fra l’altro l’immaginazione, il pensiero divergente. Essa è determinante per l’infanzia, ma anche per l’adolescenza.
Morin, Bruner, Gadner danno grande importanza alla cultura umanistica, alla lettura dei classici, che sono riusciti a spiegare l’affanno umano, la fatica di vivere.
Narrare, conoscere storie, miti, strutturano e nutrono l’identità di persona. Laddove vi è una storia insufficiente, incompleta, inadeguata su se stessi, nasce, si sviluppa una nevrosi. E’ probabile che la narrazione abbia la stessa importanza e funzione per la coesione della cultura quanto per la strutturazione di una vita individuale, personale..
Un sistema educativo, una teoria pedagogica, un indirizzo politico-nazionale di ampio respiro, che sottovalutano il contributo della scuola allo sviluppo dell’autostima degli alunni, falliscono in una delle funzioni primarie, falliscono come agenzia formativa a vantaggio di una miriade di agenzie “antiscuola”, dove molti giovani si rifugiano per compensare il fallimento vissuto a scuola.
Se la capacità d’azione (saper fare) e la stima (saper essere) sono essenziali per la costruzione del concetto di Sé, allora il funzionamento del sistema scolastico va esaminato anche in funzione del contributo dato a queste due componenti essenziali della personalità. Sono da valorizzare una maggiore partecipazione e corresponsabilità nella
scelta e nel raggiungimento degli obiettivi in tutti gli aspetti delle attività scolastiche.

La mission della scuola, il suo dovere morale è includere, non stigmatizzare. Lo stigma prelude l’esclusione; l’esclusione anticipa la dispersione. La dispersione comporta la negazione di ogni valore di civiltà, di sviluppo e di progresso. Il prezzo da pagare poi è altissimo. Quello morale è sotto gli occhi di tutti.

L’insegnamento inoltre ha il dovere di andare oltre la funzione, la professione, la specializzazione. Deve ridiventare compito di salute pubblica: missione. Una missione di trasmissione. Ma la trasmissione richiede competenza, anche arte, amore,
“eros”, come affermava Platone. Amore per la conoscenza e per l’allievo. La missione, a sua volta, presuppone la fede: fede nella cultura e nella mente umana. Se non c’è amore, passione, non c’è trasmissione di saperi. Si assiste, di contro, al disorientamento dei giovani, alla loro dispersione.

Concludo con un accenno al nuovo insegnamento: “Cittadinanza e Costituzione” che prevede 33 ore all’anno di educazione e che il MIUR introdurrà dal prossimo anno scolastico nel 1° e nel 2° ciclo d’istruzione.
L’art. 1 di “Cittadinanza e Costituzione” così recita: Nel primo e nel secondo ciclo di istruzione le conoscenze e le competenze relative alla convivenza civile e alla cittadinanza sono acquisite attraverso la disciplina denominata “Cittadinanza e Costituzione”, individuata nelle aree storico-geografica e storico-sociale ed oggetto di specifica valutazione. Nella scuola dell’infanzia tale dimensione si realizza prevalentemente nel campo d’esperienza “il sé e l’altro”.
Tornando al “bullismo” e alla maleducazione, considerato che a livello sociale l’indebolimento del controllo e dell’inibizione delle condotte negative favorisce la riduzione della responsabilità personale, individuale, il MIUR ha deciso che: il comportamento degli studenti, valutato dal consiglio di classe, concorrerà alla valutazione complessiva dello studente e – a differenza di quanto accadeva fino ad ora - potrà determinare, se insufficiente, la non ammissione al successivo anno di corso. Inoltre, ai fini dell’ammissione all’esame di Stato, è prevista la riduzione fino a un massimo di 5 punti del credito scolastico.
Il provvedimento riguarderà tutti gli studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado.

Lo stesso Ministro Mariastella Gelmini ha ribadito che “il comportamento deve concorrere alla valutazione complessiva dello studente. Valutare il comportamento significa rafforzare nella comunità scolastica l’importanza del rispetto delle regole e, dunque, la capacità dello studente, cittadino di domani, di saper stare con gli altri, di esercitare correttamente i propri diritti, di adempiere ai propri doveri e di rispettare le regole poste a fondamento della comunità di cui fa parte. Questo provvedimento – prosegue il Ministro - vuole essere uno strumento ulteriore per responsabilizzare gli studenti e i docenti”.
La scuola delle 3 C (C. Corradini), Costituzione, Cittadinanza, Comportamento, coincide con la scuola della legalità, poiché essa, la scuola, è l’agenzia educativa più importante preposta alla formazione dei bambini e dei giovani.

Valori giovanili

Valori, comportamenti, pratiche giovanili nella società odierna.

Nella società dell’informatica, dell’informazione, della globalizzazione e dell’immagine occorrerà formare una conoscenza capace di affrontare la complessità dell’esistenza umana attuale e futura. L’apprendistato alla vita si potrebbe fare seguendo due vie: una interiore, l’altra esteriore.
La via interiore passa attraverso l’autoanalisi, l’autocritica e anche attraverso la metacognizione (Bruner, Vigosky, Feuerstein). L’autoanalisi deve essere insegnata a partire dalla scuola primaria e durante tutto il suo corso. Bisognerebbe insegnare come la visione delle cose dipenda non tanto dalle informazioni ricevute quanto dal modo in cui è strutturato il nostro modo di pensare. Ai giovani bisognerebbe insegnare gli errori e le deformazioni che si verificano anche nelle testimonianze più sincere e convinte. La via esteriore sarebbe l’introduzione alla conoscenza dei media. I nostri studenti si trovano oggi precocemente immersi nella cultura mediatica (televisione, giochi, video,annunci pubblicitari). Ruolo del maestro non è quello di denunciare, ma di far conoscere i modi di produzione di tali culture. Si dovrebbe mostrare come il trattamento delle immagini filmiche, televisive, specialmente attraverso il montaggio, possa dare un’impressione arbitraria della realtà. Il maestro potrebbe anche commentare, ambientare le trasmissioni seguite e i giochi praticati dagli allievi fuori dalla classe. Fermo restando che verranno seguiti e trasmessi gli altri saperi. Nella scuola secondaria missione capitale dell’insegnamento è la salvaguardia della cultura umanistica. Ma oltre l’insegnamento delle varie discipline, gli insegnanti, i dirigenti scolastici, soprattutto quelli della scuola secondaria, dovrebbero educarsi rispetto al mondo adolescenziale e alla sua cultura. Al di sotto di quella che viene definita “collaborazione di classe” vi è sempre stata una lotta di quartiere fra insegnanti, che detengono il potere e la maggior parte degli studenti. Questi ultimi si creano il proprio underground clandestino, che realizza le sue piccole trasgressioni (copiature, sistemi per non fare scena muta ecc.). Se poi si pensa alle disagiate condizioni di certe periferie, “la lotta di quartiere” raggiunge livelli allarmanti. La scuola dovrebbe istruirsi sull’autonomia acquisita dal mondo adolescente, a partire dagli anni ’60, ’70, in rapporto alla cultura familiare, alla cultura scolastica, sulle forme di aggregazione e sulle regole specifiche dei gruppi adolescenti (clan) fino ad arrivare, là dove c’è disgregazione del mondo familiare e del tessuto sociale (periferie) alla formazione di clan che costituiscono vere e proprie micro-società, con i loro territori sacralizzati, con la loro legge di vendetta, con il loro codice d’onore. Si tratta di progredire nella reciproca conoscenza, nel mutuo riconoscimento di due universi imbricati l’uno nell’altro, ma che non si conoscono. La scuola ha il compito di avvicinarsi all’irruzione della cultura mediatica ad essa esterna, ignorata e disdegnata da certo mondo intellettuale. La conoscenza della cultura mediatica è necessaria per comprendere non solo i processi multiformi di industrializzazione e di sovracommercializzazione culturale, ma anche ciò che i media traducono e traggono, come temi, dalle aspirazioni e dalle ossessioni proprie dello “spirito del nostro tempo”. In pratica la scuola può impegnarsi affinché gli studenti comprendano che le serie televisive, di cui gli allievi si nutrono, con le loro convenzioni e visioni stereotipate, situazioni enfatizzate, trattano, come il romanzo e la tragedia, delle aspirazioni, delle paure e delle ossessioni delle nostre vite: di amori, odii, incomprensioni, fraintendimenti, incontri, separazioni, fortuna, sfortuna, malattia, morte, speranza, disperazioni, astuzia, ambizione, imbrogli, denaro, divertimenti, droghe. Non è possibile continuare ad insegnare gli stessi contenuti attraverso le stesse modalità, gli stessi tempi di 50 – 100 anni fa. L’infanzia, l’adolescenza di oggi sono profondamente cambiate rispetto a quelle di qualche generazione fa. I loro tempi sono notevolmente accelerati. I campi d’interesse anticipati. Lo si individua bene attraverso lo studio dell’editoria dell’infanzia e dell’adolescenza e attraverso la produzione libraria ad esse dedicata. Fino agli anni ’50-’60 era ancora possibile leggere, narrare la letteratura dell’800 o anche del ‘700. Ma dagli anni ’60, ’70 in poi vi è stata una vera rivoluzione copernicana, cui ha resistito solo Pinocchio di Lorenzini. Del resto il ritmo narrativo del capolavoro di Collodi è incalzante ed il tema della ribellione e della trasgressione è ben compreso dal bambino e dal ragazzo di oggi. Negli ultimi anni, poi, si è assistito al più grande cambiamento avvenuto mai nell’universo giovanile. Come già affermato, la trasformazione, in rapporto alle generazioni precedenti, può definirsi rivoluzionaria. Né potrebbe essere altrimenti dato il consumismo, di cui la televisione è soltanto la punta più evidente, la velocità nel viaggiare, nell’avere informazioni. Oggi Roma - NewYork si raggiunge in meno di sei ore di viaggio. Negli anni 50 del XX sec. occorrevano trenta giorni e più di navigazione atlantica. L’informazione scorre on-line 24 ore su 24. E’ certo ormai che la televisione ha contribuito non solo ad anticipare i campi di interesse giovanili, favorendo il consumismo, ma ha anche accelerato la rapidità di apprendimento. Le generazioni che hanno preceduto le attuali hanno appreso la struttura della narrazione attraverso il libro e non all’età di sei anni, quando frequentavano la prima classe elementare, oggi primaria, ma a otto anni, quando erano già in terza classe ed avevano sviluppato una certa libertà nella capacità di lettura. Ora, invece, anche grazie agli spot pubblicitari, brevi sì, ma che già contengono una story-board, i bambini di quattro anni riescono a capire la struttura narrativa se non addirittura ad anticiparne le sequenze. Dunque tempi e campi d’interesse anticipati; ritmi e gusti che risentono delle influenze ed esigenze contemporanee. I libri di Salgari e di Verne, quantunque a loro tempo avvincenti e capolavori, oggi sono superati dagli speciali di Super-Quark- L’horror, il giallo affascinano l’infanzia poiché essi esorcizzano la paura dell’ignoto, della realtà incombente e complessa. Un sistema educativo, una teoria pedagogica, un indirizzo politico-nazionale di ampio respiro che sottovaluta il contributo della scuola allo sviluppo dell’autostima degli alunni fallisce in una delle sue funzioni primarie, fallisce come agenzia formativa a vantaggio di una miriade di agenzie “antiscuola”, dove molti giovani si rifugiano per compensare il fallimento vissuto a scuola. Le “agenzie antiscuola” sono bande di “micro-criminalità” che rinfoltiscono le loro fila con adolescenti alla ricerca della propria identità e del rispetto dei pari. Gli esiti di tale concorrenza sono evidenti negli USA, dove vengono alienati abbastanza ragazzi neri per sbarcarne un terzo in prigione prima dei trent’anni. Da noi la situazione sociale fa presagire uguale destini se non si corre ai ripari. Se la capacità d’azione (saper fare) e la stima (saper essere) sono essenziali per la costruzione del concetto di sé, allora il funzionamento del sistema scolastico va esaminato anche in funzione del contributo dato a queste due componenti essenziali della personalità. Bisogna dunque ricorrere all’assegnazione di maggiore partecipazione e responsabilità nella scelta e nel raggiungimento degli obiettivi in tutti gli aspetti delle attività scolastiche. E’ urgente implementare il diritto alla cittadinanza attiva. Tale concezione, cara alla tradizione progressista in campo educativo, è in linea con il principio costituzionale secondo cui in una democrazia diritti e responsabilità sono due facce della stessa medaglia. Bruner sostiene che in molte culture democratiche ci si preoccupa troppo dei criteri formali del “rendimento” e degli aspetti burocratici dell’istruzione, in quanto istituzione, tanto da trascurare l’aspetto personale dell’educazione. Anche Morin, come Bruner, rivaluta l’importanza della cultura umanistica, in particolare della narrazione, del romanzo. Laddove vi è una storia insufficiente, incompleta, inadeguata su se stessi, nasce, si sviluppa una nevrosi. La narrazione è probabile abbia la stessa importanza e funzione per la coesione della cultura quanto per la strutturazione di una vita individuale. A proposito vale la pena di ricordare che Peter Pan chiede a Wendy di tornare con lui nel “Paese che non c’è”, per convincerla, così le spiega, che potrebbe insegnare ai “bambini smarriti” a raccontare storie. Infatti se le sapessero raccontare, potrebbero crescere, imparerebbero a crescere. L’invenzione narrativa stimola l’immaginazione. Morin e Buner, ma anche Gadner danno grande importanza alla cultura umanistica che è riuscita a spiegare l’affanno umano, la fatica di vivere, molto più di quanto abbia fatto finora la scienza con i suoi sterili, aridi calcoli ed esplorazioni. Si pensi a Shakespeare, Cervantes, Montagne, Balzac, Dostojeskij, Proust o al grande teatro greco. E’ importante saper narrare, conoscere storie. Queste, assieme ai miti, strutturano e nutrono l’identità di persona. Sentirsi a proprio agio nel mondo, sapendo dove collocarsi in una storia autodescrittiva, oggi è reso ancor più difficile dai flussi migratori. Un bambino, un ragazzo, che arriva da Tunisi a Milano con la famiglia, è letteralmente sradicato, disorientato e per quanto multiculturali siano gli intenti degli operatori scolastici il fallimento dell’integrazione sarebbe certo se non intervenissero gruppi culturali alternativi in grado di aiutare l’immigrato, di sostenerlo, di riempire il vuoto venutosi a creare nella sua esistenza. E perché la narrazione sia strumento della mente, capace di dare significato, bisogna leggerla, farla, analizzarla, sentirne l’utilità. Bruner ritiene che l’educazione dei giovani sia un’attività complessa che cerca di adattare i suoi membri e i loro modi di conoscere alle esigenze della cultura; né può limitarsi all’impiego dei risultati di un “test delle prestazioni” centrato sul soggetto o all’applicazione delle “teorie dell’apprendimento”. La pedagogia moderna è sempre più dell’idea che il bambino, il ragazzo, debba essere consapevole dei propri processi di pensiero e che sia essenziale che il teorico di pedagogia e l’insegnante lo aiutino a diventare metacognitivo, ossia a essere consapevole non solo dell’argomento-materia che sta studiando, ma anche del suo stesso modo di procedere nell’apprendere e nel pensare. Ma acquisire competenze e accumulare conoscenze non basta. Lo studente va aiutato a raggiungere la piena padronanza riflettendo anche sul modo di affrontare il lavoro e su come intervenire per migliorare il suo approccio. Un aiuto può essere la costruzione di una buona teoria per la mente, o una teoria per il funzionamento mentale. Lo studente, in quanto ed innanzi tutto persona, è un essere attivo ed intenzionale, non è un recipiente vuoto che va riempito. Egli già è. Va solo “ex-ductum”. Si ricordi la scuola e la maieutica socratica. La conoscenza è “creata dall’uomo”, non è lì a nostra disposizione. La conoscenza del mondo e degli altri viene continuamente costruita e negoziata con gli altri, sia quelli a noi contemporanei, sia coloro che ci hanno lasciato da tempo. Le culture non sono statiche, stabili, irreversibili. Esse sono in continua evoluzione e la velocità del cambiamento aumenta quanto più i nostri destini umani si intrecciano attraverso le migrazioni dei popoli, il commercio, il rapido scambio di informazioni.
K. Lorenz, studiando le nuove generazioni, sostiene che queste, così come avviene nel mondo animale, sono guidate da una neofilia fisiologica, da un desiderio istintivo di staccarsi dalle tradizioni delle generazioni precedenti per ricercare nuovi ideali con cui identificarsi e per cui battersi. Lorenz ritiene tali comportamenti molto vantaggiosi per la conservazione della specie, in quanto la rende libera, autonoma, creativa, innovativa. Ma per fortuna al periodo della neofilia fisiologica segue quello dell’ubbidienza ritardata e dell’amore per ciò che rappresenta la tradizione. Entrambe le fasi, che contraddistinguono sia la storia e la vita dei singoli, sia quella della collettività, costituiscono la dialettica tra il nuovo e l’antico che non si annullano, ma si compensano. Infatti spinte troppo tradizionali e conservatrici soffocherebbero un sistema, lo condannerebbero all’autoestinzione, così come spinte troppo dinamiche e audacemente innovative lo condurrebbero all’autodistruzione. Ecco dunque la necessità di un equilibrio dialettico fra le due fasi, fra le parti, al fine di garantire quella che Durcheim definisce nel discorso fra la solidarietà organica e la solidarietà meccanica. Ossia puntare sulla solidarietà organica garantisce che ciascuna persona prenda il lievito che gli viene dal sistema precedente in uno scambio collaborativo da una competenza all’altra che consente la neofilia fisiologica, ma soprattutto favorisce l’equilibrio che permette di vivere e di progredire.
Dunque un cambiamento misurato, equilibrato, che coinvolge un sistema, la scuola, da sempre istituzione che insegna, ma che non apprende, non vuole apprendere; organismo che più di ogni altro è resistente alle innovazioni. Forse perché è luogo deputato alla memoria, alla tradizione. Di qui probabilmente il disagio dei giovani che avvertono di essere incompresi. Oggi è necessario che la scuola, riscopra la vocazione per cui è nata: l’eplorazione, la ricerca, la proiezione nel futuro, forte degli strumenti trasmessi dalla tradizione. Gardner in “Sapere per comprendere” sottolinea come negli ultimi anni esponenziali siano stati i progressi della scienza e della tecnica che hanno inevitabilmente influito sugli stili, sui ritmi di apprendimento, ma anche anticipato i campi d’interesse delle nuove generazioni. A fronte di tale rivoluzione copernicana la scuola è rimasta quella di un secolo fa tanto che se un essere umano degli inizi del novecento venisse collocato all’interno di un’aula scolastica attuale sarebbe a suo agio, si orienterebbe perfettamente, poiché i rituali comportamentali sono identici a quelli del suo tempo: prevalenza nella didattica della lezione frontale, esercitazioni scritte, attività decontestualizzate.

La scuola, ambiente decontestualizzato.
Ora mentre nella scuola vige una cultura reale, fatta di programmi, di contenuti di materiale specifico, di libri di testo, al suo interno, fra gli studenti, si consuma una cultura virtuale volutamente ed erroneamente ignorata. Quella dei giovani è detta virtuale nel duplice senso di cultura massmediale e di cultura potenziale; è quella che alcuni definiscono cultura giovanile, quella del muretto o dell’ombrellone. Dentro questo modo di vivere e comunicare dei giovani ci sono principi etici, civici perché la cultura giovanile interpreta le cose, elabora degli orientamenti. Il problema è che la cultura formale, quella degli adulti, della scuola, non dialoga con quella virtuale. E’ bene trovare maggior aggancio tra ciò che appartiene alla cultura formale e che proponiamo da studiare e quanto è tipico della cultura virtuale che gli studenti si portano dentro al fine di far emergere e valorizzare i valori e i contenuti della cultura giovanile, che poco o per nulla viene presa in considerazione dalla scuola e sulla quale poco o per nulla incide la cultura reale della scuola.. Investire sulla negoziazione significa in questo caso dare più spazio alla cultura virtuale dei giovani. Esiste poi una terza tipologia di cultura: la cultura possibile, quella presente nell’ambiente extrascolastico, che non entra ugualmente dentro le mura scolastiche. Il giovane è a contatto quotidiano con la cultura possibile disseminata nel contesto familiare, geografico, nel contesto di vita; è una cultura presente, muta, silente fino a quando non la si interroga. Di essa lo stesso giovane spesso non si accorge. E’ la cultura del territorio, che non comprende solo quello artistico, ma anche il tessuto produttivo così ricco di formazione. La cultura formale della scuola, molto forte, impedisce di riconoscere la cultura possibile che è nell’ordine della coscienza collettiva. La scuola, quindi, è un ambiente decontestualizzato che non riesce a stabilire contatti né con il vissuto culturale dei ragazzi né con il tessuto culturale del territorio. In questo modo finisce con l’essere lontana razionalmente ed emotivamente dall’uno e dall’altro. Accoglie su di sé le insoddisfazioni delle attese e le accuse di inefficienza e di inefficacia. Il rimedio a tale situazione è stato ovviato oltre che nell’invito generico ad una maggiore apertura della scuola al territorio, nelle forme di flessibilità organizzativa e didattica, riconosciute alle scuole proprio con l’autonomia. Oggi le scuole, chiamate a nutrire la “quota di curricolo loro riservata” con insegnamenti ed attività autonomamente scelti, possono rispondere all’esigenza di una maggiore aderenza alla cultura possibile, presente ed espressa nel territorio, e possono trarne maggiore soddisfazione.

Il predominio della cultura umanistica.
La cultura nel nostro tempo è stata contraddistinta dalla dualità della cultura umanistica e scientifica. C.P. Snow, nel suo fortunato saggio del 1959 , già denunciava la pericolosa frattura tra le due culture e non a caso preannunciava un “conflitto fra esse”. Oggi in più sedi si denuncia l’endemica ipotrofia della cultura scientifica nelle nostre scuole a vantaggio della cultura umanistica. Il Libro bianco sulla scuola di E. Cresson ha messo in risalto che i giovani potranno andare incontro a degli shocks nel futuro, se non avranno una preparazione adeguata. Uno di questi shocks è proprio quello causato dal celere Know-how della società scientifica e tecnologica. L’ uomo di oggi avverte contemporaneamente i benefici e le minacce derivanti dal progresso scientifico e tecnologico. Ai nostri tempi si sta verificando lo stesso sfasamento tra progresso da una parte e coscienza collettiva dall’altra, che ha contraddistinto la transizione dal Medio Evo al Rinascimento. Il progresso scientifico e tecnologico ha ritmi sostenuti di evoluzione, mentre la coscienza collettiva non è capace di tenere dietro a tale andamento. Solo una maggiore preparazione e formazione scientifica di tutti può aiutare ad evitare lo shocks. Non basta. Nelle nostre scuole si registra anche la sottovalutazione di quella che viene definita la terza cultura: le scienze sociali, che hanno la stessa dignità epistemologica delle altre due culture. Il supporto scientifico a tale affermazione è dato da W. Lepenies “Le tre culture”, da M.Talamo “Oltre le due culture”, ma anche da E. Morin “La testa ben fatta” e Gardner “Sapere per comprendere”. Già la Commissione dei Saggi, invitata ad indicare “i saperi essenziali per la scuola del futuro”, a suo tempo, aveva rimarcato il maggiore peso da assegnare ad alcuni saperi nell’impianto curricolare. E’ il caso dell’arte, della musica, del cinema, della filosofia, del diritto ed economia, di cui si chiede una maggiore considerazione e, quindi, estensione a tutti i segmenti scolastici ed ai diversi indirizzi. L’impianto curricolare attuale del nostro sistema scolastico non assicura, quindi, l’equilibrio tra i diversi saperi finendo con il non essere rispondente alle esigenze del tempo e con il produrre una formazione culturale incompleta e disorganica nei giovani. Con la riforma come si può rispondere a questa carenza? Si risponde con la ridefinizione dell’impianto curricolare di ciascun segmento scolastico. Si ipotizza una riorganizzazione del curricolo che preveda l’equilibrio tra le tre culture: quella umanistica, quella scientifica e quella sociale, prima che lo studente acceda ai diversi indirizzi della scuola secondaria in cui specifiche caratterizzazioni sono necessarie. Maggiore equilibrio, dunque, tra cultura umanistica, cultura scientifica e cultura sociale e nuovi saperi emergenti nel nostro tempo: è un cambiamento necessario. E’ bene che un giovane conosca non diciamo la sociologia, ma alcuni fenomeni sociali rilevanti; che abbia la conoscenza di alcuni elementi di psicologia; che esca dalla scuola dell’obbligo e sappia riguardo al concetto di responsabilità civile e responsabilità penale (guida il motorino!); che conosca l’apparato giudiziario, gli organi dello Stato, i partiti politici, elementi di economia ( Pil, Euro, Bilancio dello Stato); che sappia perché si pagano le tasse e perché i paesi poveri sono sempre più poveri ( circolo vizioso della povertà). Etc. Si deve tendere all’organicità curricolare. Se non dovessero riuscirci con i curricoli nazionali si può sempre intervenire con gli insegnamenti e le attività autonomamente definiti dalle scuole, cha vanno ad arricchire l’offerta formativa.

Il fascino ed il mito dell’esaustività.
Attualmente il percorso scolastico che si offre all’alunno è frammentato in senso verticale in quattro segmenti: scuola dell’infanzia, scuola primaria, scuola media, scuola superiore. Lo è anche a livello orizzontale: ci sono ben 200 indirizzi. In senso verticale assistiamo a una riproposizione di contenuti e di conoscenze che, anche se fatta in nome di un approfondimento, risulta spesso una diseconomia e nasconde il convincimento che l’alunno debba accumulare conoscenze, secondo il concetto di alunno “cisterna”. Gardner in “Sapere per comprendere” scrive: “Nel tempo la maggior parte delle scuole ha enfatizzato l’importanza di accumulare una notevole quantità di conoscenze apprezzate dalla società. L’insegnante fa lezione e lo studente legge il manuale; in tal modo le conoscenze vengono assorbite, assimilate e poi esibite”. Questo può essere definito automatismo cognitivo che è una disfunzione del nostro sistema scolastico. Vandevelde (“Il mestiere della scuola oggi”), interrogandosi sul fine dell’interrogazione per i docenti, sosteneva che l’unico fine era la restituzione dell’appreso.
Il nozionismo e l’automatismo cognitivo si fondano sulla memorizzazione e sull’apprendere e non sul comprendere dice Gardner, il quale prosegue ricordando che fin dall’antichità c’era un modo alternativo di educare; per i maestri educare significava proporre questioni, stimolare l’analisi delle soluzioni alternative e impegnare il discepolo a costruire la propria conclusione personale ( i dialoghi socratici ). La disfunzione esistente ne porta dietro un’altra, che è quella dell’esaustività dei contenuti proposti: trattare il maggior numero possibile di argomenti. Il bravo insegnante è stato considerato per anni colui che “finiva” il programma, magari già alla fine di aprile, per poi fare il ripasso. L’esaustività non ha più senso. E. Cresson sostiene che un giovane non ha bisogno solo del bagaglio culturale, ma del potenziale cognitivo. Il potenziale cognitivo è la capacità di procurarsi le conoscenze, di apprendere a conoscere di imparare ad imparare (Bruner, Feuerstein, Vigoskj).
Già Seneca, rispondendo a Lucilio che riferiva al suo maestro, e forse con orgoglio, delle sue numerose letture, lo ammoniva e lo invitava a selezionare alcune cose e ad approfondirle perché: nusquam est qui ubique est. Come ovviare a tale situazione? La risposta è già implicita nell’analisi in cui Gardner fa riferimento al mondo classico: essenzializzare i contenuti dell’insegnamento. Ricercare cioè i contenuti irrinunciabili e concentrarsi su di essi evitando l’assillo di accumulare conoscenze nella mente degli alunni. Occorre un’organizzazione dei curricoli improntati al criterio della progressività: si pensa ad un curricolo unico dai 3 ai 18 anni, in modo da evitare sovrapposizioni di contenuti. E’ necessario in modo particolare una organizzazione dei curricoli improntata principalmente sui saperi procedurali, sui “nuclei fondanti”, sui “concetti-chiave”.
La scuola ha, così, la duplice funzione di fornire a tutti un nucleo di conoscenze essenziali riorganizzate intorno a concetti-chiave e di indirizzare il soggetto a comportamenti intellettuali nell’azione di formazione. A questo si vuole tendere con i nuovi curricoli o almeno con un modo nuovo di fare scuola. Una scuola dunque rispondente alle esigenze del tempo, alle incertezze, al crollo del progresso garantito, agli innumerevoli scacchi delle previsioni economiche. Una scuola che trasmette la conoscenza storica che a sua volta serve non solo a riconoscere i caratteri, nello stesso tempo determinati ed aleatori, del destino umano, ma anche ad aprirci all’incertezza del futuro. Prepararsi all’incertezza vuol dire sforzarsi di pensare bene, rendersi capaci di elaborare ed usare strategie, fare,infine, con tutta coscienza le nostre scommesse. Pensare bene vuol dire praticare un pensiero che si sforzi senza sosta di contestualizzare e globalizzare le sue informazioni e le sue conoscenze, che lotti contro l’errore e la menzogna, ma significa anche essere coscienti dell’ecologia dell’azione. Importante a proposito è la strategia che, come il programma, si stabilisce in vista di un obiettivo, ma che differentemente dal programma, che ha bisogno di condizioni esterne stabili, riunisce le informazioni, le verifica, modifica le sue azioni in funzione di informazioni raccolte e dei casi strada facendo. Fino ad oggi tutto il nostro insegnamento ha puntato e teso al programma, mentre la vita ci richiede strategie e, se possibile, anche serendipità ed arte. La strategia porta con sé la consapevolezza dell’incertezza che dovrà affrontare e comporta quindi una scommessa. La scommessa dovrà essere fatta con coscienza piena, altrimenti porta alla rovina. La scommessa è l’integrazione dell’incertezza nella fede e nella speranza. Ma la fede e la speranza non è di tutti. K. Marx in una delle sue tesi su Feuerbach si chiedeva ”Chi educherà gli educatori?” Saranno pochi coloro che animati dalla fede nella necessità di riformare il pensiero avvieranno la rigenerazione dell’insegnamento. Saranno coloro che hanno già in sé il senso della loro missione. Freud sosteneva che ci sono tre funzioni impossibili per definizione: educare, governare, psicanalizzare. Morin ritiene che queste siano molto più che funzioni o professioni. Il carattere funzionale dell’insegnamento lo riduce ad impiego, quello professionale porta a ridurre l’insegnante ad esperto. L’insegnamento invece ha il dovere di andare oltre la funzione, la professione, la specializzazione. Deve ridiventare compito di salute pubblica: missione. Una missione di trasmissione. La trasmissione richiede competenza, ma anche arte, amore, “eros”, come affermava Platone. Amore per la conoscenza e l’allievo. La missione presuppone la fede, la fede nella cultura e nella mente umana. Se non c’è amore, passione, non c’è trasmissione di saperi. Si assiste, di contro, al disorientamento dei giovani, alla loro dispersione.

Elevato tasso di dispersione scolastica.
La dispersione scolastica già a livello quantitativo ci preoccupa. Rispetto agli altri paesi europei, in percentuale, sono pochi i ragazzi che arrivano al diploma. Noi abbiamo un dato certo: il 35% di giovani si disperde ed esce dal sistema scolastico senza conseguire il titolo finale di istruzione secondaria di secondo grado. La dispersione quantitativa è palese, evidente, oggettiva ed inconfutabile. Ma preoccupante è anche la dispersione qualitativa. Ad eccezione della scuola primaria, le indagini sulla qualità degli apprendimenti degli alunni nel segmento secondario ci pongono in una posizione fortemente penalizzante. Siamo di fronte alla dispersione latente dello studente che quando esce dal sistema scolastico si disperde, non trova realizzazione perché non ha gli strumenti per potersi orientare e realizzare. Oggi corriamo il rischio di conoscere un nuovo analfabetismo, non quello strumentale ( non saper leggere e scrivere) e neppure quello funzionale ( non comprendere ciò che si legge), ma quello conoscitivo: l’individuo sa leggere e scrivere, comprende ciò che legge e scrive, ma non possiede gli strumenti cognitivi per procurarsi di volta in volta le conoscenze di cui ha bisogno. Può diventare un disperso sociale anche l’alunno scolasticamente positivo perché non conosce le modalità di inserirsi nel tessuto sociale. Questa è una dispersione nascosta di cui la scuola non si è mai occupata. Alla cura di questa malattia, in verità molto grave, sono finalizzate tutte le innovazioni proposte ed in modo particolare l’innalzamento dell’obbligo di istruzione fino a 18 anni. Con la legge 30/2000 (Riordino dei cicli) l’obbligo rimarrà per sempre per nove anni e cioè fino al termine del biennio della scuola secondaria, ma se dopo gli anni obbligatori, il giovane decide di non proseguire gli studi è tenuto, fino a 18 anni, a frequentare corsi di formazione professionale e/o di apprendistato. L’accorciamento di un anno di scolarità (diciotto anni complessivi rispetto agli attuali diciannove), viene compensato dall’obbligo formativo, previsto comunque fino al diciottesimo anno attraverso un percorso formativo integrato. Il sistema formativo integrato prevede che una scuola possa offrire agli allievi di frequentare contemporaneamente la formazione professionale e di conseguire anche due qualifiche: il titolo della maturità e la qualifica professionale anche in tempi diversi attraverso il riconoscimento dei crediti accumulati nel corso degli anni. L’innalzamento dell’obbligo di istruzione e dell’obbligo formativo fino a 18 anni e soprattutto l’integrazione tra i due sistemi rappresentano le iniziative finalizzate al contenimento della dispersione scolastica.Queste sono le principali disfunzioni che vengono addebitate al sistema scolastico. L’innovazione ha ragione di esistere nel momento in cui vuole eliminare le disfunzioni dell’attuale sistema che sono verificabili sia a livello empirico sia a livello scientifico.

I cambiamenti necessari.
La società della conoscenza, del navigare a vista, come recita il “Libro Bianco” di E. Cresson, richiede una scuola autonoma, libera, flessibile, innovativa. Se è luogo deputato alla trasmissione del sapere, dunque all’apprendimento, la scuola non può disconoscere che apprendimento, inteso come modificazione del comportamento, significa inevitabilmente cambiamento.

L’uniformità della proposta di educazione e di istruzione.
A proposito Gardner sostiene che le scuole di tutto il mondo sono state da sempre caratterizzate dall’uniformità dell’educazione proposta, sia dal punto contenutistico, che organizzativo, che metodologico, che delle terminalità (obiettivi-traguardi) da raggiungere. Una scuola sì fatta, che richiede a tutti lo stesso standard, altrimenti scatta la sanzione della bocciatura, è stata caratterizzata dal principio egalitario dell’istruzione e dell’educazione, che rappresenta uno strumento di giustizia sociale. Tale scuola ha consentito a tutti le stesse opportunità, discriminando poi nei risultati. L’uguaglianza delle opportunità, rivendicata dalla riforma degli anni 70, invero si è limitata all’uguaglianza del diritto di accesso a scuola. Il timore di perpetrare discriminazioni sociali in quello che è riconosciuto come diritto inscritto nell’uomo, il diritto all’istruzione, ha comportato in effetti disuguaglianza di risultati, poiché gli studenti sono stati considerati come se fossero tutti uguali, caratterizzati dagli stessi ritmi, dagli stessi stili, dagli stessi interessi etc. G. Allport, grande teorico della personalità, afferma, invece, che nessun uomo è sosia. La persona umana è contraddistinta da tratti di universalità, presenti in tutte le razze, da tratti di singolarità, di similarità e di distinzione. Per dirla con Don Milani “l’ingiustizia più grande consiste nel far parti uguali fra disuguali”. L’uniformità delle proposte educative è una grande disfunzione sia a livello socio-pedagogico, sia cognitivo. Gardner parla di intelligenze multiple, ognuna delle quali si esprime in un modo particolare. L’uniformità risulta poi essere una disfunzione anche a livello pedagogico e psicologico. Erikson in Gioventù e crisi di identità sostiene che l’identità si costruisce attraverso due processi: 1) l’integrazione con l’altro cercando di assumere i comportamenti, le caratteristiche, le peculiarità dell’altro (la personalità si forma attraverso l’identificazione con l’altro); 2) la distinzione dall’altro acquistando la coscienza di avere l’identità di se stessi, altrimenti si è gregge (si ha l’identità collettiva, ma si possiede la percezione di sé nel momento in cui si individuano caratteristiche proprie).
Un’educazione uniforme, troppo omogenea, non risponde dunque al bisogno psicologico di identità personale.

Portfolio e percorso formativo personalizzato.
E’ necessario dunque cambiare. E’una responsabilità storica troppo grande lasciare le cose così come sono. La necessità al cambiamento è stato ravvisato ancora nell’ autonomia conferita alle scuole, che prevista dall’art. 21 della legge 59/97, dopo tre anni di sperimentazione, con il D.P.R. 275/99 è entrato a regime. E allora in che modo l’autonomia vuole combattere l’uniformità della proposta educativa? Come si può rispondere alla singolarità di ciascuno studente, in quanto persona? Con un curricolo d’Istituto che trovi spazio sia nella quota del 15, 20, 30%, riservata al curricolo locale, sia nell’ampliamento dell’offerta formativa (art.9 del regolamento L 275/99). Il curricolo costituisce lo strumento per rispondere alla singolarità della persona umana, alla pluralità delle intelligenze multiple. La risposta all’uniformità è la pedagogia della diversità. L’autonomia organizzativa e didattica è funzionale alla pedagogia della diversità. Oltre a rispondere a livello di assetto disciplinare ed organizzativo, si può dare una risposta uniforme anche a livello personale attraverso la personalizzazione dei percorsi formativi e l’introduzione di quel prezioso strumento quale è il porfolio o libretto formativo del cittadino. La scuola dell’autonomia deve muoversi all’insegna della centralità del soggetto che apprende con la sua individualità, con i suoi ritmi, con le sue peculiarità, con la rete di relazioni che legano la sua famiglia ai diversi ambienti socio-culturali di provenienza. Ne scaturisce la necessità di avviare strategie di flessibilità didattica e organizzativa e momenti e modelli di personalizzazione dei percorsi formativi che devono essere certificati. La capitalizzazione delle varie esperienze d’istruzione e di formazione da parte di ogni individuo, nell’arco della propria scolarizzazione ed attività lavorativa, costituisce uno dei capisaldi del nuovo sistema di personalizzazione e di integrazione dei percorsi formativi, così come va profilandosi nei paesi più avanzati. Pertanto il portfolio o libretto formativo del cittadino costituisce un modo personalizzato di documentare il curriculum di ciascun soggetto, le competenze acquisite, i crediti formativi riconosciuti sia per l’inserimento nel mondo del lavoro, sia per il conseguimento di altri titoli di studio. La sua valenza sta essenzialmente in un nuovo modo di concepire il rapporto insegnamento/apprendimento, che deve essere basato su un impianto autenticamente orientativo, capace di individuare e coltivare vocazioni, carismi, potenzialità dei giovani, tanto da condurli gradualmente verso il successo formativo. Così la certificazione costituirà l’apice di un complesso percorso formativo e procedimento di valutazione e di autovalutazione. Il portfolio prevede: 1) una sezione dedicata alla valutazione, che registra analiticamente e per aree disciplinari le conoscenze, le competenze, i crediti, i debiti maturati, le azioni di sostegno e/o recupero individuate attraverso l’elaborazione di un curriculum personalizzato da monitorare frequentemente con l’alunno stesso; 2) una sezione dedicata all’orientamento, relativa alla conoscenza che l’alunno ha di se stesso, soprattutto in merito al suo modo di affrontare lo studio, di imparare a riflettere sulle motivazioni e sugli atteggiamenti con cui affronta gli impegni scolastici, alle difficoltà di apprendimento che supererà con il docente tutor; 3)una terza sezione contenente una raccolta di materiali, significativi e realizzati dal discente, scelti con criteri di selezione individuati da lui e concordati con gli insegnanti. Nell’elaborazione del portfolio il docente e il discente devono: 1) chiarire le ragioni per la compilazione del fascicolo; 2)ipotizzare e concordare le modalità per impostarlo e gestirlo e il luogo in cui conservarlo. Il docente deve anche informare sulle attese che nutre nei riguardi del lavoro e dell’impegno dei suoi discenti. Il portfolio, che documenta la personalizzazione del percorso formativo dello studente, è compilato dal docente-tutor in collaborazione con il team-docenti che si fa carico dell’educazione e degli apprendimenti dell’allievo, sentendo i genitori e gli alunni stessi, chiamati ad essere consapevoli e protagonisti della loro crescita.
La personalizzazione dei percorsi formativi è una problematica forte, anche se Bruner sostiene che con metodi e strumenti adatti si può insegnare qualunque cosa a qualsiasi età. Dice ancora Gardner: “Un’ educazione individualizzata è forse più giusta: essa non privilegia un certo tipo di intelligenza, ma si adegua alla fisionomia intellettuale di ogni studente, né persegue l’obiettivo di far assomigliare l’individuo agli altri membri della comunità. Diversamente dalla prospettiva lokiana di plasmare la persona secondo i disegni della comunità, la visione rousseauiana mira a sviluppare e a consolidare le inclinazioni naturali dell’individuo”. Quindi l’uniformità può riguardare le finalità, ma i percorsi devono essere differenziati.

Creazione 7/02/2006

L'orientamento

L’ORIENTAMENTO
Uno sguardo verso il futuro

Nella società conoscitiva il processo educativo continua per tutta la vita, in ragione sia dei progressi costanti in campo scientifico e tecnologico, sia della crescente importanza dei saperi e dei valori immateriali nella produzione di beni e servizi, sia delle spinte alla realizzazione personale.
L’istanza dell’educazione permanente - sottolinea il rapporto all'UNESCO per l’educazione del XXI secolo - deve indurre a riflettere sulla necessità di rive¬dere le caratteristiche della formazione di base e il ruolo della scuola secondaria superiore alla luce dei fondamenti dell'educazione scolastica ed extrascolastica, individuati in: imparare a conoscere, a fare, a vivere con gli altri, ad essere. Tali "pilastri" dell'educazione impongono un impegno di alto profilo alle istituzioni scolastiche rinnovate, nella misura in cui vengono riferiti ad una popolazione scolastica eterogenea, comprensiva di molteplici "diversità".
«Vola solo chi osa farlo», sostiene Sepulveda. Il sistema scolastico, che rappresenta un tassello vitale rispetto al processo di maturazione personale, deve sostenere l’itinerario di scoperta e di realizzazione del SE’, mettendo in campo le risorse educative e didattiche, personali e materiali, che possono essere reperite al proprio interno e nel territorio, prevedendone una sinergica composizione nel Piano dell'Offerta Formativa. Così l'accoglienza si traduce in conoscenza e, attraverso il progetto formativo, diviene accompagnamento che guida l’allievo a "volare" verso il futuro. La responsabilità della scuola, tesa a trasformare "l'esperienza di vita in orizzonte di attesa", assume la de¬nominazione tecnica di "orientamento". La Direttiva 487/97 del MIUR recita che “l’orientamento va inteso come azione formativa mirante a mantenere i giovani in grado di orientarsi in una società complessa, di decidere il proprio futuro (progetto esistenziale, progetto di vita) e di partecipare attivamente allo sviluppo degli ambienti vitali in cui essi scelgono di vivere e di agire”. L’orientamento, sempre nella Direttiva 487/97 del MIUR, diventa una componente strutturale dei processi educativi, non più attività laterale mirata a risolvere situazioni “patologiche”. Pertanto occorre apportare modificazioni nella didattica disciplinare perché diventi “orientativa”. L’orientamento diviene, dunque, risorsa strategica che si esplica in tante attività che, a loro volta, mirano a formare e a potenziare le capacità delle Studentesse e degli Studenti affinché conoscano se stessi, l’ambiente in cui vivono, i mutamenti culturali, socio-economici, le offerte formative, affinché possano essere protagonisti di un personale progetto di vita e partecipare allo studio, alla vita familiare e sociale in modo attivo, paritario e responsabile. Il ruolo svolto dall’orientamento scolastico e professionale è di grande importanza per la crescita di ogni persona in età scolare, ma diviene determinante ai fini della prevenzione della marginalità e dunque della dispersione, di fronte a vecchie e nuove povertà, nonché nella tutela delle fasce deboli della popolazione scolarizzata. Un errato orientamento reca con sé conseguenze più gravi per chi dispone di minori sostegni, soprattutto in caso di espulsione dal sistema formativo scolastico. I giovani, attraverso la ricerca del loro futuro, ricercano se stessi e il significato della propria esistenza.
Prima di delineare sinteticamente alcune dimensioni che rendono il sistema scolastico nel suo complesso orientativo per tutti gli studenti, è bene ricordare che, a differenza di altri Paesi europei come Francia, Svizzera, Germania, l’Italia ha rifiutato l'ipotesi di creare apposite "classi di osservazione" e/o "classi speciali" per allievi che appartengono a gruppi sociali deboli. Occorre allora lavorare coerentemente per rendere la loro frequenza nelle classi comuni significa¬tiva ai fini della promozione dello sviluppo personale.
Nella pro¬spettiva orientativa gli alunni imparano a conoscere meglio se stessi e a saper scegliere quando vengono resi partecipi degli obiettivi da raggiungere; quando sono invitati a scegliere tra una serie di attività di apprendimento quelle meglio rispondenti ai loro inte¬ressi; quando sono messi in condizione di autovalutarsi; quando pos¬sono partecipare a iniziative a carattere interdisciplinare, che antici¬pano le modalità di svolgimento del lavoro adulto; quando imparano a lavorare in gruppo, armonizzando così le differenti attitudini nella realizzazione di un progetto comune; quando acquisiscono un metodo di studio personale; quando vengono loro proposti feedback tempe¬stivi e specifici riguardo ai loro interessi e attitudini.
La scuola può essere tutta orientativa nella misura in cui, nelle sue varie articolazioni - scuola dell'infanzia, primaria e se¬condaria - è in grado di elaborare una progettazione educativa e percorsi formativi personalizzati ricchi di proposte sul piano disciplinare e formativo, che aiutano ogni studente, anche in situazione di difficoltà, a scoprire e a discriminare le proprie attitudini. In particolare, la progettazione non deve escludere l'allievo, anche disabile, dalle esperienze scolasti¬che rivolte alla classe. Dal punto di vista metodologico e didattico è fondamentale che i docenti mantengano una costante sinergia tra attività intellettuale e at¬tività manuale, alternando nel processo di insegnamento proposte di esperienze globali e di applicazione su compiti specifici. Sostiene in proposito Vico: «Quante volte abbiamo osservato alunni instabili, di¬struttivi ed impulsivi pervenire gradualmente al rispetto per le cose dopo l'educazione al lavoro e in seguito alla progettazione e alla esecuzione di un progetto concreto». Soprattutto nella pubertà un’attività impostata attraverso tali accorgimenti metodologici e didattici è idonea a «sollecitare e a fare riemergere nell'alunno automatismi di base e capacità acquisite negli anni della fanciullezza e ormai allo stato solo latente o di atrofizzazione in atto, in seguito al venire meno di motiva¬zioni adeguate, all'accentuarsi di esercizi ripetitivi e alla carenza di prospettive di attività concrete, finalizzate alla produzione di cose belle e utili». Inoltre occorre che i docenti si impegnino ad "attualizzare e contestualizzare" il sa¬pere scolastico, cercando nella realtà ambientale collegamenti e riscon¬tri rispetto alle conoscenze acquisite tramite i libri di testo. In relazione all'età degli allievi, si possono proporre attività di edu¬cazione all'immagine o contenuti di storia dell'arte esclusivamente ri¬manendo all'interno dell'aula scolastica, oppure andando a visitare di¬rettamente mostre, o gallerie, o esposizioni che il territorio offre, eventualmente “rivisitandole”, in seguito, attraverso la rete informatica.
La conoscenza "in situazione" delle molteplici ri¬sorse culturali e ambientali presenti nell'extrascuola è in grado di coin¬volgere globalmente tutte le dimensioni della personalità dell'allievo, favorendo l'incremento della motivazione, sollecitando il consolidamento degli apprendimenti cognitivi e promuovendo l'esercizio del pensiero criti¬co.
Anche il processo di valutazione ha una funzione orientativa, se, relati¬vamente all'area cognitiva, non si limita al censimento delle lacune ma indica all'allievo le condizioni da curare per migliorare l’apprendimento; se definisce i progressi nelle acquisizioni del patrimonio di conoscenze, con riferimento non solo ai contenuti del sapere, ma anche al metodo di studio e ai linguaggi utilizzati. In tal senso costituirà risorsa strategica determinante per promuovere il successo scolastico e formativo. La valutazione ha altresì riflessi positivi sull'intero processo di maturazione della personalità, se favorisce la costruzione di un concetto realistico di sé e di conseguenza se contribuisce a promuovere un’equilibrata vita di relazione e la motivazione verso le future scelte personali.

Nel prefigurare le prospettive del futuro - scolastiche o professionali - occorre tenere conto dell'esperienza formativa pregressa, breve o lunga che sia. Superando i rischi dell’autoreferenzialità, che vedono le istituzioni scolastiche autonome maggiormente esposte rispetto alla scuola tradizionale, è chiaro che ogni grado di scolarizzazione rappresenta un segmento, un tassello, il quale deve collocarsi armo¬nicamente nei confronti dell’iter formativo del soggetto.
Pertanto la progettazione della scuola deve richiamare i docenti all'importanza di mantenere rapporti di continuità educativa, didattica e organizzativa con gli ordini di scuola precedenti per meglio configurare gli studenti nelle loro attitudini, vocazioni, inclinazioni e per meglio orientarli. Un rilievo particolare spetta alla cura della documentazione di passaggio degli allievi. Con ciò si vuole intendere la costruzione e l'aggiornamento di un dossier personale dell'alunno, il portfolio - comprensivo di rapporti, griglie, elaborati, informazioni, provenienti da una pluralità di fonti - che non testimoni la celebrazione di un rito formale, ma fornisca materiali realmente rappresentativi, utili a ricostruire il per¬corso narrativo dello svolgersi dell'identità, ponendo in luce le atti¬tudini e gli interessi. Il portfolio, o libretto formativo del cittadino, costituisce a tutti gli effetti strumento di diagnosi, di prognosi, di valutazione, di certificazione e di orientamento per tutti gli allievi, anche per quelli in situazione di handicap. Tale do¬cumentazione comprende, senza esaurirsi in essi, la diagnosi funzionale, il profilo dinamico funzionale, il piano educativo personalizzato, eventuali progetti di continuità, redatti in modo preciso, analitico, sostanzialmente efficace e non ambiguo. Va inoltre tenuto presente che l'allievo stesso, come i suoi genitori, va interpellato nella predisposizione della documentazione progettuale che lo riguarda tutte le volte in cui ciò si rende possibile e, comunque, in modo si¬stematico, a partire dagli ultimi anni del ciclo dell'obbligo. Ciò comporta che, di norma, la documentazione sia accessibile e fruibile dallo Studente interessato, perché egli possa rintracciare il percorso svolto e rivisitarlo con consapevolezza.
Nell'ambito del portfolio, trova una colloca¬zione privilegiata la testimonianza documentale delle esperienze si¬gnificative e dei crediti formativi e scolastici, che l'allievo matura durante il processo di istruzione e di educazione. I documenti evidenziano le sue inclinazioni, vocazioni ed interessi. Essi suggeriscono indicazioni ai fini dell'orientamento.
Nell'esercizio della loro autonomia, le scuole di ogni ordine e grado dovrebbero prevedere nel piano dell'offerta formativa attività di orientamento da inserire organicamente nei curricoli di studio, valorizzando il ruolo della didattica orientativa e della continuità educativa.
Nella progettazione e nella realizzazione di ciò si potrebbero ipotizzare azioni come:
1 - la realizzazione delle iniziative di orientamento all'interno delle attività curricolari;
2 - l'attribuzione di precise funzioni relative agli interventi da svolgere con l'individuazione dei referenti e delle loro responsabilità;
3 - la formazione dei docenti sui temi dell'orientamento con riferimento all'organizzazione scolastica, alle abilità relazionali nel rapporto educativo, alla didattica orientativa e all'impiego delle tecnologie didattiche;
4 - l'informazione e il supporto alle famiglie e agli studenti, sostegno delle loro autonome iniziative; 5 - le iniziative di alternanza studio-lavoro, di esperienze diverse nel sociale e nel volontariato;
6 - lo sviluppo di iniziative di preparazione e di verifica della scelta degli studi universitari, con
particolare riferimento alle preiscrizioni;
7 - lo svolgimento delle attività complementari di cui all'art. 1, comma 2 del D.P.R. 567/96.
Le azioni vanno progettate sulla base della conoscenza delle caratteristiche dei soggetti da orientare, delle loro motivazioni, degli ambienti sociali in cui le scuole operano; esse vanno integrate con gli interventi mirati a favorire il successo formativo.
Per rendere più efficaci le azioni di orientamento, gli Organi Collegiali potranno adottare articolazioni organizzative, quali dipartimenti disciplinari, gruppi di ricerca e commissioni di lavoro; mentre i Dirigenti Scolastici promuoveranno lo sviluppo di rapporti interistituzionali con le università, gli enti locali e gli altri soggetti pubblici e privati interessati.
Concludendo
• l’Orientamento deve partire dal 1° Ciclo.
• l’Orientamento va inteso quale prassi didattica
• l’Orientamento va vissuto come azione di sistema integrato, che vede coinvolti Università, Regioni, UU.SS.RR., EE.LL., Uffici per l’Impiego

Creazione 30/01/2006

La conoscenza

La CONOSCENZA
da Edgar MORIN

Le sfide che caratterizzano la nostra epoca sono importanti, vitali. Lo stato dei saperi ereditato non è all’altezza del compito. La posta in gioco è caratterizzata dai nuovi problemi posti alla convivenza umana da un’interdipendenza planetaria irreversibile fra le economie, le politiche, le religioni, le conoscenze di tutte le società umane. Affinché tali sfide siano affrontabili è indispensabile una riforma dell’insegnamento e dell’educazione attraverso ogni settore formativo. La riforma dovrà vertere in particolare sull’organizzazione dei saperi, ormai disgiunti e frazionati, inadeguati ad affrontare problemi che richiedono approcci multidisciplinare. Occorre sviluppare, potenziare il pensiero complesso, come sostiene E. Morin.
Sempre MORIN, riflettendo sui termini e sulla Riforma dei saperi nei Licei di Francia ha in mente un insegnamento educativo che non trasmetta solo puro sapere ma una cultura che aiuti a comprendere la nostra condizione umana e ci aiuti a vivere.
Per Morin l’insegnamento se solo cognitivo è RESTRITTIVO, da solo non può bastare. L’educazione è troppo e niente. Mentre la didattica deve incoraggiare l’autodidattica, favorendo l’autonomia dello spirito.
La globalizzazione del sistema ha reso questo (il sistema) più complesso con l’interdipendenza delle componenti che lo costituiscono. Ciò comporta il limite delle superspecializzazioni che rendono i saprei disgiunti, frazionati, dunque incapaci di “pensare“ e di “cogliere” ciò che è “tessuto insieme” (problemi sempre più polidisciplinari, trasversali, multidisciplinare, trsnazionali, globali, planetari).
Oggi viviamo nella multidimensionalità della planetarietà.
Un’intelligenza incapace di comprendere e considerare il contesto e il complesso planetario rende incoscienti ed irresponsabili. Gli sviluppi delle scienze con le specializzazioni hanno portato cecità ed ignoranza. Ovvero il pensiero che taglia, che isola, permette sì agli specialisti, agli esperti, risultati eccellenti nei loro settori e di cooperare efficacemente in settori non complessi di conoscenza, specialmente in quelli che concernono il funzionamento di macchine artificiali; ma la logica a cui il pensiero obbedisce estende all’intera società e alle relazioni umane i vincoli e i meccanismi inumani della macchina artificiale. La visione deterministica, meccanicistica, quantitativa, formalista, ignora, occulta, dissolve tutto ciò che è soggettivo, affettivo, libero e creatore.
Occorre perciò usare la, servirsi della conoscenza pertinente (E. Morin), ossia di quella intelligenza capace di contestualizzare e globalizzare. Solo così la conoscenza progredisce, e non attraverso l’astrazione, la sofisticazione, la formalizzazione.
L’esempio viene dall’economia, scienza avanzata matematicamente, ma arretrata umanamente.
Lo scienziato Hayek (fisico) l’aveva sostenuto: “Nessuno che sia solo economista può essere un grande economista” … “Un economista, solo economista, diventa nocivo e può costituire un vero pericolo”.
Attualmente dietro la sfida del globale e del complesso si cela un’altra sfida: la sfida dell’espansione incontrollata del sapere.
L’accrescimento ininterrotto delle conoscenze edifica una gigantesca Torre di Babele, rumorosa di linguaggi discordanti. La torre ci domina poiché noi non siamo in grado di dominare i nostri saperi.
Eliot si chiedeva: “Dov’è la conoscenza che perdiamo nell’informazione?” La conoscenza è tale solo in quanto organizzazione (Dewey - Piaget), solo in quanto messa in relazione e in contesto delle informazioni. Queste ultime costituiscono, a loro volta, frammenti di saperi dispersi.
Sempre più la gigantesca proliferazione di conoscenza sfugge al controllo umano. Non solo. Nell’insieme tali conoscenze non riescono a coniugarsi per nutrire un pensiero che possa considerare la condizione umana in seno alla vita, sulla terra, nel mondo e che possa affrontare le grandi sfide del nostro tempo. Non riusciamo ad integrare le conoscenze per indirizzare le nostre esistenze.
Ancora Eliot si chiede: “Dov’è la saggezza che perdiamo nella conoscenza?” Nel Titolo Generale i Proverbi di Salomone recitano: “Gli stolti disprezzano l’istruzione e la sapienza”.
Un limite della cultura attuale è costituito dalla separatezza, dallo iato esistente fra la cultura umanistica, considerata generica, di ornamento, di lusso estetico, e la cultura scientifica, che compie straordinarie scoperte, formula geniali teorie, ma non ancora formula una riflessione sul destino umano, sul divenire della scienza stessa. Oggi esiste una terza cultura, quella delle Scienze Sociali capace di costituire il ponte fra le altre due e di coniugarle.
L’uomo del post-moderno è chiamato a grandi sfide soprattutto con lo sviluppo delle attività economiche, politiche, sociali, con lo sviluppo del sistema neuro-cerebrale artificiale, ovvero informatico, che è entrato in simbiosi con tutte le nostre attività quotidiane.
Ne consegue che l’informazione, attualmente, è la materia prima che la conoscenza deve padroneggiare ed integrare. Ma la conoscenza deve essere costantemente rivisitata dal pensiero. Il pensiero, oggi più che mai, è il capitale più prezioso per l’individuo e per la società. Nella civiltà della complessità se non si ha la percezione del globale, non si dà neppure senso di responsabilità alla dimensione di solidarietà. Così viene meno anche la democrazia. Infatti inizia ad essere percepito in modo chiaro ed inconfutabile un crescente deficit democratico dovuto all’appropriazione da parte di esperti, specialisti, tecnici, di un numero crescente di problemi vitali.
Il sapere è divenuto sempre più esoterico (ovvero accessibile solo a specialisti) e anonimo (quantitativo e formalizzato).
Più la politica diventa tecnica, più la democrazia diminuisce. Più aumenta il processo di sviluppo tecnico-scientifico cieco, che sfugge alla volontà degli stessi scienziati, più regredisce la democrazia. Occorre, dunque, recuperare una democrazia cognitiva. Come Edith Cresson sostiene in “Libro Bianco”, viviamo nell’epoca del “navigare a vista”, dell’incertezza. Il XX sec. ha contribuito ad individuare la conoscenza dei limiti della conoscenza e dunque della scienza. Per imparare ad affrontare l’incertezza occorre far convergere più insegnamenti, mobilitare più scienze e discipline. La condizione umana è segnata da due grandi incertezze: l’incertezza cognitiva e l’incertezza storica. Tre sono i principi d’incertezza nella conoscenza.
INCERTEZZA COGNITIVA 1. Il primo è cerebrale, ovvero la conoscenza non è mai un riflesso del reale, ma sempre traduzione e ricostruzione, cioè comporta rischi d’errore; 2. il secondo è fisico: la conoscenza dei fatti è sempre debitrice dell’interpretazione; 3. il terzo è epistemologico: deriva dalla crisi dei fondamenti di certezza nella filosofia (a partire da Nitzsche) e poi della scienza (a partire da Bachelard e Popper), conoscere e pensare non è arrivare ad una verità assolutamente certa, è dialogare con l’incertezza. Tutto ciò che conosciamo “hic et nunc” è passibile di superamenti.
INCERTEZZA STORICA L’incertezza storica è legata al carattere intrinsecamente caotico della storia umana, la cui avventura iniziata più di diecimila anni fa è stata segnata da creazioni favolose e da distruzioni irrimediabili. Non resta niente delle grandi civiltà del passato, dei grandi imperi, neppure di quello romano. Sorprendenti regressioni di civiltà e di economie hanno fatto seguito a temporanei progressi. Il nostro avvenire non è teleguidato dal progresso storico. Questa è la grande rivelazione cui si è giunti alla fine del XX sec.. Il crollo del progresso garantito, la crisi del futuro, i fallimenti della previsione futurologia, gli innumerevoli scacchi della previsione economica hanno introdotto ovunque il tarlo dell’incertezza. Tutti gli eventi del secolo scorso, dalla prima guerra mondiale alla resistenza di mosca e di Stalingrado erano stati previsti. Imprevisti invece sono stati dal 1989 la caduta del muro di Berlino, il collasso dell’impero sovietico e la guerra di Jugoslavia. Oggi nessuno può prevedere il domani. La conoscenza storica ci deve servire non solo a riconoscere i caratteri nello stesso tempo determinati e aleatori del destino umano, ma anche ad aprirci all’incertezza del futuro. Occorre prepararsi all’incertezza, sforzarsi di pensare bene, rendersi capaci di elaborare ed usare strategie, fare, infine, con tutta coscienza delle nostre scommesse.
Il PENSARE BENE
Sforzarsi di PENSARE BENE significa praticare un pensiero che cerchi senza sosta di contestualizzare e globalizzare le informazioni e le conoscenze, che senza sosta si applichi a lottare contro l’errore e la menzogna a se stesso; ma significa anche essere coscienti dell’ecologia dell’azione.
Per ecologia dell’azione si intende ogni azione che, una volta intrapresa, entra in un gioco di interazioni e retroazioni, in seno all’ambiente in cui si effettua, che può distoglierla dai suoi fini e anche sfociare in un risultato contrario a quello previsto. Es.: nel 1935-36 una spinta rivoluzionaria in Spagna ha dato luogo ad un golpe reazionario etc…
La STRATEGIA
Le conseguenze ultime dell’azione sono imprevedibili. Importante nell’azione è la strategia che, come il programma, si stabilisce in vista di un obiettivo, ma che, differentemente dal programma, che ha bisogno di condizioni esterne stabili, riunisce le informazioni, le verifica, modifica le sue azioni in funzione di informazioni raccolte e dei casi strada facendo.
Fino ad oggi tutto il nostro insegnamento ha investito sul programma, mentre la vita ci richiede strategie e, se possibile, anche arte e seridipità*.
La SCOMMESSA
La strategia porta con sé la consapevolezza dell’incertezza che dovrà affrontare e perciò comporta una scommessa. Questa dovrà essere fatta con coscienza piena, altrimenti è una rovina.
La scommessa è l’integrazione dell’incertezza nella fede e nella speranza. Kant sosteneva che “i lumi dipendono dall’educazione e l’educazione dai lumi”
Daumal a sua volta affermava “so tutto ma non comprendo nulla”.
Il secondo e terzo principio kantiano tratti dal “Discorso sul metodo” comportano il concetto di separazione e riduzione di qualsiasi oggetto di conoscenza per meglio conoscerlo.
Galilei sosteneva che i fenomeni devono essere descritti solo attraverso quantità misurabili. Ma né l’esistente, né il soggetto che conosce, possono essere matematizzati o formalizzati.
Heidegger combatte “l’essenza divoratrice del calcolo” che, a suo avviso, “frantuma gli esseri”.
Nella conoscenza scientifica del più recente passato ha regnato il principio della separazione e quello della riduzione, come se la conoscenza del tutto fosse la conoscenza additiva dei suoi elementi. Oggi, come indica Pascal, si tende ad ammettere sempre di più che la conoscenza del tutto dipende dalla conoscenza delle parti, così come la conoscenza delle parti dipende dalla conoscenza del tutto. C’è dunque bisogno di un pensiero complesso, piuttosto che di un pensiero riduttivo e/o disgiuntivo. Complesso deriva da complexus, ovvero ciò che è tessuto insieme.
La riforma del pensiero corrente affonda le sue radici nella cultura umanistica, nella letteratura, nella filosofia e si sta delineando anche nelle scienze. Essa nasce dalle due rivoluzioni scientifiche del XX sec..
La prima rivoluzione è quella della fisica quantistica che ha causato (comportato) la fine, il crollo dell’universo laplaciano, del dogma deterministico, il collasso di ogni idea di unità semplice che sia alla base dell’universo, l’introduzione dell’incertezza nella conoscenza scientifica.
La seconda, che si realizza con la costituzione di grandi riaccorpamenti scientifici, comporta la presa in considerazione degli insiemi organizzati, dei sistemi e la fine della teoria riduzionistica del XIX sec.. Si delinea così una rinascita delle entità globali, come il cosmo, la natura, l’uomo, che erano state “affettate come salami, disintegrate” (E. Morin), mentre comportavano al loro interno una “complessità insostenibile” per il pensiero disgiuntivo.
Le impostazioni del pensiero che ci hanno preceduto sono ancora evidenti, ma è pur vero che già si sono formati i principi di intelligibilità del complesso a partire dalla cibernetica, dalla teoria dei
sistemi, dalla teoria dell’informazione e si è elaborata una concezione dell’autorganizzazione atta a concepire l’autonomia, cosa impossibile per la scienza classica.
La razionalità e la scientificità hanno cominciato ad essere ridefinite e complessificate a partire dai lavori di Bachelard, Popper, Kuhn, Hulton, Lakatos, Feyerabend. I legami fra le due culture, scientifica ed umanistica, hanno iniziato a rafforzarsi. Pensatori, scienziati, hanno occupato il posto vuoto lasciato da una filosofia ripiegata su se stessa che ha smesso di riflettere sulle conoscenze offerte dalle scienze. Essi sono J. Monod, F. Jacob, Ilya Prigogine, Henry Atlan, Hubert Reeves, Michel Cassé, Basarab Nicolescu, Jean Marc Levy-Leblond. Grazie a loro sta emergendo una (loro) cultura generale, più ricca di quella antica ed atta a trattare i problemi fondamentali dell’umanità contemporanea.
Durante il XIX sec., mentre la scienza ignorava l’individuale, il singolare, il concreto, lo storico, vi era una letteratura, soprattutto il romanzo, quello di Balzac, di Dostoevskij e di Proust, che rivelava la complessità umana. La letteratura si sforzava di raccontare, mostrare, rivelare la complessità umana celata sotto semplici apparenze; la scienza, le scienze del tempo, dimostravano di dissolvere la realtà, la complessità delle apparenze per rivelarne le semplicità nascoste. Ma ancor prima del XIX sec. tutti i capolavori della letteratura sono stati capolavori della complessità. Si pensi alla rivelazione della condizione umana nella singolarità di un individuo (Montagne), alla contaminazione del reale con l’immaginario (Don Chisciotte di Cervantes); al gioco delle passioni umane (Shakespeare). Nella letteratura di sempre noi riscontriamo un insegnamento cognitivo attraverso la metafora, la quale viene celebrata sia da Morin che da Gardner. Lo stesso Cartesio affermava che: “Ci si potrà sorprendere che i pensieri profondi si trovino negli scritti dei poeti e non in quelli dei filosofi. La ragione è che i poeti si servono dell’entusiasmo e sfruttano la forza dell’immagine” (Cartesio, Cogitationes privatae). Ma ancor meglio esprime Antoine de Espery nel “Il piccolo principe”: “Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”.
Non a caso gli antichi greci facevano risiedere l’intelligenza nel cuore.
Oggi la scienza sta andando oltre i suoi confini. Vi sono studi sulla mete e sul cervello finalizzati ad individuare se sono entità distinte: la mente, così sembra, sopravviverebbe al cervello non più funzionante.
Spiegare e comprendere sono processi differenti. Spiegare è considerare il proprio oggetto di conoscenza soltanto come oggetto, impiegando tutti i mezzi di spiegazione oggettivi che determinano le forme, la qualità, la quantità, la deterministica degli oggetti. Ma se tale spiegazione è necessaria alla comprensione intellettuale e obiettiva, è insufficiente per la comprensione umana. C’è una conoscenza che è comprensiva e che si fonda sulla comunicazione, sull’empatia e persino sulla simpatia inter-soggettiva. Così io comprendo le lacrime, il sorriso, le risa, la paura se mi immedesimo, se mi identifico, se mi proietto nel soggetto che prova questi sentimenti. Non andrò dunque a misurare la salinità delle sue lacrime, ma mi identificherò in lui, rievocando situazioni, episodi (ricordi) che mi possono avvicinare alla sua esperienza dolorosa o gioiosa.
La comprensione, sempre inter-soggettiva, richiede apertura e soggettività.
La riforma di pensiero deve incidere sulla riforma dell’insegnamento. Il mondo tecnico-scientifico concepisce la letteratura, la cultura umanistica come ornamento o lusso estetico, mentre essa favorisce quello che Simon definiva il “problem solving”, ossia l’intelligenza generale che la mente umana applica a casi particolari. La riforma di pensiero consentirebbe il pieno impiego dell’intelligenza per rispondere alle sfide correnti e permetterebbe il legame fra le due culture finora disgiunte ed antagoniste. Si tratta di una riforma non programmatica, ma paradigmatica, che concerne la nostra attitudine ad organizzare la conoscenza.
La riforma di pensiero, abbiamo già affermato, deve avere come esito la riforma dell’insegnamento e viceversa. Il rapporto fra essi è lo stesso che vi è fra società e scuola, ovvero è un rapporto circolare, ricorsivo: la scuola produce la società che, a sua volta, produce la scuola e viceversa (Kant: “i lumi dipendono dall’educazione e l’educazione dai lumi”)
Come intervenire dunque in tale rapporto e superare la contraddizione sita in esso? Intervenendo in uno dei due soggetti. Solo così si assisterà ad una modificazione. La riforma inizialmente sarà marginale e periferica. L’iniziativa partirà da una minoranza di persone, all’inizio incompresa e perseguitata. Ma poi ci sarà la disseminazione delle idee, che per diffondersi diverranno forza efficace.
Allora si porrà impellente la domanda posta da Karl Marx in una delle sue tesi su Feuerbach “Chi educherà gli educatori?” Saranno pochi coloro che, animati dalla fede nella necessità di riformare il pensiero, avvieranno la rigenerazione dell’insegnamento. Saranno coloro che hanno già in sé il senso della loro missione (mission).
Freud sosteneva che ci sono tre funzioni impossibili per definizione: educare, governare, psicanalizzare.
Morin sostiene che queste sono molto più che funzioni o professioni. Infatti il carattere funzionale dell’insegnamento riduce l’insegnante a semplice impiegato, mentre il carattere professionale porta a ridurre l’insegnante ad esperto. L’insegnamento, invece, deve andare oltre la funzione, oltre la specializzazione, oltre la professione. Deve ridiventare compito di salute pubblica: missione! Una missione di trasmissione. La trasmissione richiede certamente competenza, ma richiede anche, oltre ad una tecnica, un’arte. Nessun manuale potrà mai insegnare ad insegnare, occorre ciò che Platone chiamava “eros”, che è allo stesso tempo amore, piacere, desiderio. Piacere di trasmettere amore per la conoscenza e amore per gli allievi. L’eros permette di tener a bada il piacere legato al potere, a vantaggio del piacere legato al dono. Solo così si potrà suscitare il piacere e l’amore dell’allievo e dello studente. Là dove non c’è amore, non ci sono che problemi di carriera, di retribuzione, di noia per l’insegnamento. La missione presuppone anche la fede; in questo caso la fede nella cultura e nella mente umana.
I tratti essenziali della missione dell’insegnante possono essere così riassunti:
 stimolare una cultura che consenta di distinguere, contestualizzare, globalizzare, affrontare problemi multidimensionali, globali e fondamentali, planetari;
 preparare le menti a rispondere alle crescenti sfide poste alla conoscenza umana dalla complessità dei problemi;
 favorire un’intelligenza strategica e la scommessa per un mondo migliore;
 far conoscere la storia incerta, aleatoria dell’universo, della vita, dell’uomo;
 educare alla comprensione umana fra vicini e lontani;
 insegnare l’affiliazione (all’Italia, all’Europa, alla sua storia, alla sua cultura, alla cittadinanza repubblicana;
 insegnare la cittadinanza terrestre, insegnando l’umanità nella sua unità antropologica e nelle sue diversità individuali e culturali, così come nella sua comunità di destino caratteristico dell’era planetaria, in cui tutti gli uomini sono sottoposti a confronto con gli stessi problemi vitali e mortali.
L’organizzazione disciplinare, istituita nel XIX sec., in particolare con la formazione delle Università moderne, si è poi sviluppata nel XX sec. con lo sviluppo della ricerca scientifica. La disciplina non ha solo a che fare con la conoscenza e con la riflessione interna su se stessa, ma anche con una conoscenza esterna. L’istituzione della disciplina comporta il rischio dell’iper-specializzazione del ricercatore e della “codificazione” dell’oggetto studiato. Mentre l’apertura, l’extradisciplinare, il multidisciplinare è necessario più che mai in un’epoca quale la nostra.

*seridipità = arte di trasformare dettagli apparentemente insignificanti in indizi che consentono di ricostruire la storia

Creazione 6/02/2006

La lettura delle immagini

Il bambino piccolo non legge le fiabe. Qualcuno le legge per lui ed egli impara ad ascoltarle.
Il bambino, inizialmente, riesce a leggere solo le immagini. E le memorizza così bene, assieme a tutte le parole della narrazione, che, prima ancora che l’adulto lettore si accinga a voltare pagina per proseguire la lettura della fiaba o favola, è in grado di continuare il racconto ripetendo perfettamente le parole esposte.
Ciò accade anche di fronte agli spot pubblicitari della televisione.
Ma, prima di entrare nel tema, vorrei soffermarmi sulla molteplicità dei linguaggi di cui l’uomo si avvale.
Alcuni ritengono la parola (parlata/scritta) il linguaggio per eccellenza e gli altri linguaggi
(visivo/musicale) metalinguaggi. Altri invece, come Wagner, pensano che sia la musica la forma d’arte più elevata ed universale. Altri ancora, come Bruce Chatwin, vedono nella pittura la forma di comunicazione più alta ed artistica. Teophile Gautier in “Capitan Fracassa” afferma che la scrittura sia inferiore alla pittura poiché lo scrittore non può mostrare e rappresentare gli oggetti se non uno dopo l’altro, mentre davanti ad un quadro basta uno sguardo solo ad abbracciare tutta l’opera (apprendimento lineare della scrittura-libro; apprendimento modulare dell’immagine che è globale).
Senza voler entrare nello specifico, presupponiamo la complementarità dei linguaggi . Essi, dalla nascita alla vecchiaia, sollecitano l’individuo in continuazione.
Nei primi mesi di vita la parola, per il bambino, è solo un suono. Solo più tardi essa assumerà significati precisi che svilupperanno e collegheranno i procedimenti logici, divenendo così codice.
Quindi il rapporto del bambino con il libro si sviluppa in più fasi che possiamo sinteticamente rappresentare in:
a) lettura e rapporto con le immagini:
b) lettura di immagini più complesse di cui inizia a cogliere i particolari;
c) riconoscimento delle lettere alfabetiche e lettura-decodificazione delle
parole/codice.
Ma il termine “lettura” va inteso nella sua accezione lata.
Si può “leggere” tutto: uno sguardo, l’espressione di un volto, un paesaggio, una moda, un abbigliamento.
La lettura dell’immagine ha anch’essa un codice, che si impara a leggere da bambini. Per meglio chiarire, occorre sottolineare che l’immagine è condizionata dai contesti socio-culturali.
Honorè de Balzac racconta che nella Francia del XVII secolo presso la corte del Re Sole, presentando un quadro raffigurante il paradiso terrestre, chiesero ai due figli del re, di 4 e 6 anni, di indicare Adamo ed Eva. I prìncipi non seppero rispondere poiché in quella raffigurazione, così dissero, il “primo uomo e la prima donna non erano vestiti”. Dunque non riuscirono a distinguerli poiché i costumi erano adamitici.
Attualmente con gli strumenti di comunicazione sempre più complessi, l’adulto deve acquisire conoscenza e coscienza delle proprie responsabilità nell’aiutare il bambino a discriminare i messaggi e le immagini dei mezzi di comunicazione di massa. Infatti assistiamo giorno dopo giorno ad un’invadente colonizzazione culturale da parte delle grandi aziende internazionali.
Agli inizi degli anni ’90 in un liceo artistico di Milano è stata condotta un’indagine. Gli studenti dovevano portare a scuola un’illustrazione di tre personaggi indimenticabili della loro infanzia: Cappuccetto Rosso, Robinson Crusoe e Biancaneve.
La produzione delle immagini relative ai primi due soggetti fu diversissima, seppure rispondente a perfetti canoni estetici televisivi; mentre quella su Biancaneve fu unanime: si trattava della Biancaneve di Walt Disney. Segno che lo stereotipo disneiano era/è imperante e che si può parlare di colonizzazione culturale da parte della Disney Corporation.
Tutto ciò non può non influire sulla capacità immaginativa e creativa dei giovani, che un tempo era fortemente alimentata attraverso il racconto orale il quale, di volta in volta, apporta/va qualche piccola modificazione, liberando così l’immaginazione dell’ascoltatore.

La valenza pedagogica dell’immagine è tale che essa si riflette anche nei giochi destinati all’infanzia. Ecco dunque che, a fronte della Barbie siliconata e hollywoodiana, venduta in tutto l’Occidente e in cui si identificano milioni di bambine, nel mondo islamico è nata la sua antagonista, ovvero l’antiBarbie. Si tratta di Razanne (Scintillante Modestia), ora sul mercato in versione preghiera, fra alcuni mesi in versione insegnante e medico.
Le due bambole costituiscono il simbolo di due culture profondamente diverse ed antagoniste. La prima, quella occidentale, tesa ad uno sfrenato individualismo e consumismo, avendo smarrito il significato del suo credo evangelico e le sue radici; la seconda, islamica, la quale, seppure con le sue contraddizioni e con il tragico fondamentalismo di alcune frange, concepisce ancora l’esistenza umana come missione, come impegno religioso e sociale.
Un tempo non vi erano i colori nella carta stampata. Pertanto i libri in bianco e in nero erano poco avvincenti agli occhi di un bimbo. Solo a metà del novecento le tecniche tipografiche dell’editoria sono notevolmente migliorate e si è introdotto il colore anche nella stampa dei libri per i bambini/ragazzi.
Oggi i libri dedicati alla prima infanzia sono affascinanti, pieni di colori, di estro, di ingegno e di fantasia. Veri capolavori!
La psicanalisi ha sicuramente avuto un’influenza determinante sull’editoria per l’infanzia. Prima del suo avvento, nonostante la nostra storia sia profondamente permeata di cristianesimo, il bambino era poco considerato. Con la psicanalisi viene riconosciuto individuo, persona, degno fin dal suo concepimento. Ecco dunque da quel momento una produzione editoriale ed artistica di valore, tanto più che le scoperte scientifiche suffragavano le tesi pedagogiche dell’infanzia quale età dall’alto potenziale cognitivo.
I bimbi di oggi sono molto più stimolati e seguiti di un tempo, ma noi adulti non abbiamo ancora preso abbastanza coscienza dell’influenza esercitata dalle immagini sull’accrescimento cognitivo e dell’impatto emotivo che suscita la loro lettura.
La nostra è l’epoca della “follia delle immagini”, come sostiene lo psichiatra Vittorino Andreoli.
Di qui il disordine psichico, il dolore, a volte lacerante, il disagio avvertiti dalle nuove generazioni.
Un tempo l’immagine è stata violentemente combattuta. Due grandi religioni monoteiste, il giudaismo e l’islamismo, ancora oggi rifiutano l’immagine per rappresentare il loro Dio. Il cristianesimo, fatta eccezione degli ortodossi, dei copti e dei protestanti, ha ereditato dal mondo pagano, greco, il culto per l’iconografia. Già Papa Gregorio Magno (550), scrivendo al vescovo di Marsiglia, gli indicava di far uso delle pitture per insegnare ai fedeli i passi biblici.
Ma le immagini con tutta la vaghezza, la complessità e la molteplicità di significati non possono essere lasciate all’interpretazione e all’iniziativa personale. Occorre un mediatore che le filtri. Nel passato il mediatore era il sacerdote. Oggi per l’infanzia la funzione di mediatore responsabile e cosciente dovrebbe svolgerla l’adulto, l’insegnante, l’educatore, in primis il genitore.
L’educazione all’immagine, la lettura delle immagini diventano importantissimi nella prima fascia dell’età evolutiva poiché con esse si pongono le basi alla capacità di discriminare e di differenziare la realtà.
I programmi della scuola elementare hanno incluso un capitolo a parte su questo argomento. Nei successivi passaggi agli altri ordini di scuola esso è stato totalmente abbandonato.
E’ stato preferito lo studio della Storia dell’Arte. Ma studiare Storia dell’Arte non significa certamente che di fronte a un Picasso si riesca ad interpretarne tutta l’espressività, che si riesca a contestualizzarlo nel periodo storico, economico e sociale e nelle correnti artistiche del suo periodo.

Creazione 29/09/2004

Robero DENTI “Lasciamoli leggere” Ed. Bruno Mondadori
Monstserrat SARTO “Voglia di leggere” Ed. PIEMME, Casale Monferrato 1993
Vittorino ANDREOLI “Giovani” Ed. Rizzoli, Milano 1985
Roberto PIUMINI “Il ritratto segreto” in “Lo stralisco” Ed. Einaudi Tascabili, Torino 1995
Il Venerdì di la Repubblica del 29/10/2004